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Reti, sciami e policies: in viaggio per gli strani paesaggi delle politiche pubbliche del secolo 21

Io una volta ero un economista. Poi negli anni duemila ho cominciato a interessarmi di complexity science. Ho inseguito un’intuizione che mi diceva che le reti sono importanti (era il 2009, mi ricordo ancora l’epifania di vedere la rete delle interazioni in Kublai) e mi sono messo a studiarle, cercando una specie di Santo Graal: progettare comunità online che esprimano intelligenza collettiva per risolvere problemi complessi, inaccessibili a singoli individui o piccoli gruppi, anche se molto intelligenti.  Per impadronirmi del tema ho dovuto rivedermi algebra lineare e teoria della probabilità; a quel punto diverse letture mi hanno portato a camminare per sentieri per me interamente nuovi, leggendo paper di biologia computazionale o psicologia sperimentale.

Attraverso paesaggi strani, molto lontani dalle architetture razionali e ben illuminate dell’economia standard. Sono perfino pericolosi: pieni di trappole filosofiche (se è veramente intelligenza collettiva, saremo in grado di riconoscerla? Non sarebbe come un neurone che cerca di comprendere il cervello?) e perfino dilemmi morali (è possibile che il benessere del sistema venga ottenuto a spese delle sue componenti, proprio come una specie si evolve uccidendo i propri membri meno adatti alla sopravvivenza: cosa succede se il sistema è sociale e le componenti siamo noi?).

La cosa più strana è questa: non sono l’unico a vagare in questo posto, dovunque sia. Nel mondo delle politiche pubbliche, in cui da anni mi muovo per lavoro, praticamente ogni mese incontro nuovi compagni di viaggio. Con loro, mi trovo a parlare di reti, sciami intelligenti, etnografie online, motori di variabilità e altre cose esoteriche di questo tipo. Mi sento come un alchimista del Cinquecento: queste cose sembrano funzionare, anche se non siamo ancora sicuri di capire davvero il perché; e ci sentiamo sull’orlo di una scoperta importante, di una rivoluzione scientifica come nel Seicento. Questo mondo strano e perfino dark è riflesso bene nel mio intervento al Personal Democracy Forum di qualche mese fa a Roma. Se vi interessa un assaggio, il video è qui sotto, sia in italiano che in inglese.

(dedicato a Giulio Quaggiotto)

Photo: Marco Giacomassi

Dettare l’agenda: come la comunità open data è entrata nel radar delle politiche europee

Il 17 luglio, intervenendo all’Open Knowledge Fest a Berlino, il commissario europeo Neelie Kroes ha fatto la seguente affermazione:

Vogliamo lavorare con voi, e vedervi lavorare insieme attraverso i confini geografici e linguistici. Abbiamo messo in piedi Erasmus per gli Open Data per sostenere questo, e cominciamo da un evento a Nantes, Francia, in settembre. Ma se avete un’idea per altre cose che potremmo fare, fatecelo sapere! – fonte

Normalmente non presto attenzione agli annunci, ma questo è arrivato davvero in fretta. Per quanto ne so, l’idea di un Erasmus per gli open data non esisteva nemmeno prima di aprile 2014. Un’idea passata in tre mesi dalla prima apparizione in un blog privato alla rampa di lancio in quanto policy della prima economia al mondo, credo, non ha precedenti. Cosa sta succedendo?

Riassunto delle puntate precedenti.

  1. Il 7 aprile, a seguito del raduno di Spaghetti Open Data, scrivo un post in cui propongo un programma simile a Erasmus per gli open data. L’idea è di costruire relazioni orizzontali per connettere le comunità open data, oggi largamente nazionali, in una comunità di livello europeo. Il post innesca una piccola discussione con alcuni attivisti di altri paesi europei, come Ton Zijlstra in Olanda e Martìn Alvarez in Spagna.
  2. l’8 luglio ricevo un’email dall’associazione francese LiberTIC. Con il sostegno della città di Nantes, sta organizzando una conferenza pensata come la rampa di lancio di una futura iniziativa di Erasmus Open Data. Il gruppo di EPSI platform è coinvolto in modo attivo. La Commissione Europea parteciperà, probabilmente rappresentata dal project officer di EPSI platform stessa. Per mostrare che si fa sul serio, LiberTIC ha perfino destinato un piccolo budget al rimborso dei costi di viaggio verso Nantes di alcuni dei partecipanti. Con la solita generosità, Spaghetti Open Data ha già risposto alla sfida – vi prometto che la comunità italiana sarà ben rappresentata a Nantes.
  3. Con il discorso del 17 Kroes ci fa sapere che anche lei fa parte del percorso. Trovo straordinario che un’iniziativa così piccola sia arrivata alla sua attenzione: qualcuno a DG CNECT (forse il team EPSI?) sta facendo un ottimo lavoro nel vendere l’idea alla gerarchia.

Può darsi che avremo il nostro Erasmus Open Data. O forse no. Comunque vada a finire, una cosa è chiara: se un tipo qualunque come me può proporre un’idea dal suo blog personale in aprile e ascoltare un commissario europeo offrirle tutto il suo sostegno a luglio, significa che la comunità open data sta dettando l’agenda. Ci siamo, e facciamo cose interessanti con i dati, e tutti lo sanno. Siamo noi che parliamo con le agenzie governative che devono scrivere le leggi e le linee guida, e che spesso le scriviamo per loro. Possiamo mobilitarci rapidamente ed efficacemente – la stessa LiberTIC ha messo insieme una conferenza internazionale in due mesi. tutti sanno che, semplicemente, non si può fare open data senza una comunità forte e indipendente, con una forte presenza di società civile e settore privato.

Quindi, l’Europa sta molto attenta a quello che facciamo. E ci sono segni che anche lo Stato italiano sia in ascolto, al di là dei soliti balletti e dell’attenzione al breve termine.  Sarebbe un peccato sprecare questa opportunità per arricchire il nostro mondo di un po’ di trasparenza e conoscenza data-powered. Ma io credo che la comunità sia pronta, e che l’opportunità non sarà sprecata.

Nel frattempo, signora Kroes, grazie del suo supporto. C’è un piccolo errore in quella parte del suo discorso (“Abbiamo messo in piedi…”): Erasmus per gli open data è, a oggi, un’iniziativa della comunità, non dell’unione europea. Ma non è grave; non siamo gelosi, e adesso l’idea è pubblica e tutti possono contribuirvi e migliorarla. Venga a Nantes, sarà la benvenuta, sia in forma ufficiale che in forma privata. Se viene in forma privata, ci mandi una mail: ci sarà codice da scrivere, dati da pulire, pizza e esperienze da scambiarci. Ci siederemo insieme a rifare qualche sito dell’UE, e ci sarà da divertirsi.

Vieni con noi Nantes per la conferenza Erasmus Open Data

Gli open data diventano grandi

Se abiti in Italia e sei curioso di quanto e come spende (e tassa) il tuo Comune, è il tuo giorno fortunato. Dalla settimana scorsa, OpenBilanci pubblica in rete i dati finanziari dettagliati degli ultimi dieci anni su tutti gli 8,092 comuni italiani. Sono disponibili sia i dati di preventivo che quelli di consuntivo, così come indicatori di performance come autonomia finanziaria e velocità di spesa. Non solo tutti i dati sono in formato aperto e scaricabili: Open bilanci ha anche un’elegante interfaccia web per l’esplorazione preliminare dei dati. Interfacce simili si trovano anche in altri progetti open data italiani, come l’ammiraglia OpenCoesione, che espone dati di spesa su 749,112 progetti finanziati dalle politiche di coesione. Questo non sorprende: OpenCoesione è un progetto pubblico, OpenBilanci è nonprofit, ma la stessa squadra di sviluppatori visionari li ha montati entrambi, usando a volte un’associazione, altre volte un’impresa.

Nello spazio di pochi anni, i dati aperti sono diventati una forza formidabile per l’apertura, la trasparenza e perfino la data literacy in un paese che ha molto bisogno di tutte e tre. Funzionari pubblici lungimiranti in alcune Regioni (e qualche città) lavorano ormai normalmente insieme ai civic hackers: OpenBilanci è stata finanziata dalla Regione Lazio attraverso la sua politica per l’innovazione rivolta alle PMI, mentre l’Emilia-Romagna ha costruito una solida alleanza con la più grande comunità italiana civic hacker, Spaghetti Open Data. Con una mossa elegante, la città di Matera ha deciso di ospitare sul proprio portale open data anche , purché aperti, e così incoraggia una cultura del dato aperto.

Quando le autorità pubbliche non cooperano, i civic hackers italiani semplicemente si aprono i dati pubblici da soli. Uno dei miei progetti preferiti in questo campo è Confiscati bene, nato durante un epico hackathon di Spaghetti Open Data. Il gruppo ha scritto un programma per scaricare tutti i dati (non aperti) contenuti sul sito dell’Agenzia Nazionale per i Beni Sequestrati e Confiscati alla criminalità organizzata. Li ha ripuliti, georeferenziati, resi scaricabili, costruito una bella interfaccia web di esplorazione, messi su un elegantissimo sito nuovo di zecca e regalato il tutto a ANBSC. Anche OpenBilanci è stato costruito a partire dallo scraping di oltre due milioni di pagine web.

La scena italiana è quella che conosco meglio, ma progetti open data interessantissimi appaiono dovunque. Il mio preferito in assoluto è inglese: OpenCorporates raccoglie dati su oltre 60 milioni di imprese di tutto il pianeta. Usando identificatori unici e informazioni sugli assetti proprietari, OpenCorporates porta un po’ di luce sul mondo delle imprese, che ha molti meno obblighi di trasparenza del settore pubblico. Questa visualizzazione interattiva basata su OpenCorporates, per esempio, vi insegnerà molto su Goldman Sachs.

Il movimento open data, pare, è diventato grande. È successo molto in fretta: in meno di quattro anni siamo passati da ristretti circoli di nerd che si entusiasmavano per il discorso “raw data now” di Tim Berners-Lee a una comunità forte e numerosa (siamo quasi mille sulla mailing list di Spaghetti Open Data, e maciniamo una media di venti messaggi al giorno, 365 giorni all’anno) e una falange di giovani decisori che conoscono il tema e sono a stretto contatto con la community. Sono orgoglioso di voi, sorelle e fratelli d’arme. E il meglio deve ancora venire: probabilmente verrà quando ci riuniremo da tutta Europa, e sono sicuro che succederà presto perché i tempi sono maturi. Chissà, la cultura dei dati potrebbe perfino riuscire a spostare la politica europea dalla retorica populista al dibattito basato sui fatti.