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Photo: Greg Goebel

La politica può essere collaborativa?

A Edgeryders studiamo e pratichiamo la collaborazione, soprattutto online. Progetto dopo progetto, troviamo che è la forza più potente che le persone con poche ricchezze e nessun potere, come noi, possa mettere in campo. Stiamo diventando bravi a collaborare. La prova: siamo un’azienda mutante senza una sede, senza investitori e senza business plan. Non abbiamo niente se non noi stessi – un minuscolo nucleo di fondatori, e la comunità di Edgeryders. Eppure siamo in campo. Alcune organizzazioni leader nel mondo sono nostri clienti. Cresciamo. Il 2016 è stato un buon anno per noi – ne scriveremo presto.

Il 2016 è stato anche un anno di incertezza e malcontento nella politica mondiale. Molte persone che abbiamo care sono tristi, arrabbiate o impaurite. Quasi nessuno sembra soddisfatto della politica e dei suoi leaders. Questo è vero sia nel campo dei perdenti che in quello dei vincitori. Questo contrasto ci meraviglia. La nostra cultura sta imparando a lavorare sempre meglio insieme nella diversità. Perché questo non si traduce in una politica più costruttiva?

Riflettendo su queste cose, ci siamo accorti che tendiamo a inquadrare la politica come combattimento. Ci sono attacchi, alleati, nemici. I suoi protagonisti si concentrano sul vincere. Questo è comprensibile ma inutile, eccetto forse in quanto intrattenimento. Cosa succede se abbandoniamo questo punto di vista e ne adottiamo uno collaborativo? Cosa succederebbe se un’entità politica fosse gestita come un progetto collaborativo? Se la produzione di leggi funzionasse come Wikipedia? Se le politiche pubbliche fossero implementate come una versione di Apache o Ubuntu?

Questo:

  1. Abilitare è la missione chiave. Uno stato, una città, una regione, esistono solo per abilitare le persone che ci vivono a fare quello che vogliono fare. Non hanno bisogno di avere una visione, perché le persone ne hanno già una loro.  Deve solo allargare al massimo lo spazio del possibile, per il numero più alto possibile di persone. In cambio, ottiene compliance e gettito fiscale. Questo sarebbe l’unico obiettivo della politica collaborativa. Confronta con i visionari politici, che cercano di venderti il loro modo di vedere le cose.
  2. Nel dubbio, non fare niente. Quando viene proposto un cambiamento importante, la comunità intorno a un progetto collaborativo lo discute. Queste discussioni possono essere lunghe. Poi, quasi sempre, il cambiamento non va avanti. Questo è perché, quali che siano i suoi difetti, il progetto nella sua forma attuale funziona. La sua prossima versione potrebbe migliorare molto, ma nessuno può garantire che funzionerebbe, o quanto ci vorrebbe per metterla a terra. Il cambiamento radicale richiede argomenti molto forti per andare avanti. Confronta con “devo fare qualcosa per lasciare un segno del mio mandato”.
  3. Concentrarsi sulle infrastrutture. I progetti collaborativi per il software non fanno programmi, ma componenti con cui le persone possono fare programmi. Il punto non è di decidere qual è il colore migliore per le pagine web, ma di scrivere codice che permette a tutti di scegliere facilmente qualunque colore per le loro pagine. Nel mondo delle politiche pubbliche, questo significa costruire infrastruttura, e l’infrastruttura è gerarchica. Più è generale, meglio è. Gli acquedotti sono meglio degli ospedali. Gli ospedali sono meglio dei centri culturali. I centri culturali sono meglio delle mostre. Confronta con i tanti progetti inutili degli amministratori (“Facciamo un incubatore per l’innovazione sociale fondata su blockchain”).
  4. Leaders NON carismatici. Le personalità narcisiste e appariscenti non funzionano bene nei progetti collaborativi. L’attenzione delle persone deve essere sul costruire, quindi chi cerca attenzione è un peso morto per gli altri. Le persone più in vista di queste comunità sono persone affidabili e spesso un po’ nerd, che non ti fanno perdere tempo. Confronta con un leader politico a scelta.
  5. Evita la controversia. Tutti i progetti open source di successo hanno molte proposte controverse per andare avanti. Ma ne hanno anche molte su cui tutti sono d’accordo. Le controversie fanno perdere tempo, quindi le persone realizzano per prime le proposte condivise. Questo crea fiducia reciproca, e potrebbe fare evolvere il progetto in una direzione in cui la controversia sparisce completamente. Confronta con la politica-come-combattimento.
  6. Do-ocracy, non rappresentazione degli interessi e deliberazione. La rappresentazione degli interessi (stakeholder representation) ci ha servito bene quando le società erano semplici e gerarchiche. A quei tempi, una decina di persone intorno a un tavolo potevano prendere una decisione, sapendo che sarebbe stata eseguita. Questo non è più possibile. In un progetto collaborativo non si discute sul cosa fare. Nell’ambito dei valori di riferimento, puoi fare quello che vuoi purché ne abbia la capacità. Chi fa il lavoro decide cosa fare e come farlo. Nessuno può dire a nessun altro come contribuire. Confronta con interminabili dibattiti e veti incrociati.

Quando scriviamo enciclopedie online o software per web servers lavoriamo così. Stessa cosa quando facciamo imprese come Edgeryders. Potremmo lavorare così anche quando costruiamo le città, i parchi nazionali, le griglie elettriche? Potremmo farlo non nel nome di un’ideologia, ma semplicemente per costruire la nostra stessa felicità e abbondanza, e quella di coloro che amiamo?

Potrebbe esserci un altro spazio dove costruire? Un terreno così iperlocale e frammentato da divenire troppo costoso per uomini forti narcisisti e consiglieri machiavellici? Una mossa così laterale da non esistere nemmeno nello stesso spazio della politica post-truth?

Non lo sappiamo ancora. Ma, mentre sale la marea nera del 2016, vediamo gente nelle nostre reti che pone domande nuove. Qualcosa di nuovo, qualcosa di grande si sta muovendo. Come sempre, staremo vicino alla nostra comunità, e daremo una mano per quanto possiamo. Se anche tu aspetti da tempo che qualcosa si metta in moto; se vuoi contribuire a costruirlo, e a capire dove ci porterà, sentiamoci. Nadia rivelerà alcuni dei nostri piani immediati a AdaWeek a Parigi, il 22 novembre (info).  Se non puoi venire, scrivi a Nadia o iscriviti alla mailing list.

[written with Nadia El-Imam]

La collaborazione tra cittadini e istituzioni: una checklist in tre minuti

Ho l’onore di essere stato invitato come speaker al terzo European Meeting Outreach dell’Open Government Partnership, a Roma. Il moderatore – il mio amico Guido Romeo, di Dirittodisapere – era stato spietato: il mio compito era di proporre alla sala una guida al montaggio di processi collaborativi cittadini-istituzioni. In meno di cinque minuti, in inglese e senza usare slides. Ci ho provato, per quanto potevo: alla fine ho usato tre minuti e un bel po’ di semplificazioni.

Dopo il panel, alcune anime gentili sono venute da me, si sono complimentate e mi hanno chiesto se avessi degli appunti da condividere con loro. In effetti sì, ce li avevo: li avevo scritti in una mail senza destinatario – l’esatto equivalente digitale di un tovagliolo di carta. Eccoli qui, tradotti in italiano.

  1. Assicurati che il problema sia adatto. La partecipazione non è molto utile a quando si deve scegliere tra vie che si escludono a vicenda e che tendono a polarizzare il dibattito, tipo “Windows o Linux”. Nella comunità hacker, il brodo di coltura delle tecniche di collaborazione più avanzate al mondo, queste discussioni sono conosciute con il nome di “guerre di religione” perché non convergono mai, non importa quanto se ne parli. In questi casi è meglio votare, o decidere top-down.
  2. Progetta il processo con cura. Questo è molto difficile, perché è una scelta che avviene in uno spazio a molte dimensioni, e non proverò nemmeno ad analizzarla. Lasciatemi dire una cosa sola: la cosa fondamentale nel progettare un processo collaboratico è che le scelte tecniche non sono dettagli di implementazione da lasciare al servizio ICT. Gettano un’ombra sul futuro del vostro processo, perché la tecnologia non è né buona, né cattiva, né neutrale. Esempio: gli strumenti del tipo “dicci la tua idea” sono molto popolari – anche Open Government Partnership li usa. Questi sono stati inventati per il customer relationship management (“ehi, dovreste fare quest’auto anche in verde scuro”); funzionano bene per sollecitare la creatività di chi li usa, ma male per tenere traccia della conseguenze di fare una scelta piuttosto che un’altra. Pensate alle decisioni di bilancio: qualcuno dice “investiamo sulle scuole!” e ottiene molti voti – investire sulle scuole non può essere sbagliato. Ma questo non ci dice a cosa dovremmo rinunciare per avere le risorse da investire sulle scuole. Nel progettare un processo collaborativo bisogna come minimo controllare le proprie scelte tecniche non introducano (e anzi compensino) i bias psicologici, che sono enormi e molto ben documentati; che siano matematicamente eque nella fase di valutazione delle proposte e decisione; e che inducano il cittadino a dare il meglio di sé. Il Parlamento – una tecnologia collaborativa secolare – richiede ai propri membri di chiamarsi a vicenda “onorevoli colleghi”. Questa è un’esortazione; un ricordarsi a vicenda che ciò che unisce gli utenti di questa tecnologia è più importante di ciò che li divide, e spinge l’interazione verso un atteggiamento più collaborativo.
  3. Stai attento alla sicurezza dei cittadini. Alcuni cittadini non vogliono essere profilati, schedati, impacchettati in grandi database e venduti in blocco alle imprese per fini di marketing – e questo include alcuni dei gruppi sociali più impegnati, abili e motivati. Alcuni non si fidano di Google. Parecchi non si fidano di Facebook. Il mio consiglio è: parlate con la comunità hacker. Parlate con il movimento per la privacy. Sono pronti ad aiutarvi. E, se loro si sentono sicuri, questo manderà un segnale incoraggiante a tutti gli altri.
  4. Proponi e rispetta un contratto sociale esplicito ed equo. Oggi ai cittadini si chiede di spendere tempo e intelligenza in molti esercizi partecipativi e collaborativi. Il risultato è un’inflazione delle occasioni di collaborazione. In Italia ci sono circa 200 persone che animano tutte quelle più importanti, e cominciano a mostrare segni di fatica. I cittadini non sono a libro paga del governo; il loro tempo dovrebbe essere usato con rispetto e moderazione, tentando di dare loro qualcosa in cambio. Questo qualcosa in genere sarà influenza e conoscenza. Influenza: in cambio dei miei sforzi, ottengo di influenzare questa decisione del governo. Conoscenza: in cambio dei miei sforzi, ottengo di capire meglio questo problema che mi riguarda. Qualunque sia il contorno preciso del contratto sociale in questione, credo che ogni esercizio collaborativo debba averne uno; e che esso debba comprendere un follow-up, in cui i cittadini vengono ringraziati e informati di cosa il governo ha fatto con il loro input, e perché.

Wikicrazia reloaded: cerco storie di collaborazione cittadini-istituzioni per un e-book (Italiano)

A un anno e mezzo dalla pubblicazione di Wikicrazia, qualcosa si è mosso. La collaborazione costruttiva, abilitata da Internet, tra cittadini e istituzioni è ancora un fatto eccezionale; ma la pattuglia degli sperimentatori, che nel 2009 e 2010 in cui scrivevo era in grado di mettere insieme pochissimi progetti, si è molto allargata, e anche tra chi non è ancora passato all’azione si sente che l’interesse è molto aumentato.

Il momento mi sembra propizio per fare di Wikicrazia un e-book. Nello spirito che ha sempre contraddistinto il libro (e, mi piace pensare, della mia attività in generale), vorrei fare un e-book collaborativo. In particolare, penso a due parti: Wikicrazia, cioè il libro uscito per Navarra Editore nel 2010; e Wikicrazia Reloaded, cioè una raccolta di saggi che raccontano esperienze di progetti in cui cittadini e istituzioni collaborano a attività di governo; dalla progettazione delle politiche al monitoraggio del territorio, con tutto quello che ci sta in mezzo. Che tu sia un rappresentante eletto, un cittadino, un funzionario pubblico, se hai una storia così da raccontare abbiamo una buona occasione per diventare coautori. Riccardo Luna, generosamente, ha accettato di scrivere la prefazione.

La cosa funziona così:

  • Scrivi una storia. Concentrati sull’esperienza: racconta cosa succede, chi ha avuto l’idea, con chi si è alleato per realizzarla, quali difficoltà ha incontrato e quali sono stati i risultati. Non c’è bisogno che sia una storia di successo, possiamo imparare anche dagli errori e dalle false partenze. Una riflessione finale è ben accetta.
  • 1200 parole, in italiano. Controlla bene l’ortografia, perché non ci sarà editing. Ti consiglio di fare riferimento alle guide di scrittura: la più famosa (e buffa) è Come scrivere bene di Umberto Eco, ma ce ne sono anche di più tradizionali. Consegna entro il 30 di aprile a alberto[at]cottica[punto]net.
  • Non sono ammessi: asserzioni non dimostrate (“è ormai chiaro che la democrazia occidentale è in crisi irreversibile”); piagnistei (“non ce la faremo mai”), soprattutto nella variante esterofila (“A Trinidad e Tobago sì che queste cose funzionano, altroché da noi”); qualunquismo da troll (“hai voglia a fare la wikicrazia, tanto questi pensano solo alla poltrona”);  contrapposizione noi/loro (“mentre il Sindaco Casalmacchi si arroccava in un burocratismo sempre più autoreferenziale, un pugno di cittadini generosi progettava i destini del territorio sotto la guida illuminata del geometra Paladini, che aveva un cugino che era stato un anno al MIT”).
  • Licenza Creative Commons BY.
  • Ciascun co-autore firma il suo pezzo. Dobbiamo trovare una dicitura per tutto il lavoro. Potrebbe essere “A cura di Alberto Cottica”, ma se hai un’idea migliore ti ascolto.
  • Se serve aiuto vai qui.

Una volta ricevuti i contributi, impacchetto il tutto con Wikicrazia; faccio convertire il file; e pubblico su Amazon, al costo di 3 euro al download, in creative commons. Amazon lascia all’autore il 35%, cioè un euro, cioè 75 centesimi perché mi tassano all’origine, a download. Se riusciamo a vendere 150 ebook mi ripago il costo della conversione del file. Nessuno ci guadagna niente, ma abbiamo fatto insieme il punto della situazione su questa partita. Che ne dici?