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La collaborazione tra cittadini e istituzioni: una checklist in tre minuti

Ho l’onore di essere stato invitato come speaker al terzo European Meeting Outreach dell’Open Government Partnership, a Roma. Il moderatore – il mio amico Guido Romeo, di Dirittodisapere – era stato spietato: il mio compito era di proporre alla sala una guida al montaggio di processi collaborativi cittadini-istituzioni. In meno di cinque minuti, in inglese e senza usare slides. Ci ho provato, per quanto potevo: alla fine ho usato tre minuti e un bel po’ di semplificazioni.

Dopo il panel, alcune anime gentili sono venute da me, si sono complimentate e mi hanno chiesto se avessi degli appunti da condividere con loro. In effetti sì, ce li avevo: li avevo scritti in una mail senza destinatario – l’esatto equivalente digitale di un tovagliolo di carta. Eccoli qui, tradotti in italiano.

  1. Assicurati che il problema sia adatto. La partecipazione non è molto utile a quando si deve scegliere tra vie che si escludono a vicenda e che tendono a polarizzare il dibattito, tipo “Windows o Linux”. Nella comunità hacker, il brodo di coltura delle tecniche di collaborazione più avanzate al mondo, queste discussioni sono conosciute con il nome di “guerre di religione” perché non convergono mai, non importa quanto se ne parli. In questi casi è meglio votare, o decidere top-down.
  2. Progetta il processo con cura. Questo è molto difficile, perché è una scelta che avviene in uno spazio a molte dimensioni, e non proverò nemmeno ad analizzarla. Lasciatemi dire una cosa sola: la cosa fondamentale nel progettare un processo collaboratico è che le scelte tecniche non sono dettagli di implementazione da lasciare al servizio ICT. Gettano un’ombra sul futuro del vostro processo, perché la tecnologia non è né buona, né cattiva, né neutrale. Esempio: gli strumenti del tipo “dicci la tua idea” sono molto popolari – anche Open Government Partnership li usa. Questi sono stati inventati per il customer relationship management (“ehi, dovreste fare quest’auto anche in verde scuro”); funzionano bene per sollecitare la creatività di chi li usa, ma male per tenere traccia della conseguenze di fare una scelta piuttosto che un’altra. Pensate alle decisioni di bilancio: qualcuno dice “investiamo sulle scuole!” e ottiene molti voti – investire sulle scuole non può essere sbagliato. Ma questo non ci dice a cosa dovremmo rinunciare per avere le risorse da investire sulle scuole. Nel progettare un processo collaborativo bisogna come minimo controllare le proprie scelte tecniche non introducano (e anzi compensino) i bias psicologici, che sono enormi e molto ben documentati; che siano matematicamente eque nella fase di valutazione delle proposte e decisione; e che inducano il cittadino a dare il meglio di sé. Il Parlamento – una tecnologia collaborativa secolare – richiede ai propri membri di chiamarsi a vicenda “onorevoli colleghi”. Questa è un’esortazione; un ricordarsi a vicenda che ciò che unisce gli utenti di questa tecnologia è più importante di ciò che li divide, e spinge l’interazione verso un atteggiamento più collaborativo.
  3. Stai attento alla sicurezza dei cittadini. Alcuni cittadini non vogliono essere profilati, schedati, impacchettati in grandi database e venduti in blocco alle imprese per fini di marketing – e questo include alcuni dei gruppi sociali più impegnati, abili e motivati. Alcuni non si fidano di Google. Parecchi non si fidano di Facebook. Il mio consiglio è: parlate con la comunità hacker. Parlate con il movimento per la privacy. Sono pronti ad aiutarvi. E, se loro si sentono sicuri, questo manderà un segnale incoraggiante a tutti gli altri.
  4. Proponi e rispetta un contratto sociale esplicito ed equo. Oggi ai cittadini si chiede di spendere tempo e intelligenza in molti esercizi partecipativi e collaborativi. Il risultato è un’inflazione delle occasioni di collaborazione. In Italia ci sono circa 200 persone che animano tutte quelle più importanti, e cominciano a mostrare segni di fatica. I cittadini non sono a libro paga del governo; il loro tempo dovrebbe essere usato con rispetto e moderazione, tentando di dare loro qualcosa in cambio. Questo qualcosa in genere sarà influenza e conoscenza. Influenza: in cambio dei miei sforzi, ottengo di influenzare questa decisione del governo. Conoscenza: in cambio dei miei sforzi, ottengo di capire meglio questo problema che mi riguarda. Qualunque sia il contorno preciso del contratto sociale in questione, credo che ogni esercizio collaborativo debba averne uno; e che esso debba comprendere un follow-up, in cui i cittadini vengono ringraziati e informati di cosa il governo ha fatto con il loro input, e perché.