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Ok, ok, vengo al RomeCamp – con Kublai

Ieri ho deciso di presentarmi al RomeCamp. Le ragioni principali sono due: ho voglia di “toccare base” con la scena barcampica e bloggante italiana, dalla quale manco da un bel po’ per ragioni varie di tour, convegni e altro; e ha preso forma “dal basso” un incontro di Kublai, visto che saranno presenti diverse persone del mio gruppo di lavoro (tra l’altro uomini delle istituzioni, che non hanno mai partecipato a un Barcamp) e vari membri della community kublaiana. Sono molto curioso, per esempio, di incontrare in presenza i ragazzi di Critical City (faranno anche una presentazione), un progetto su cui in Kublai si sta lavorando molto.

Farò una presentazione anch’io, venerdì pomeriggio (slides qui sotto). La mia idea per la società del futuro è il crowdsourcing dell’azione di governo del territorio (ambiziosetto, me ne rendo conto): immagino un mondo di politiche user-generated, in cui le immense risorse di intelligenza e conoscenza del territorio incorporate nelle testolinedi noi tutti vengano mobilitate da strumenti 2.0 e sorrette da una solida etica hacker (quest’ultimo punto è stato espresso benissimo da David, che purtroppo al RomeCamp non ci sarà). Nel suo microscopico, Kublai è – o almeno vorrebbe essere – proprio questa cosa qui. Ma il vero punto forte della mia presentazione sarà la distribuzione delle ultime spillette.;-)

Un concorso di idee creative per lo sviluppo

In questo post osservavo che l’idea di innovazione che permea di sé le politiche pubbliche europee tende a coincidere con l’innovazione tecnologica fatta dalle imprese, e viceversa a trascurare quella proposta da gente al di fuori del mondo corporate. Società civile, mondo delle arti e della creatività (come i miei “ingegneri sovversivi”) sono sostanzialmente ignorati nel dibattito sulla policy.

Da Kublai lanciamo un piccolissimo contributo ad una maggiore diversità dell’ecosistema di innovazione, indicendo un premio per la migliore idea creativa di sviluppo. Tutti, ma proprio tutti i creativi che hanno un’idea passibile di contribuire allo sviluppo del proprio territorio (o del proprio pianeta per quelli che pensano in grande)sono invitati a partecipare. Si vince un po’ di denaro da spendere sul progetto, ma soprattutto un convinto endorsement istituzionale del Dipartimento per le politiche di sviluppo del Ministero dello sviluppo economico. Fatevi sotto. Yes we can.:) Informazioni qui.

Subversive engineering: progettare senza fine di profitto

 Extreme Cratfs

A Stoccolma ho conosciuto una persona interessantissima, Choco Canel, giovane tecnologa-coreografa, e siccome io sono un ex giovane economista-musicista abbiamo subito simpatizzato. Lei e i suoi amici insegnano e praticano quello che loro chiamano subversive engineering. E’ una roba che piacerebbe a Bruce Sterling: si tratta, essenzialmente, di fare progetti cool a costo quasi zero, fatti essenzialmente di tempo e divertimento (nell’Emilia metalmeccanica degli anni 70 si diceva “con lo sputo e il fil di ferro”). Ma perché farlo? “Prestigio”, “mi interessa”, “perché posso”, con un robusto contributo dello stato sociale svedese che garantisce una sicurezza economica minima. Qualcuno citava il divertente sismografo per iPhone, scritto proprio in Svezia in due settimane tanto per farsi due risate, aspettandosi 500 download, che invece sono stati 15000 nella prima settimana. Adesso stanno ragionando se fare pagare un dollaro per ogni download di sismografo 2, ma è chiaro che non si possono fare soldi veri con questa roba. E non è quello il punto.

Dopo una breve esperienza professionale nel marketing, Choco ha deciso di cambiare completamente strada. “Avevo bisogno di spazio per respirare”, dice. Il suo non è, evidentemente un ritiro dal mondo: al contrario, lei e i suoi amici stanno producendo idee – anzi, realtà – credibili e promettenti, o semplicemente sfiziose, come Kikazette (qui trovate qualche link commentato su Delicious). In questa vicenda vorrei imparare due lezioni:

La prima: le risorse utilizzate dagli ingegneri sovversivi non hanno una vera dimensione economica (vecchi pc comprati a 50$ su eBay) o hanno dimensione di bene pubblico (la stessa internet, la rete di protezione sociale svedese). Si può fare innovazione tecnologica senza le imprese, e senza neppure una prospettiva di impresa. Questo è ovvio (basta pensare alla storia della tecnologia: Archimede o Babbage non lavoravano in laboratori R&D di qualche corporation), ma nel clima culturale di oggi tutti si comportano come se quella di impresa fosse l’unica innovazione possibile.

La seconda: progettare cose che non costano (quasi) nulla dà una libertà progettuale incredibile, perché queste cose hanno un unico obiettivo (risolvere un certo problema) e non due (risolvere il problema e generare reddito). Linux o Wikipedia non sono nati con un business plan, ma con un’idea tecnologica “pura”, e questo ha permesso loro di volare molto alto. Inoltre – e decisivo- gli ingegneri sovversivi sono nella condizione di chiedersi “a cosa serve davvero l’innovazione?” e scartare gli aggiornamenti che servono soltanto a costringere le persone a sborsare altri soldi per una versione aggiornata del sistema operativo (chiedete a zio Bill)

Purtroppo la politica per la tecnologia, almeno in Europa, non sembra tenere conto di queste lezioni. La voce delle imprese è quasi l’unica che venga ascoltata (e spesso non suona convincente, almeno al mio orecchio), e non mi pare che nessuno stia ragionando in termini di valore sociale dell’innovazione.