Tag Archives: Massimo Banzi

Due giorni divertenti (se sopravvivo)

Domattina mi sveglio presto, non a casa mia ma a Matera. Alle 8 ho una presentazione di Kublai all’OECD World Forum. Noi presentiamo da Second Life, e i colleghi del Dipartimento per le politiche di sviluppo partecipano dallo stand del DPS al Forum. Che si trova a Pusan: l’ora indegna serve a collimare con il fuso orario coreano.

Dopo colazione, una breve passeggiata tra i Sassi mi porta a Matera Fablab. Sotto la guida di “Mr. Arduino” Massimo Banzi costruiremo un sistema di regia a distanza per webcam (ci serve per gli spazi laboratorio di Visioni Urbane). Massimo dice che useremo i motori elettrici degli specchietti retrovisori delle auto per muovere le webcam a distanza! Nel pomeriggio mi divido tra Fablab e la sessione sulle industrie creative degli Open Days. Nel frattempo arriva il resto del team di Kublai, e mi sa che ci tocca pure una riunione. Cena ufficiale con tutti-ma-proprio-tutti.

Venerdì sono impegnato in Progetto in un giorno, un laboratorio che mira a condensare il percorso di Kublai in una giornata. E’ la prima volta che ci proviamo, spero e credo che ci divertiremo. Alle 17 finiamo, mi cambio e mi metto a giocare ad A-maze, il gioco urbano inventato dal gruppo di Criticalcityper Matera. E gli altri concorrenti sono avvisati, gioco per vincere!

Tutto si può dire del mio lavoro, ma non che sia noioso. Un giorno devo fare una riflessione seria su cosa stanno diventando le politiche di sviluppo. Se riesco a riprendermi.

Punk rock e innovazione

Investireste mai in unazienda con questo consiglio di amministrazione?

Investireste mai in un'azienda con questo consiglio di amministrazione?

Il mio modello di innovazione sociale – ormai si sarà capito – è il movimento punk, che ho fatto in tempo, giovanissimo, a vedere sparire dietro la curva nei primissimi 80. Il succo del punk era “ehi, anch’io posso farlo”! Per me questo è stato un imprinting fortissimo, e ne porto ancora i segni. Per fortuna.

Più tardi ho ricostruito un po’ di storia, scoprendo che, fino a cinque minuti prima, era di moda una cosa molto diversa che si chiamava progressive rock, per gli amici prog. Il prog era una musica, uomo, difficile. Non è che un provincialotto qualunque di Sassuolo si metteva lì e suonava il prog. Dovevi sapere l’armonia, teoria musicale, avere i riferimenti culturali.  A me il prog è riuscito immediatamente antipatico. Tanto che per non sbagliarmi, verso il 1980, con la saggezza dei miei 14 anni ho deciso che (1) gli assoli di qualunque strumento sono masturbazione e puzzano di prog. Vietati. (2) I pezzi sopra i tre minuti e quaranta sono pretenziosi e puzzano di prog. Vietati. (3) Tutti gli italiani sono dei provinciali sfigati. Vietati tutti. In pratica buttavo via tutto, salvando un po’ di soul, la musica classica (che in qualche modo mettevo in un mazzo diverso), la disco elettronica fine anni 70, e i primi Beatles. E il punk, e la new wave venuta subito dopo.

Mi pento e mi dolgo. Ma è un pentimento di testa: il mio cuore è ancora con i ragazzi del 76, che hanno letteralmente costretto all’estinzione i sofisticatissimi alfieri del prog con la loro urgenza espressiva, la loro bassa tecnologia, i loro suoni grezzi e slabbrati. E quindi, adesso, io sto con l'”underground tecnologico”, con il subversive engineering che vedo crescere intorno ad Arduino e alle altre piattaforme low cost di prototipazione. Tutti possono fare innovazione, e le idee più disruptive non verranno dai laboratori R&D delle grandi aziende e dalle università più titolate. Quindi, domani (martedì) me ne vado qui. Chi volesse venire, è il benvenuto: porterò perfino le birre. Punk’s not dead.

Pioggia, pensieri e lavoro manuale a Isola

Domenica pioveva. Quindi era perfetto per passare una giornata all’ARCI Metissage insieme a Costantino e a un gruppo di persone conosciute da poco. Il clima era da club di aeromodellisti anni 70 (io ero un bambino, ma mi ricordo i modellini Airfix, e ho fatto anche in tempo a montarne un po’). Programma vago: “facciamo qualcosa da presentare al salone del mobile”. Però la tecnologia è roba seria: Arduino, cioè un microcontrollore che permette di connettere il mondo fisico (sensori, led, componenti meccaniche) con i computer, e quindi con il web.

Choco si è intestata lo sviluppo del concetto: “qualcosa” è diventato il Pop Culture Meter, cioè una lampada con sei gruppi di LED a intensità variabile. A controllare l’intensità non sono banali potenziometri – e ti pareva – ma la frequenza relativa con cui sei parole chiave compaiono nella timeline pubblica di Twitter in tempo reale. Le parole che abbiamo scelto: internet, god, sex, money, terrorism, crisis, lolcats. A seconda del “mood” dei 12 milioni di utenti di Twitter, quindi, il Pop Culture Meter illumina più o meno i gruppi di LED che corrispondono a queste parole, e fornisce una visualizzazione rozza ma immediata dello stato emotivo dei Twittatori.

Ivan guidava il gruppo degli sviluppatori software, riconoscibili per i MacBook Pro ricoperti di adesivi.  Insieme hanno scritto un’applicazione che legge la timeline di Twitter alla ricerca delle parole chiave, ne conta la frequenza, la normalizza e passa i valori all’Arduino, che poi li smista ai controller dei LED. Massimo, naturalmente, sovrintendeva al gruppo degli hardwaristi, riconoscibili perché usano veri cacciaviti e pinze tagliafili.

Il Pop Culture Meter non è un’innovazione che scuoterà il mondo dalle fondamenta, ma è un concetto divertente ed è stata realizzata. Ha richiesto una domenica pomeriggio, un gruppo NON selezionato (come prova il fatto che hanno invitato me, che non so fare assolutamente niente) e zero soldi o quasi, è fatta con materiali di scarto (a parte i Mac e l’Arduino, ovviamente). E’ una cosa che dà da pensare. Cosa succederebbe alla società dei consumi se tutti si mettessero a fare le loro lampade?

O le loro biciclette? Prima di andare a casa siamo passati alla Ciclofficina di via Castilia. Non c’è dubbio che gli hackers delle bici con i loro attrezzi in comune, i pezzi di ricambio riciclati e le moke giganti per il caffè andrebbero d’accordissimo con gli hackers dell’informatica con i loro MacBook e le ceste piene di componenti. Sono anche vicini di casa. Magari vanno già d’accordissimo.

Penso che il mondo stia cambiando un po’. Non è il web che fa la differenza: è l’attitudine. Devo pensarci bene anche per i creativi di Kublai e i Fiamma Fumana.