Tag Archives: complexity

Narrative dell’innovazione: i tarocchi tecnologici a Drumbeat

Secondo David Lane, a volte siamo chiamati a prendere decisioni in condizioni che lui chiama di incertezza ontologica. Si ha incertezza ontologica quando non si è assolutamente di grado di fare un quadro esaustivo della situazione, e di arrivare a rappresentarsi la gamma delle scelte possibili e delle loro conseguenze per noi. In un articolo famoso, ci invita a considerare la situazione di un diplomatico bosniaco all’inizio del settembre 1995, che tenta di fermare il massacro che sta avvenendo nel suo paese.

È molto difficile decidere chi sono gli amici e chi i nemici. Prima combatte contro i croati, poi al loro fianco. Il suo esercito affronta un esercito composto da serbi bosniaci, ma suo cugino e altri musulmani dissidenti combattono al fianco di quest’ultimo. Cosa puà aspettarsi dalle forze di sicurezza dell’ONU, dai bombardieri NATO, dai politici occidentali, da Belgrado e Zagabria, da Mosca? Chi sono gli attori importanti, e cosa vogliono? Su chi può contare, e per cosa? Non lo sa – e quando crede di saperlo, la situazione cambia di nuovo.

Come decidere in queste situazioni? Risposta: raccontandosi storie. Gli umani sono bravi con le storie: se ti riconosci nell’eroe di una storia, sarà lui a ispirare le tue azioni, proprio come Don Chisciotte cambia la sua vita per rimodellarla sui modelli dell’epica cavalleresca medievale.

L’innovazione accade spesso in condizioni di incertezza ontologica. Si può avere un obiettivo in termini di produzione di un artefatto, ma il sistema di mercato – che dipende dall’uso che le persone decideranno di fare di quell’artefatto – è sempre emergente. La stampa a caratteri mobili è stata un progetto di ricerca e sviluppo, ma Gutenberg non aveva certo previsto l’umanesimo e il mercato dei libri tascabili di Aldo Manuzio; Henry Ford ha razionalizzato la produzione dell’automobile, ma non poteva prevedere i quartieri dormitorio per pendolari che la civiltà dell’automobile ha reso possibile. Realizzare e portare al mercato un’innovazione significa agire in un contesto mutevole, come quello in cui si muove il diplomatico bosniaco dell’esempio. E per farlo occorre raccontarsi storie.

Nadia El-Imam ha avuto l’idea di aiutare le persone a raccontare storie su se stessi e il loro rapporto con la tecnologia e l’innovazione usando degli speciali tarocchi da lei inventati (invece che la Torre e la Papessa, rappresentano il Server, il Programmatore, l’Interfaccia e così via). Vestita da cartomante zingara, si è offerta di leggere il futuro dei geeks che affollavano il Drumbeat, evento organizzato a Barcellona da Mozilla Foundation. Il risultato è stato un successo straordinario, con le persone in coda ad aspettare il loro turno di interrogare le carte. Tra di loro, l’imprenditore e venture capitalist Joi Ito (che si vede nel video). Attraverso l’interrogazione delle carte, gli innovatori riprendono il filo di ciò che stanno facendo e cercano una via per proseguire il loro viaggio.

A loro modo, i “tarocchi tecnologici” di Nadia sono una piattaforma, utilizzabile come strumento di ricerca etnografico, veicolo per il counseling aziendale e chissà quante altre cose. Sono curioso di vedere come evolve.

Il domatore di reti sociali: il mio Ph.D. all’università di Alicante

Ho iniziato il 2010 con il proposito di studiare l’economia della complessità. Nel mio lavoro di consulente sulle politiche pubbliche mi trovo a dovere risolvere problemi che l’economia che ho studiato all’università non riesce neppure a descrivere, non parliamo poi di risolverli. L’approccio delle scienze della complessità – un curioso miscuglio molto interdisciplinare di biologia, informatica, un po’ di neuroscienze e vari altri ingredienti minori, dalla statistica all’archeologia, con la matematica a tenere insieme il tutto – potrebbe avere qualche risposta.

Beh, pare proprio che avrò parecchie occasioni di studiare queste cose. A partire dall’anno accademico 2010-2011 sono infatti uno studente di dottorato in economia quantitativa all’università spagnola di Alicante. Il mio supervisore sarà David Lane, che fa parte dello Science Board del leggendario Istituto di Santa Fe, e se tutto va bene discuterò la tesi nell’autunno 2012. L’argomento della tesi è piuttosto pratico: voglio capire come usare le reti sociali per eseguire dei compiti. Le reti, non le persone che le compongono.

Il problema è molto più aggrovigliato di quanto sembra. Abbiamo sempre detto che le dinamiche sociali sono emergenti. La maggior parte degli oggetti interessanti nella società, dal sistema di Common Law alle culture e perfino alla criminalità organizzata, sono sistemi adattivi complessi, e il loro comportamento è imprevedibile a lungo termine. Non è questione di raffinare i modelli previsionali: secondo questo tipo di scienza, è imprevedibile in linea di principio.

D’altra parte io ho teorizzato (in Wikicrazia) e provato a mettere in pratica (in Kublai e altrove) l’idea di imbrigliare l’intelligenza collettiva per migliorare le politiche pubbliche e, in definitiva, il mondo in cui viviamo. Come conciliare l’imprevedibilità delle reti sociali con la direzionalità che le politiche pubbliche richiedono? Vorrei esplorare l’idea che sia possibile, attraverso scelte di progettazione e la somministrazione di stimoli adeguati, addestrare le reti sociali, come se fossero dei grandi animali; e sfruttare la loro capacità di elaborare l’informazione, che è molto più che umana, per fare vivere meglio gli umani. Questo vuol dire innanzitutto comprenderne la struttura matematica, e cercare di influenzarla; è quello che abbiamo cominciato a fare insieme a Ruggero Rossi, anche lui studente ad Alicante. Comunque sia, ritorno a scuola: a 44 anni, è davvero un lusso e un avventura meravigliosa. Grazie davvero a Giovanni Ponti, il direttore del programma di dottorato, per avermi conferito di nuovo il titolo accademico più importante e prestigioso: quello di studente.

Taming social networks: my Ph.D. at University of Alicante

One of my New Year resolutions for 2010 was “study complexity economics”. In my job as consultant on public policy I find myself facing problems that standard economics cannot even describe, let alone solve them. The complexity approach – a weird interdisciplinary mix of biology, computer science, neuroscience and various add-ons, from statistics to archaeology, with math holding everything together – could hold some of the answers.

It’s looking like I’ll get plenty of chances to study this stuff: I have become a Ph.D. candidate in Quantitative Economics at University of Alicante, in Spain, effective academic year 2010-2011. David Lane, member of the Science Board of the legendary Santa Fe Institute, and – less problems – I shall defend my thesis in the fall of 2012. My line of research is going to be quite practical: I want to figure out how to train social networks to execute some tasks. It’s networks, as opposed to people participating in them, I want to train.

This is more entangled than it seems. We more or less agree that social dynamics are emergent. Most interesting societal strucures, from Common Law to cultures and even the Mob are complex adaptive systems, and their behavior is impossible to predict in the long run. Not because we have bad models: in a complexity framework it is unpredictable even in principle

On the other hand, I have theorized (in Wikicrazia) and tried to practice (in Kublai and elsewhere) that we can and should harness collective intelligence to improve public policies and, ultimately, the world we live in. How to reconcile the unpredictability of social networks with the agency that public policy requires? I would like to explore the possibility of training social networks, through appropriate design choices and stimuli, as you would train some huge animal: using their superhuman information processing capacity to the advantage of humans. This means first and foremost understanding their mathematical structure and trying to influence it: it’s what Ruggero Rossi (another newly enrolled Alicante Ph.D. candidate) and I have started to do. Anyway, I’m going back to school: at 44 it is really a luxury, and a wonderful adventure. My thanks to Giovanni Ponti, the director of Alicante’s doctoral programme, for awarding me the most important and prestigious academic title: that of student.