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Io non sono un idiota: tecnologia, permessi e la mia lavastoviglie

È venuto il tecnico della Whirlpool. La lavastoviglie mi dava problemi. Cercando in rete ho scoperto che questi problemi sono in genere associati a uno scarico otturato. Ho controllato: lo scarico era a posto. Non mi rimaneva che chiamare l’assistenza: per fortuna la lavastoviglie è in garanzia.

Il tecnico è arrivato cinque giorni dopo la mia chiamata. Svitando quattro viti ha aperto uno sportello che accede alla parte inferiore della lavastoviglie (sotto il vano principale dove si mettono le stoviglie sporche) e mi ha chiesto una spugna. Una spugna? Sì. Mi ha spiegato che uno scarico un po’ pigro, dalla portata insufficiente, ha fatto sì che un po’ di acqua sporca fosse “risputata” nella lavastoviglie; la presenza di quest’acqua mandava in blocco la lavastoviglie. Ha asciugato l’acqua con la spugna e richiuso lo sportello: un quarto d’ora di lavoro: totale 62 euro, di cui 50 per l’uscita del tecnico. E la garanzia? Non copre: la lavastoviglie non era guasta, il difetto stava (anzi, era stato) nello scarico.

A questo punto mi sono ribellato. Questo dev’essere un difetto comune, ho detto al tecnico; e non richiede particolari capacità tecniche per essere ripararato: a svitare quattro viti e usare una spugna sono capace anch’io. Perché non lo scrivete nel manuale di istruzioni, o meglio ancora vi aprite un forum di assistenza online? Risposta: “Ma lei non può aprire la macchina. Se lo fa perde la garanzia.”

Cari signori della Whirlpool, io non sono un idiota. Non sarò un tecnico esperto, ma, guarda un po’, ho una minima competenza sull’uso del mio cervello e delle mie mani. So leggere un manuale (se è scritto ragionevolmente bene); so usare attrezzi comuni come cacciaviti, chiavi inglesi e pinze; certamente so usare una spugna. Non ho voglia di avere a che fare con aziende che mi trattano come un minus habens. Leggetevi il Cluetrain Manifesto e il Self-Repair Manifesto, e tornate quando avete capito di cosa si sta parlando. Nel frattempo, se c’è un’azienda di elettrodomestici un minimo più rispettosa dei suoi clienti, con un approccio più permissivo alla tecnologia, che si faccia avanti: sarò lieto di citarla sul blog e di comprarle la mia prossima lavastoviglie.

I’m not an idiot: technology, permission and my dishwasher

The repairman from Whirlpool showed up the other day. My dishwasher was having problems. I looked the issue up online, and found out that they are often associated to a clogged discharge pipe. I checked mine, and it worked, so I had no choice but to call in the professionals. Good thing I’m covered by a comprehensive warranty.

The repairman showed up five days after my call. He removed four screws to access a compartment underneath the main space (where you put your dirty dishes); then he asked for a sponge. A sponge? Yes. He explained that the discharge pipe must have been partially clogged at some point (it was), and that caused some waste water to be spewed back into this lower compartment. That caused the machine to halt its cycle. So he removed the water with the sponge and closed the lower compartment. Fifteen minutes of work, for which he charged me €62. What about the warranty? Doesn’t apply. There was nothing wrong with the machine itself, the problem was (or rather had been) in the discharge pipes.

At this point I protested. This must be a common problem, I told the guy; and it does not require particular training or skills to solve. I can use a screwdriver and a sponge too. Why don’t you write about it in the user’s manual? Answer: “You’re not allowed to open the machine. If you do, you lose your warranty.”

I find this attitude of Whirlpool’s (in fairness, shared by almost all the manufacturers of durable goods) dishonest and insulting. It’s dishonest, because they are selling me a warranty that does not cover a common problem that is very simple to fix, yet it does not allow me to fix it myself. And it’s insulting, because the underlying assumption is that buyers of dishwashers are dangerous idiots that should not be allowed to tamper with a machine. There is also a paricular irony: I bought my dishwasher at IKEA, a company which sells almost only buyer-assembled furniture.

Dear Whirlpool, I am no idiot. I may not be an expert technician, but (though it may come as a surprise with you) I have the basics of using my brain and my hands covered. I can read a manual (if it’s written reasonably clearly) e use simple tools like scredrivers and spanners; I can certainly operate a sponge. I don’t want to deal with companies that treat me like a lump of meat with a credit card. Read the Cluetrain Manifesto and the Self-Repair Manifesto, and come back when you have figured out what it’s all about. In the mean time, if there is a more respectful appliance company out there, with a more permissive approach to technology, make yourself known: I’ll be happy to mention you on this blog, and to buy from you my next dishwasher.

Consumatore sarà lei (Il CEO di EMI Music perde il Cluetrain)

Beh, in fondo un po’ patrioti lo siamo tutti, o lo saremmo se ce lo potessimo permettere, quindi fa piacere trovare un italiano, il 42enne Elio Leoni-Sceti, a fare il CEO di EMI. Gino Castaldo, che da molti anni si occupa di musica per Repubblica, lo ha intervistato per Affari e Finanza e ce ne racconta la strategia per assicurare alla musica magnifiche sorti e progressive. Ne risulta un articolo che fa un po’ impressione. Per due motivi.

Il primo è il meno importante, ma resta un po’ spiacevole. Castaldo si accosta alla sua notizia nella migliore tradizione “in ginocchio da te”. “I conti mostrano sensibili miglioramenti. C’è addirittura voglia di rilanciare […]. Merito di un brillante romano, Elio Leoni-Sceti […]”. Però, uno pensa, bravo questo. Poi gli viene il dubbio e si controlla il Times, da cui salta fuori che il 27 giugno EMI stava “prendendo in considerazione” l’assunzione di Leoni-Sceti. Per quanto possa essere bravo e veloce, i risultati del terzo trimestre difficilmente possono essergli attribuiti integralmente. Peccato: figura non bellissima, che getta un’ombra su tutto il resto dell’articolo.

Il secondo, ben più rilevante, è il contenuto delle dichiarazioni del manager italiano. Leoni-Sceti sembra del tutto impermeabile ai tremendi colpi presi dall’industria musicale negli ultimi sette anni. A leggere l’intervista viene il dubbio che la ragione sia che non sa assolutamente nulla; certamente non sembra averne tratto alcuna lezione significativa. Infatti sostiene  alcune posizioni che davvero pensavo fossero superate definitivamente dagli eventi. Eccole:

1. E’ stato un errore lasciare che l’innovazione tecnologica avvenisse al di fuori dell’industria “Tutto […] i cd, gli iPod e altro, è stato gestito da altri. […] Non si capisce perché dobbiamo lasciare ad altri qualcosa che noi facciamo da anni.” Ehm… Leoni-Sceti, le dice niente il nome Napster? Si ricorda? Quella che era allora la più grande community online della storia con 60 milioni di utenti registrati, creata da uno studente di liceo. E che, puntualmente, si disintegrò circa cinque minuti dopo che l’aveva comprata BMG, cioè la discografia major: gente che non capisce internet e che tendenzialmente la odia. E PressPlay, le dice niente? I suoi colleghi litigarono per anni su formati, interoperabilità, DRM, chi doveva gestire il negozio online etc. Poi arrivò Steve Jobs, uno che capisce internet e la generazione che ci vive dentro. Il resto è storia. Le majors del disco non sono assolutamente in grado di fare innovazione. Le majors vivono (con qualche ragione) l’innovazione come la cacciata dall’Eden. Sono gli ultimi luddisti.

2. Vogliamo ispirarci al consumatore. “Se scopriamo che per il merchandising il fan dei Coldplay spende cinque dollari e quello degli Iron Maiden venti questa informazione può essere elaborata per capire in quale direzione muoversi.” Eccerto, noi siamo consumatori, quindi telecomandabili a forza di MTV e di Sorrisi e Canzoni, quindi ci possono fare comprare i pupazzetti dei Coldplay. Leoni-Sceti, ma si rende conto che lei, manager di un’industria divenuta famosa negli ultimi anni per fare causa ai propri clienti, adesso li insulta sui giornali? Consumatore, scusi, sarà lei. Noi siamo altro: appassionati, smanettoni con chitarre e computer, a volte fruitori a volte artisti. Ha presente il movimento prosumer? World of Warcraft, gli hack sull’iPod, il passaggio epocale del settore della fotografia con l’avvento del digitale? Ha presente Rock Band? Ma sì, le cose che ha letto su The Long Tail e Wikinomics… il ClueTrain Manifesto? Neanche? Niente. Proprio non ci arrivano, le major, a capire che noi non vogliamo essere consumatori della loro musica ma protagonisti della nostra. Del resto, Leoni-Sceti ha maturato la sua idea di consumatore in Reckitt Benckiser (quella del Finish, il detersivo per lavastoviglie) e prima ancora in Procter&Gamble (quella del Dash, il detersivo per lavatrice). Quasi quasi uno si aspetta che annunci una campagna su Carosello.

3. E’ colpa della pirateria. “Ha portato uno scarso riconoscimento al valore del contenuto”. Maddai, ancora? Una prece. E un consiglio: confrontarsi con Joi Ito. Ma andrebbe bene anche un qualunque appassionato di musica. Il prossimo, per favore!