Category Archives: industrie creative e sviluppo

Punk rock e innovazione

Investireste mai in unazienda con questo consiglio di amministrazione?

Investireste mai in un'azienda con questo consiglio di amministrazione?

Il mio modello di innovazione sociale – ormai si sarà capito – è il movimento punk, che ho fatto in tempo, giovanissimo, a vedere sparire dietro la curva nei primissimi 80. Il succo del punk era “ehi, anch’io posso farlo”! Per me questo è stato un imprinting fortissimo, e ne porto ancora i segni. Per fortuna.

Più tardi ho ricostruito un po’ di storia, scoprendo che, fino a cinque minuti prima, era di moda una cosa molto diversa che si chiamava progressive rock, per gli amici prog. Il prog era una musica, uomo, difficile. Non è che un provincialotto qualunque di Sassuolo si metteva lì e suonava il prog. Dovevi sapere l’armonia, teoria musicale, avere i riferimenti culturali.  A me il prog è riuscito immediatamente antipatico. Tanto che per non sbagliarmi, verso il 1980, con la saggezza dei miei 14 anni ho deciso che (1) gli assoli di qualunque strumento sono masturbazione e puzzano di prog. Vietati. (2) I pezzi sopra i tre minuti e quaranta sono pretenziosi e puzzano di prog. Vietati. (3) Tutti gli italiani sono dei provinciali sfigati. Vietati tutti. In pratica buttavo via tutto, salvando un po’ di soul, la musica classica (che in qualche modo mettevo in un mazzo diverso), la disco elettronica fine anni 70, e i primi Beatles. E il punk, e la new wave venuta subito dopo.

Mi pento e mi dolgo. Ma è un pentimento di testa: il mio cuore è ancora con i ragazzi del 76, che hanno letteralmente costretto all’estinzione i sofisticatissimi alfieri del prog con la loro urgenza espressiva, la loro bassa tecnologia, i loro suoni grezzi e slabbrati. E quindi, adesso, io sto con l'”underground tecnologico”, con il subversive engineering che vedo crescere intorno ad Arduino e alle altre piattaforme low cost di prototipazione. Tutti possono fare innovazione, e le idee più disruptive non verranno dai laboratori R&D delle grandi aziende e dalle università più titolate. Quindi, domani (martedì) me ne vado qui. Chi volesse venire, è il benvenuto: porterò perfino le birre. Punk’s not dead.

Una politica antitrust per la cultura: una modesta proposta

A sei mesi di distanza, non riesco a smettere di pensare al brutto affare del Premio Grinzane Cavour (Wikipedia). La storia in sintesi è questa: fondato nel 1982 per avvicinare i giovani alla lettura, il premio è cresciuto molto, gemmando diverse iniziative internazionali. Si tratta di un tipico caso di successo che chiama altro successo: più il premio cresceva, più i suoi finanziatori si mostravano generosi, orgogliosi di contribuire a un’esperienza di eccellenza nel campo degli eventi letterari. Si è stimato che Ministero della cultura, Regione Piemonte, Provincia e Comune di Torino, fondazione bancarie, grandi aziende abbiano finanziato il Grinzane Cavour per circa 23 milioni di euro in 27 anni – a cui vanno aggiunti altri 6 milioni destinati a restaurare la sua sede, il castello di Costigliole d’Asti. A quanto pare, negli ultimi anni il premio letterario più importante in Piemonte riceveva quattro milioni e mezzo di euro l’anno. In questi 27 anni al timone è stata sempre la stessa persona, il fondatore Giuliano Soria.

Dopo il suo arresto nel marzo 2009, Soria ha confessato di avere stornato 915mila euro a scopi privati. Ma non è nemmeno questo il punto. Il punto è che con gli altri 28 milioni di euro il Grinzane Cavour ha finanziato – legalmente – eventi come questo viaggio per giornalisti, che alloggiano al Metropol di Mosca tra lussi sfrenati (una ragazza in abito da sera e guanti bianchi di raso che suona l’arpa mentre fanno colazione al mattino?). Con i costi di quel viaggio si sarebbe potuto fare un discreto premio letterario alternativo al Grinzane.

Soria è un uomo disonesto; la maggior parte dei suoi colleghi non lo è, ma questo non previene gli effetti distorsivi del meccanismo “successo chiama successo” – almeno quando la crescita è finanziata da contributi e donazioni, anziché dal mercato. Nel mondo della cultura ho visto spesso un soggetto crescere molto, fino a monopolizzare l’attenzione dei finanziatori, e quindi a bloccare la crescita di tutti gli altri. In molte città e regioni questi soggetti diventano gli interlocutori privilegiati delle istituzioni: Fondazione Arezzo Wave nella Arezzo degli anni 90 sulla musica, Nicoletta Mantovani (vedova Pavarotti) a Modena per i grandi eventi, Slow Food nel nord Italia per il cibo, e così via. In questi territori, se qualcuno propone un’idea che invade il campo di questi grandi si sente rispondere “Bell’idea! Perché non ne parli con Arezzo Wave” (o Mantovani, o Slow Food, o Soria)?” La parola d’ordine è sempre “razionalizzazione”, per “evitare di farsi concorrenza da soli”.

Io sono un economista industriale, e per me la concorrenza è una cosa buona. Credo che, se in Piemonte si fosse permesso ad altri premi letterari di crescere, Soria avrebbe dovuto limitare gli eccessi, o perdere i suoi finanziamenti a favore di altri organizzatori più efficaci. Mi permetto di suggerire una politica antitrust per la cultura. Gli strumenti si trovano: per esempio, si potrebbe introdurre una regola che dice “nessun soggetto può ricevere più del X% dei contributi del Comune (o della Regione) alla cultura” Oppure si potrebbe subordinare la concessione di contributi pubblici al rinnovo dei gruppi dirigenti delle iniziative culturali. Più che di strumenti, credo si tratti di assumere la distruzione creativa indotta dalla concorrenza (quando funziona) come un valore e un obiettivo per le politiche pubbliche. Non è facile, ma va fatto: temo che ci siano molti altri grandi e piccoli Soria, là fuori, al riparo da minacce concorrenziali e alle prese con tentazioni di tutti i tipi.

Dieci anni di tempesta perfetta: i bloggers italiani fanno il punto sulla musica

Foto: Shivayanamahohm - CCNell’estate 1999 due studenti di diciotto anni lanciano Napster, il padre almeno spirituale di tutti siti di file sharing. Il suo successo senza precedenti (26 milioni di utenti nel mese di picco, febbraio 2001) e l’attacco a colpi di avvocati e di acquisizioni più o meno ostili che ha subito da parte del music business ufficiale sono lo specchio del rapporto mai risolto tra l’industria musicale e Internet.

Dopo dieci anni non possiamo più nasconderci dietro la scusa del “fenomeno nuovo”. E’ tempo di tentare di fare il punto della situazione. Lo faremo lunedì 14 alle 21, con l’aiuto di alcuni tra i più preparati bloggers italiani che si occupano di musica.

Francesco D’Amato ha inventato e coordina il Master in Musica, Comunicazione e Marketing all’Università di Roma – La Sapienza. Ci parlerà di modelli di business, con un approfondimento sul cosiddetto crowdfunding, cioè comunità di fans che si uniscono per finanziare la musica dei loro artisti preferiti.

Gabriele Lunati è consulente new media per Rockol e Elio e le Storie Tese. Ci parlerà di come è cambiata la scena dei media che raccontano la musica.

Antonio Incorvaia è web project manager a Blogosfere. Sosterrà che la musica stessa, almeno quella ufficiale, stia diventando meno creativa.

– Io farò soprattutto da padrone di casa, visto che siamo a Kublai. Ma mi piacerebbe parlare brevemente di come la musica stia diventando un posto poco ospitale per i giovani creativi.
I progettisti di Kublai – ce ne sono molti che si occupano di musica – parteciperanno alla discussione finale.

Alla fine faremo una piccola festa, in cui dovrei fare da dj, sfoggiando la mia invidiata playlist etnoelettronica. Il tutto si svolgerà in meshup tra Second Life e RealLife: si svolge in al Porto dei creativi in Second Life (chiedete a Criscia se vi serve aiuto) e al Creaticity Gate di Via Pasubio 14 a Milano, in zona Garibaldi. Lunedì 14 alle 21.30. Siete tutti invitatissimi: vi chiedo il favore di iscrivervi su Kublai o su Facebook, così compro abbastanza patatine per tutti. 🙂