Tag Archives: ultimatum game

Top 3 (divertenti) errori matematici dei guru della rete

<disclaimer>NON intendo esprimere altro che i più profondo rispetto per gli intellettuali che nomino in questo post. Essi sono infinitamente più saggi e acuti di quanto io sarò mai, e io non sono che polvere sotto i loro piedi. Ma questa è internet, quindi bisogna pure editare e commentare, anche e soprattutto i Grandi. Ecco quindi la mia classifica degli errori matematici commessi dai guru della rete!</disclaimer>

1. Primo premio al grande Howard Rheingold, in Smart Mobs, dove ci descrive la legge di Reed e la paragona a quella di Metcalfe. Così:

[…] il valore di [una rete di] dieci nodi è cento (dieci alla seconda potenza) secondo la legge di Metcalfe e 1024 (due alla decima potenza) secondo la legge di Reed […]. [p. 60]

In realtà queste formule non rappresentano il valore di una rete. Una rete di dieci nodi varrebbe quindi 1024… cosa? Dollari? Pistacchi? Biglietti della lotteria? Ovviamente no. La risposta è che il numero 1024 non è affatto un valore, ma il numero di sottogruppi possibili in un grafo con dieci nodi tutti connessi tra loro. La formulazione corretta – usata infatti da David Reed stesso – è che il valore di una rete in cui si possono formare gruppi (group-forming network) di N nodi cresce proporzionalmente al numero dei sottogruppi in essa possibile, e quindi esponenzialmente a N. In più le formule usate da Rheingold – e quindi i risultati – sono proprio sbagliate: dieci nodi hanno 10x(10-1)/2 = 45 connessioni e non cento, e i sottogruppi possibili sono 2 elevato alla decima potenza meno 11, quindi 1013 e non 1024.

2. Secondo premio a uno dei miei autori preferiti, Clay Shirky. In Here comes everybody – libro splendido – Clay descrive in modo corretto la soluzione di equilibrio all’ultimatum game (buffo, ne avevo parlato qui). Poi racconta ciò che avviene giocandolo nei laboratori di economia sperimentale:

[…] in pratica, tuttavia, il secondo giocatore si rifiuta di accettare una divisione percepita come troppo diseguale (meno di $3 sui $10 totali) anche se questo significa che nessuno dei giocatori riceverà alcunché. Contraddicendo la classica teoria economica, in altre parole, abbiamo una volontà di punire coloro che ci trattano ingiustamente anche sopportando costi [..] [p. 134]

Questo non è proprio un errore matematico, ma omette una cosa talmente importante da mettere a rischio la conclusione, e cioè che questi risultati sperimentali sono viziati da un sacco di problemi, di cui il principale è che dipendono dai valori assoluti dei premi, e non solo dalla divisione proposta. Se giocate l’ultimatum game con 1 miliardo di dollari, e il primo giocatore vi offre un centesimo di quella somma, cioè dieci milioni di dollari, voi intascate i dieci milioni, non vi rinunciate per il gusto di togliere a lui 990 milioni! La questione è aperta, e sarebbe opportuno descriverla come tale.

3. Infine, premio simpatia al guru dei guru Chris Anderson che ha recentemente dedicato un post molto acuto al rischio di generalizzazioni. E scrive:

Ma ora stiamo entrando in un mondo di insiemi infiniti, e questo sconvolge le nostre abitudini linguistiche. Qual’è il numero di “scrittori” in un’era di blog, il numero di “fotografi” in un’era di Flick e di macchine fotografiche incorporate nei cellulari, o “videomakers” nell’era di YouTube?

Pura saggezza di guru. Il problema è nel titolo del post: “Tredici parole che perdono significato quando il denominatore tende all’infinito”. Le parole sono locuzioni che servono alla generalizzazione, come “la maggior parte” (“la maggior parte dei blog”, per esempio), o “la media” (“il video su YouTube medio”, per esempio) . Come i lettori di Chris hanno fatto notare (leggete i commenti, sono divertentissimi), è certamente vero che dire “i blog sono personali” è una generalizzazione insensata, ma questo non ci accucchia proprio niente con denominatori e infiniti. Una frase come “per la maggior parte del tempo passato e futuro, gli umani non sono esistiti e non esisteranno” è vera anche se il denominatore (l’età dell’universo al momento del Big Crunch) è quanto di più vicino all’infinito possiamo concepire. Dopo una raffica di commenti di questo tipo, Chris commenta a sua volta:

Sì, potete contarmi tra quelli che a volte usano il linguaggio matematico in modo approssimativo per esprimere un’opinione. Ma almeno io lo ammetto!

Come si fa a non volergli bene, a uno così? :mrgreen:

Top 3 fun mathematical errors made by net gurus

<disclaimer>I do NOT express anything but my deepest respect for the thinkers I quote in this post. They are infinitely smarter and wiser than I will ever be: I am dust beneath their feet. But this is internet, so even the likes of me needs to edit and comment, on the Great and the Good more than on the guy in the next cubicle. So, Ladies and Gentlemen, without further ado I give you my own Top 3 fun math errors made by internet gurus!</disclaimer>

First prize: the great Howard Rheingold. In Smart Mobs he describes Reed’s Law and compares it to Metcalfe’s. Like this:

[…]

Truth be told, these formulae do not compute a network’s value. A ten-nodes network would be worth 1024… what? Dollars? Peanuts? Lottery tickets? Certainly not. The answer is that 1024 is simply the number of subgroups theoretically possible in a graph of ten nodes, each linked to the other nine. A better formulation would be the one used by David Reed himself: the value of a group-forming network increases exponentially, in proportion to 2 to the nth power. In addition to this, the formulae used by Rheingold are just plain wrong: ten nodes have 10x(10-1)/2 = 45 possible links (not one hundred), and the number of possible subgroups is 2 to the tenth power minus ten minus one, hence 1013 and not 1024.

Second prize: one of my favourite authors, Clay Shirky. In Here comes everybody – a great book – Clay correctly describes the equilibria in the ultimatum game. Then he relates what happens when you run ultimatum game experiments in the lab:

[…]In practice, though, the recipient would refuse to accept a division that was seen as too unequal (less than a $7-to-$3 split, in practice) even though this meant that neither persone received any cash at all. Contrary to classical economic theory, in other words, we have a willingness to punish those who are treating us unfairly, even at a personal cost, […] [p. 134]

This is not exactly an error, but it contains an omission so huge as to jeopardize Clay’s conclusion, namely that these experimental results have a number of well-documented methodological problems and should be taken with extreme care. The main problem is that results are thought to depend not only on the split, but also (and crucially) on the absolute value of the prize. If you play ultimatum with a billion dollars, and player 1 offers you a hundredth of that, are you sure you re going to turn 10K down for the pleasure of taking 990K away from him? The matter is open for debate… whereas Clay dismisses it as settled.

Finally, a special award for the nicest attitude goes to Chris Anderson, that guru of gurus, who has recently devoted a very clever post to the risk inherent in generalization.

 But now we’re entering a world of unbounded sets, and it’s messing up our language habits. What is the number of “writers” in the world in an age of blogs, the number of “photographers” in an age of Flickr and cameraphone or “videographers” in the age of YouTube?

Pure guru wisdom. The problem is in the title of the post, “Thirteen words that lose their meaning when the denominator approaches infinity”. The words in question are locutions like “most” (as in “most blogs”) or “average” (as in “the average Youtube video”). As Chris’s readers have not failed to note, it’s certainly true that saying stuff like “most blogs have very few readers” is meaningless, because it attempts to describe the blogs phenomenon through a mean which is just not representative when the population is described by a power law distribution. But this has nothing to do with denominators approaching infinity. A phrase like “For most of time, humans didn’t and won’t exist” makes total sense even if the denominator (the universe’s age at the time of the Big Crunch) is as close to infinity as it gets. After a volley of comments making this point, Chris adds a comment of his own:

Yes, you can count me among those who sometimes use mathematical language sloppily to make a point. But at least I admit it!

How can you not love the guy? :mrgreen:

I Radiohead e la teoria dei giochi

Ritorno a bocce ferme sulla faccenda dell’inedita strategia di prezzo adottata dai Radiohead per il loro ultimo album “In Rainbows”. Come ricorderete che l’album era stato reso disponibile per il download. Non c’era un prezzo fisso, ma piuttosto un meccanismo di offerta libera: chi scaricava poteva non pagare niente, o determinare egli stesso il prezzo da pagare. I risultati sono stati abbastanza controversi: secondo alcuni (per esempio la BBC) è andata male, per altri (come il gruppo stesso, intervistato da Wired) è andata benissimo. Per un verdetto finale avremmo bisogno di dati affidabili sui pagamenti, ma quelli li hanno solo i Radiohead stessi e se li tengono ben stretti, dichiarazioni a parte.

Però c’è un aspetto della storia che è molto chiaro anche senza i dati, e cioè la struttura strategica del rapporto tra i Radiohead e i loro fans. Chi frequenta la teoria dei giochi sa che esiste un semplice gioco a due stadi che descrive molto bene l’operazione di “In Rainbows”, e cioè l’ultimatum game. Funziona così: c’è un dollaro da dividere tra due persone. Il primo giocatore a muovere offre al secondo una ripartizione di questo valore; il secondo può accettare o rifiutare. Se accetta si realizza la ripartizione proposta dal primo, se rifiuta nessuno dei due prende niente. Questo gioco ha un unico equilibrio perfetto nei sottogiochi, che è che il primo giocatore offre al secondo un centesimo, tenendo per sé gli altri 99, e il secondo accetta. Può sembrare iniquo, ma è razionale: nessuno dei due ha nulla da guadagnare a cambiare strategia. Il secondo può rifiutare, ma così perderebbe anche quell’unico centesimo. Il primo può fare un’offerta più generosa, ma dovrebbe rinunciare a parte del denaro. Il prezzo a offerta libera di “In Rainbows” somiglia moltissimo a un ultimatum game: il valore dell’album è la somma da dividere, il primo giocatore è il singolo acquirente, che deve decidere quale prezzo pagare, i Radiohead sono il secondo giocatore. Due osservazioni:

  1. se i dati dichiarati dal gruppo sono anche minimamente attendibili, moltissima gente ha giocato strategie non di equilibrio, pagando somme molto significativamente diverse da zero. Questo però è “normale” scostamento dei dati sperimentali dall’equilibrio matematico.
  2. soprattutto – dicono molti commentatori – non si capisce per quale motivo i Radiohead hanno voluto strutturare la loro interazione con il mercato in un modo così “suicida”.

A me sembra tutto chiarissimo. Immaginate di fare un album, che ovviamente incorpora valore (ci avete lavorato un anno e mezzo e speso un sacco di quattrini). Appena esce – è ovvio – qualcuno lo condivide su eMule/bitTorrent. A questo punto ogni singolo ascoltatore di musica ha tre opzioni: comprare l’album a 20 euro in negozio; comprarlo a 10 euro su Apple Music Store; scaricare gratis. Voi non potete fare altro se non accettare l'”offerta”. In altre parole, il mercato della musica registrata è già strutturato come un ultimatum game; la variante dei Radiohead però ha due vantaggi, quello di permettere la discriminazione di prezzo (mi si permette di pagare 5 euro se ritengo che quello sia il prezzo giusto, in una situazione normale avrei semplicemente scaricato gratis) e quello di costruire reciproca fiducia tra la band e i suoi fans.

Il cantante Thom Yorke ha dichiarato che il gruppo ha guadagnato 8-10 milioni di dollari nella prima settimana dell’operazione “In Rainbows”. Personalmente lo ritengo plausibile. Visto che la teoria dei giochi a qualcosa serve? (Una trattazione più completa è qui).