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La mossa di Talete: perché le previsioni non sono (sempre) scienza e viceversa

Nel corso del lavoro su Wikicrazia, il mio libro, alcune persone mi hanno fatto notare che non mi avrebbe fatto male leggermi gli scritti di Pierre Levy. Nel libro parlo molto di intelligenza collettiva, e Levy è uno dei punti di riferimento su questo argomento. In più, Levy è un filosofo, e accademicamente più rispettabile degli autori più business che avevo citato, cioè Howard Rheingold Clay Shirky e Don Tapscott. Ho iniziato da un saggio del 2001, che si chiama proprio Collective intelligence: a civilisation. Mi ha fatto una grande impressione. Levy sembra avere capito profondamente la natura emergente di molti aspetti chiave della società in cui viviamo, e spinge lo sguardo nel suo futuro con una preveggenza vertiginosa. Non è difficile ritrovare nel nostro presente una coerenza tra le sue teorie e il web 2.0,gli open data, l’innovazione delle forme di collaborazione economica di rete.

Quando uno scienziato fa una previsione, in genere parte da un modello di come funziona un pezzo di realtà. Questo modello viene testato su dati: se passa il test viene poi usato per fare previsioni, in genere al prezzo di doverlo semplificare anche di molto (diceva giustamente Niels Bohr che “Fare previsioni è molto difficile, soprattutto quando riguardano il futuro”). Il saggio di Levy lavora invece in tutt’altro modo. Accanto a ragionamenti ben argomentati, solidi e brillanti, si trova roba inutilizzabile. Ecco un breve catalogo.

MOSSA DI TALETE – Al centro del pensiero di Levy c’è il linguaggio. Il linguaggio è vivo di una vita relativamente indipendente dai suoi vettori organici (noi), e si evolve. Il ciberspazio rappresenta la sua ultima evoluzione. Da questo assunto derivano le previsioni: descrivono gli eventi che servono per realizzare compiutamente questo stadio evolutivo del linguaggio, che comunque ci sarà perché così dice la teoria. Mi ricorda la mossa del vecchio Talete, che aveva costruito una folgorante carriera filosofica sostenendo che tutto fosse composto di acqua. Teoria elegante, ma indimostrabile: rendendosene conto, Anassimene contropropose che tutto fosse invece composto d’aria, segnando così il goal dell’1-1. In mancanza di prove scientifiche, la controversia non si poteva comporre, per cui immagino che a Mileto nel sesto secolo a.C. ci si dividesse tra seguaci dell’aria e dell’acqua come adesso tra Windows e Mac. Ventisei secoli più tardi i fisici stanno ancora lavorando sul problema, ma lo fanno con un metodo molto diverso!

INDUZIONE
– “La scrittura ha portato il politeismo; l’alfabeto il monoteismo; la stampa a caratteri mobili la Riforma protestante. Questo mi suggerisce che il ciberspazio, che è un passo ulteriore nell’evoluzione del linguaggio, sia anche una rivoluzione religiosa.” A parte che i legami di causalità tra scrittura e politeismo, alfabeto e monoteismo etc. mi sembrano degni di essere un po’ più problematizzati, questo equivale a dire che finora abbiamo visto solo cigni bianchi, quindi tutti i cigni devono essere bianchi. Questo modo di procedere è sbagliato e pericoloso, come altri hanno spiegato meglio di quanto potrei fare io.

LETTURA ARBITRARIA DI TENDENZE SEPARATE COME PARTI DI UN QUADRO DI INSIEME – “Cresce il numero dei soggetti che possiedono azioni + cresce il numero delle transazioni di azioni + crescono le fusioni tra le multinazionali => nel mondo vi saranno tre o quattro grandi compagnie per ciascun settore, e saranno soggette al controllo diffuso di cittadini e produttori, anche via boicottaggi.” Beh, questa è anche una previsione sbagliata. Ma è soprattutto la logica ad essere sbagliata: non tiene conto della nascita di nuove imprese, non modellizza i possessori di azioni (per cui i fondi pensione britannici che possiedono azioni BP stanno facendo pressione su Obama perché non cali troppo la scure, alla faccia della responsabilità sociale di impresa) etc. etc.

WISHFUL THINKING – “La convergenza della vita – che sta diventando sempre più geneticamente modificata e artificiale – e tecnologia – che è sempre più viva e intelligente – ci renderà liberi di perseguire obiettivi più creativi.” E perché mai? Questo sarà vero solo se (1) abbiamo capito i processi di convergenza tra vita e tecnologia e (2) abbiamo dimostrato che essi non genereranno eccessivi problemi. Nessuna di queste due condizioni mi pare essere verificata, quindi…

E’ sicuramente ingeneroso criticare Levy su basi di scientificità. L’articolo inizia proprio con una premessa in cui l’autore scrive più o meno: non voglio fare previsione scientifica, ma immaginazione. Non mi interessa dare interpretazioni corrette, ma dare interpretazioni che aprano la strada agli esiti che io ritengo auspicabili. Bene, ma se è così non mi sento di usarle per Wikicrazia. Il mio libro propone alcune estensioni ai processi con cui produciamo decisioni pubbliche. Le decisioni pubbliche sono cose serie, che costano denaro ai contribuenti e che – se sbagliate – possono provocare disagi e sofferenze. Quindi non mi sento di basare la discussione su altro che su una conoscenza in qualche modo scientifica, in cui la mossa di Talete, e le altre descritte qui non sono ammesse. Se si dice una cosa la si deve argomentare; ed essa diventerà vera solo alla conferma sperimentale. Sbaglio? Troppo rigido?

[dedicato a Luca Galli]

I vicini di rete e la forza dell’esempio

Bella storia della Befana: il blogger David Armano e sua moglie si prendono in casa Daniela, un’amica recentemente divorziata da un marito che la maltrattava, con tre figli e nessun mezzo di sostentamento. David fa un post in cui chiede donazioni per 5.000 dollari per prenderle un appartamento, e una mano per fare girare la notizia. In meno di 24 ore i social media raccolgono la storia e la portano all’attenzione generale, e l’appello raccoglie 12.000 dollari. David scrive un post di ringraziamento, in cui esalta il “buon vicinato” della rete. Per chi ha letto The virtual community è evidente l’eco del primo Howard Rheingold, quello “tecnoumanista-ottimista”.

Non credo che le comunità online siano intrinsecamente migliori (né peggiori) di quelle offline. Quelle online più spesso si aggregano su valori condivisi, e tendono a riflettere quei valori, tutto qui. Un social network di genitori di figli autistici sarà intriso di spirito di dono; uno che esalta la “purezza della razza” sarà un luogo triste e sinistro. Il blog di David, poi, è abbastanza neutro sul piano dei valori: parla di user experience design e roba così. Secondo me il motivo per cui la storia di Daniela ha funzionato così bene è David stesso: il “vicino di rete”, uno di cui leggi il blog, uno normale, né delinquente né eroe, che però un giorno sorprende se stesso e gli altri compiendo un atto di umanità, e mettendo se stesso e la propria famiglia sulla linea del fuoco. Il suo primo post si intitolava “Please help me help Daniela’s family”, ed era chiaro che – nell’attesa della generosità dei donatori – la famiglia Armano si era fatta carico del problema. Proprio la “normalità” di David fa scattare la molla dell’emulazione, e forse un po’ anche quella del senso di colpa (“perché io ‘sta cosa non l’ho mai fatta?”). E quindi si mette mano a PayPal.

Bravo David, bravi i suoi lettori. I social media vanno bene per il passaparola, ma ci vuole la forza dell’esempio per avere risultati così.

(qui sotto il video in cui un David visibilmente emozionato, raccolti i primi 7000 dollari in poche ore, ringrazia i suoi lettori)

Top 3 (divertenti) errori matematici dei guru della rete

<disclaimer>NON intendo esprimere altro che i più profondo rispetto per gli intellettuali che nomino in questo post. Essi sono infinitamente più saggi e acuti di quanto io sarò mai, e io non sono che polvere sotto i loro piedi. Ma questa è internet, quindi bisogna pure editare e commentare, anche e soprattutto i Grandi. Ecco quindi la mia classifica degli errori matematici commessi dai guru della rete!</disclaimer>

1. Primo premio al grande Howard Rheingold, in Smart Mobs, dove ci descrive la legge di Reed e la paragona a quella di Metcalfe. Così:

[…] il valore di [una rete di] dieci nodi è cento (dieci alla seconda potenza) secondo la legge di Metcalfe e 1024 (due alla decima potenza) secondo la legge di Reed […]. [p. 60]

In realtà queste formule non rappresentano il valore di una rete. Una rete di dieci nodi varrebbe quindi 1024… cosa? Dollari? Pistacchi? Biglietti della lotteria? Ovviamente no. La risposta è che il numero 1024 non è affatto un valore, ma il numero di sottogruppi possibili in un grafo con dieci nodi tutti connessi tra loro. La formulazione corretta – usata infatti da David Reed stesso – è che il valore di una rete in cui si possono formare gruppi (group-forming network) di N nodi cresce proporzionalmente al numero dei sottogruppi in essa possibile, e quindi esponenzialmente a N. In più le formule usate da Rheingold – e quindi i risultati – sono proprio sbagliate: dieci nodi hanno 10x(10-1)/2 = 45 connessioni e non cento, e i sottogruppi possibili sono 2 elevato alla decima potenza meno 11, quindi 1013 e non 1024.

2. Secondo premio a uno dei miei autori preferiti, Clay Shirky. In Here comes everybody – libro splendido – Clay descrive in modo corretto la soluzione di equilibrio all’ultimatum game (buffo, ne avevo parlato qui). Poi racconta ciò che avviene giocandolo nei laboratori di economia sperimentale:

[…] in pratica, tuttavia, il secondo giocatore si rifiuta di accettare una divisione percepita come troppo diseguale (meno di $3 sui $10 totali) anche se questo significa che nessuno dei giocatori riceverà alcunché. Contraddicendo la classica teoria economica, in altre parole, abbiamo una volontà di punire coloro che ci trattano ingiustamente anche sopportando costi [..] [p. 134]

Questo non è proprio un errore matematico, ma omette una cosa talmente importante da mettere a rischio la conclusione, e cioè che questi risultati sperimentali sono viziati da un sacco di problemi, di cui il principale è che dipendono dai valori assoluti dei premi, e non solo dalla divisione proposta. Se giocate l’ultimatum game con 1 miliardo di dollari, e il primo giocatore vi offre un centesimo di quella somma, cioè dieci milioni di dollari, voi intascate i dieci milioni, non vi rinunciate per il gusto di togliere a lui 990 milioni! La questione è aperta, e sarebbe opportuno descriverla come tale.

3. Infine, premio simpatia al guru dei guru Chris Anderson che ha recentemente dedicato un post molto acuto al rischio di generalizzazioni. E scrive:

Ma ora stiamo entrando in un mondo di insiemi infiniti, e questo sconvolge le nostre abitudini linguistiche. Qual’è il numero di “scrittori” in un’era di blog, il numero di “fotografi” in un’era di Flick e di macchine fotografiche incorporate nei cellulari, o “videomakers” nell’era di YouTube?

Pura saggezza di guru. Il problema è nel titolo del post: “Tredici parole che perdono significato quando il denominatore tende all’infinito”. Le parole sono locuzioni che servono alla generalizzazione, come “la maggior parte” (“la maggior parte dei blog”, per esempio), o “la media” (“il video su YouTube medio”, per esempio) . Come i lettori di Chris hanno fatto notare (leggete i commenti, sono divertentissimi), è certamente vero che dire “i blog sono personali” è una generalizzazione insensata, ma questo non ci accucchia proprio niente con denominatori e infiniti. Una frase come “per la maggior parte del tempo passato e futuro, gli umani non sono esistiti e non esisteranno” è vera anche se il denominatore (l’età dell’universo al momento del Big Crunch) è quanto di più vicino all’infinito possiamo concepire. Dopo una raffica di commenti di questo tipo, Chris commenta a sua volta:

Sì, potete contarmi tra quelli che a volte usano il linguaggio matematico in modo approssimativo per esprimere un’opinione. Ma almeno io lo ammetto!

Come si fa a non volergli bene, a uno così? :mrgreen: