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Il team Edgeryders fotografato all'unMonastery. Da sinistra a destra: Matthias Ansorg, Nadia El-Imam, Alberto Cottica, Noemi Salantiu, Arthur Doohan, Ben Vickers. Photo: Sam Muirhead CC-BY

L’impresa come simbionte: Edgeryders supera uno spartiacque

La settimana scorsa Edgeryders LBG, l’impresa che ho contribuito a fondare, ha chiuso il suo primo contratto importante. Si chiama Spot The Future: lavoreremo con il Programma di Sviluppo delle Nazioni Unite, scrutando l’orizzonte in tre paesi (Armenia, Egitto, Georgia) per individuare tendenze importanti per il nostro futuro comune mentre sono ancora allo stato nascente. Siamo elettrizzati: questo è esattamente il tipo di lavoro cutting-edge che aspiriamo a fare, e Giulio Quaggiotto, Millie Begovic e la loro posse a UNDP-CIS sono esattamente il tipo di persone con cui aspiriamo a lavorare.

Questo accordo segna uno spartiacque nella traiettoria di Edgeryders. Siamo stati un progetto condiviso tra Consiglio d’Europa e Commissione Europea dal lancio a fine 2011 fino alla fine del 2012. A gennaio 2013 alcuni di noi, innamorati di quella che eravamo giunti a considerare come una comunità di valore insostituibile, ne hanno realizzato uno spinoff, migrando la comunità su una nuova piattaforma online. A maggio 2013 abbiamo fondato un’impresa sociale non-profit, Edgeryders LBG, per fornire l’infrastruttura e il senso di direzione che sentivamo necessari per tenere unita la comunità.

L’idea era di fare questo fornendo opportunità di lavoro alla nostra comunità di abitanti del margine (molti di noi sono praticamente impossibili da assumere per varie ragioni: troppo giovani e inesperti, troppo vecchi, troppo minoranze etniche o religiose, troppo anti-autoritari, troppo inclini ad essere autodidatti anziché a brandire Master o PhD…). E non opportunità di lavoro qualsiasi: opportunità con un senso profondo, avanzatissime, ad alto rischio, a un passo dall’incoscienza. Vogliamo essere lo skunkworks della società globale, la Legione Straniera dell’innovazione sociale. La gente che non ha molto da perdere, e quindi può permettersi di guardare in faccia le realtà più dure, di misurarsi con i problemi più spaventosi, quelli in cui il fallimento è quasi sicuro.

Come? In parte direttamente, provando a vendere sul mercato la nostra comunità come un think tank distribuito che sciama quasi istantaneamente intorno a qualunque problema interessante le si ponga; ma la parte più innovativa del modello consiste nel farlo indirettamente, aiutando i membri della comunità a fornire questo tipo di opportunità di lavoro a sé stessi e gli uni agli altri. Per ottenere questo, abbiamo costruito la nostra impresa in modo che possa servire come uno strumento a disposizione della comunità. In questo modo, tutti possono realizzare prototipi rapidi delle loro idee senza preoccuparsi di costituire società: se qualcuno ne ha bisogno, può usare noi come una shell aziendale, un’interfaccia verso un mondo che capisce e si fida delle aziende, ma non delle comunità. In pratica, chiunque lo voglia (con limiti minimali) può indossare la casacca di Edgeryders e parlare con potenziali clienti o finanziatori a nome dell’azienda: questo fa di noi la prima (credo) corporation without permission.  Cerchiamo anche di aiutare informalmente le persone con idee e voglia di fare, soprattutto presentandole ad altri membri della community con capacità ed esperienze rilevanti.

Ci siamo dati un anno per capire se questo piano ha qualche possibilità di funzionare. Non eravamo molto preoccupati – abbiamo imparato la lezione dal settore dell’alta tecnologia attorno a cui molti di noi gravitano, e abbiamo fatto in modo che fallire ci costasse pochissimo.

Mancano tre mesi alla scadenza dell’anno. Ecco a che punto siamo:

  1. Sul fronte aziendale, abbiamo chiuso il contratto UNDP. Altri due sono in trattativa, e speriamo di chiuderli ben prima di maggio.
  2. Abbiamo chiuso un accordo con la città di Matera, che fornisce uno spazio (spettacolare!) e seed funding per il primo prototipo di unMonastery al mondo. Si tratta di un progetto di alcuni edgeryders particolarmente visionari, guidati da Ben Vickers. Dopo molta preparazione, unMonastery Matera ha aperto il primo di febbraio.
  3. Siamo serviti come shell aziendale per diversi progetti della comunity. Due di questi sono riusciti a ottenere seed funding: sono Economy App di Matthias Ansorg, che ha vinto la prima European Social Innovation Competition nel 2013, e Viral Academy di David Bovill, che ha ricevuto un grant del Nominet Trust nel 2014. Sono sicuro che molti altri seguiranno, per ragioni che spiego più oltre. Un altro progetto appena lanciato è EdgeLance di Said Hamideh, un’agenzia di comunicazione che si avvale dell’approccio “estremo” alla comunicazione digitale di molti edgeryders per costruire e vendere servizi a clienti corporate. Anche Said ha deciso di avvolgere EdgeLance nella shell aziendale di Edgeryders LBG. Nuove iniziative vengono annunciate di continuo.
  4. Nel frattempo, la community ha prosperato nonostante il ritiro del Consiglio d’Europa. Siamo riusciti ad organizzare, a budget zero, il terzo evento della serie Living On The Edge, che ha raccolto oltre 100 edgeryders da tutto il continente nella sede (allora non ancora terminata) dell’unMonastery. Nell’ultimo anno, la comunità ha guadagnato 700 nuovi membri e prodotto circa mille posts, wikis e tasks, e oltre tremila commenti.

La mia conclusione: la nostra proof of concept è fatta. Edgeryders può essere un’impresa in utile. Ma siamo consapevoli che dimostrare che qualcosa è possibile non è lo stesso che farla davvero, in pratica. Possiamo anche essere veloci e intelligenti, ma le società di consulenza consolidate sono enormi e influenti. Possiamo davvero ritagliarci una nicchia, espanderla un po’ e difenderla con successo dalle McKinsey, Accenture e Gartner del mondo?

Lo dirà il tempo. Ma abbiamo una cosa a nostro favore: non siamo un predatore, siamo un simbionte mutualistico della nostra comunità. Non ci limitiamo a reclutare le persone più sveglie dalla comunità: odiamo il parassitismo digitale, e ci sforziamo al massimo di non avere mai, mai, un atteggiamento opportunistico. Investiamo nella comunità, la serviamo e cerchiamo di farla crescere: crediamo che possiamo essere un’impresa sostenibile perché la serviamo. Gli investimenti in questa comunità si ripagano dieci volte, perché è così veloce e smart da essere perfino inquietante. Nuove convenzioni e nuovi strumenti continuano a venire proposti: alcuni vengono adottati e si diffondono, come le community calls, il bottone “chiama un umano”, il Twitterstorm, il Task Manager.

Tra le innovazioni di processo più significative potrebbe esserci il FormStorm con il suo Recycling Bin, inventati da Ksenia Serova e il suo gruppo: l’idea è di socializzare la scrittura di proposte e application forms, aiutandosi a vicenda a partecipare a gare d’appalto e competizioni. Ksenia l’ha testata con molto successo sulla European Social Innovation Competition: la comunità si è riunita (virtualmente) e ha prodotto 13 proposte (circa l’1% del totale di tutta Europa!). Due di queste, la danese Moove e la tedesca Food Supply Unchained sono state inserite nella shortlist dei semifinalisti. Lois sta costruendo un prototipo della seconda a unMonastery Matera, un altro segnale che un intero ecosistema sta emergendo da quello che facciamo. Molte altre cose sono in preparazione, ma è troppo presto per parlarne.

Molti edgeryders sono individui insolitamente intelligenti, ma crediamo che questi risultati siano soprattutto una proprietà emergente dell’intera comunità, con i suoi strumenti e i suoi valori. È vera intelligenza collettiva. E se queste cose succedono con meno di duemila utenti registrati, possiamo solo immaginare la velocità con cui ci muoveremo quando quel numero scalerà anche solo a ventimila. Non vediamo l’ora di scoprirlo.

Mi gira in testa una frase dal famoso articolo di Chris Anderson sulla nuova rivoluzione industriale del movimento maker. In quell’articolo descrive la sua azienda, DIY Drones, come una tipica azienda familiare americana, inizialmente ospitata nel suo garage. Poi aggiunge:

Ma la differenza tra questo tipo di piccola impresa e le lavanderie e i negozi di quartiere che costituiscono la maggior parte delle micro-imprese è che noi siamo globali e high-tech. Due terzi delle nostre vendite vengono da fuori dagli USA, e il nostro prodotto compete nella fascia bassa con imprese come Lockeed Martin e Boeing. Anche se non occupiamo molte persone, né facciamo molti solid, il nostro modello di base è di ridurre il costo della tecnologia di un fattore 10 (principalmente non facendo pagare la proprietà intelettuale). Quando riduci i prezzi di un ordine di grandezza in un mercato puoi riplasmarlo radicalmente, portandovi più clienti e clienti di tipo diverso.

Questa è una buona descrizione di quello che stiamo cercando di fare alla consulenza. Siamo piccolissimi, ancora intenti al bootstrap a partire soltanto dal nostro lavoro, eppure siamo già globali – lavoriamo in Armenia, Egitto, Georgia, Germania, Italia, UK; stiamo negoziando contratti in Sudafrica, Svezia, Uganda e gli Emirati Arabi Uniti; partecipiamo a conferenze in posti come la Thailandia e il Montenegro; e la nostra comunità abita in qualcosa come 40 paesi. Siamo appassionatamente aperti, sia nel contenuto che nella tecnologia, e non cerchiamo di guadagnare dal possesso di proprietà intellettuale. E sì, costiamo poco, e cerchiamo di renderci accessibili a persone e organizzazioni che fanno lavoro importante ma non possono permettersi i servizi delle grandi aziende di consulenza.

Se ti ritrovi in questa visione, puoi aiutarci a realizzarla.

  • Se lavori in un’azienda o un’organizzazione del settore pubblico o del terzo settore, puoi essere, come UNDP, uno dei nostri “clienti fondatori”: sarai un early adopter dei nostri servizi (li chiamiamo open consulting), e cercheremo di ripagarti per la tua fiducia in noi superando gli obiettivi che ci diamo insieme, e condividendo con te e la tua organizzazione questo viaggio. Se vuoi capire meglio come potrebbe funzionare, mettiti in contatto con me.
  • Se stai costruendo un progetto per un futuro migliore, o vorresti collaborare a qualcosa in questo senso, unisciti alla comunità di Edgeryders. Mettiti in contatto con Noemi, che ti aiuterà a sfruttarne al massimo le opportunità.

Scrutiamo l’orizzonte per UNDP, per scorgervi l’ombra del futuro. Ma sentiamo che un pezzo di futuro, caldo e luminoso, è proprio qui.

Open government Xtreme: le politiche pubbliche in mezzo a noi

Photo by Bridget McKenzie
Il Consiglio d’Europa ha un progetto chiamato Edgeryders (info). Mentre si avvicina alla chiusura, sembra avere catturato un’intuizione sul futuro: non avevo mai visto un progetto lanciato da un’istituzione pubblica e così tecnico nei contenuti (scrivere raccomandazioni per una riforma delle politiche giovanili europee: non è esattamente rock’n’roll) produrre tanta partecipazione civica, tanto senso di ownership.

Nel corso del progetto abbiamo organizzato una conferenza chiamata Living On The Edge (#LOTE per gli iniziati), che ha avuto luogo a Strasburgo a giugno 2012. Con mia grande sorpresa, circa un mese fa la comunità di Edgeryders si è autoconvocata a Bruxelles per una #LOTE2 (info), che avverrà dal 6 al 9 dicembre. Ecco cosa sta succedendo:

  • le persone pagano di tasca loro per partecipare. Siccome gli edgeryders tendono ad essere giovani e a non avere molti soldi, stanno provando a trovare modi per aiutarsi a vicenda. Quelli che abitano a Bruxelles aprono le loro case per ospitare #LOTErs da fuori.
  • il Parlamento Europeo ha offerto gratuitamente una sede per il venerdì 7. Il credito va alla 25enne Amelia Andersdottir, parlamentare del Partito Pirata svedese, e ai suoi assistenti.
  • un’artista di Bruxelles ha offerto di affittare a prezzo politico un grande studio per le altre giornate – gli edgeryders più poveri possono anche accamparsi.
  • una edgeryder francese particolarmente intraprendente ha preso il telefono e chiamato AirB’n’B. Risultato: uno sconto di 25 euro ai #LOTErs che staranno presso AirB’n’B nei giorni della conferenza. Intrigata dal progetto, AirB’n’B ha deciso di partecipare all’evento con due esperti di community building.
  • tutta l’organizzazione è basata sul lavoro volontario di membri della comunità. Il risultato è uno straordinario arcobaleno di giovani europei generosi e capaci. Asta (islandese) si è incaricata della logistica. Noemi (romena) e Andrei (moldavo) tengono aggiornato il sito e si assicurano che non ci siano vuoti di informazione. Giovanni (italiano) si occupa di ufficio stampa. Matthias (tedesco), Michal, Petros, Mike (polacchi) e Eimhin (irlandese) stanno scrivendo le specifiche per riprogettare il sito di Edgeryders basato sulle richieste della comunità.
  • le istituzioni cominciano ad accorgersi che sta succedendo qualcosa. Ogni giorno riceviamo offerte e suggerimenti, anche da dirigenti senior.
  • nel frattempo Elena – una 23enne russa che vive in Svezia – ha tratto ispirazione dal progetto per lanciare Edgeryders Sweden, che riutilizza il nome, l’estetica, il materiale visivo e i valori di Egderyders (non c’è problema – è tutto in licenza Creative Commons). Elena non ha partecipato a Edgeryders, l’ha scoperto di recente attraverso una conoscente.

Tutto questo è un assaggio di quello che potrebbe succedere se cercassimo davvero il coinvolgimento dei cittadini nelle politiche pubbliche. Al centro, il Consiglio d’Europa regge il suo ruolo. Ma la sua parte in #LOTE2 è diventata una strana creatura: da una parte tutti ne riconoscono la leadership in Edgeryders, il progetto che ha ispirato queste attività. Dall’altra, però, non ha molta scelta se non accodarsi. La comunità ha messo insieme un evento a budget praticamente zero: paradossalmente, se il Consiglio d’Europa volesse dissociarsene, i #LOTErs probabilmente si stringerebbero nelle spalle e farebbero l’evento ugualmente. E perché no? “Dovremmo pensare al governo come a una piattaforma”, dicono le persone che si occupano di open government. E le piattaforme non prendono decisioni operative: abilitano le persone a fare qualunque cosa essi ritengano utile a costruire il bene comune.

Questo potrebbe essere il futuro dell’azione di governo: costruire piattaforme per l’azione collettiva, poi fare un passo indietro e accettare che rappresentanti eletti e funzionari pubblici facciano da secondo violino ai cittadini semplici nella maggior parte delle situazioni. D’altra parte, potrebbe anche essere solo un momento dorato, l’ultimo bagliore dell’autunno: è così che ci sembrerà, in retrospettiva, se le istituzioni europee non vedranno il potenziale di tutta questa voglia di collaborare, o se semplicemente non riusciranno a cedere abbastanza controllo perché i cittadini prendano in mano parte delle politiche pubbliche. In quel caso, il sistema ritornerà alla sua modalità di default – decisioni prese dall’alto e attuate in modo amministrativo-burocratico – senza che ci sia nemmeno bisogno di prendere una decisione. Questa modalità non funziona: chiedete ai cittadini europei, ormai prossimi all’insofferenza, cosa pensano dell’efficacia delle loro istituzioni comuni. Ma è molto, molto più rassicurante.

Crowdsorcery: come sto imparando a costruire comunità online

Sto lavorando alla costruzione di una nuova comunità online, che si chiamerà Edgeryrders. È un’attività ancora relativamente nuova, affidata a un sapere ancora non del tutto codificato. Non c’è un manuale di istruzioni che, eseguite, ti garantiscono i risultati: alcune cose funzionano ma non sempre, altre funzionano più o meno sempre ma non capiamo perché.

Non è la prima volta che faccio cose del genere, e sto scoprendo che anche in un campo così complesso e meravigliosamente imprevedibile si può imparare dall’esperienza, e come. Alcune delle iniziative di Edgeryders sono riadattamenti dell’esperienza Kublai: il crowdsourcing del logo, e il reclutamento del team a partire dalla neonata comunità, ad esempio. Per altre decisioni mi sono ispirato a progetti non miei, come Evoke o CriticalCity Upload; e molto mi hanno insegnato gli errori, sia miei che altrui.

È un’esperienza strana, esaltante e umiliante al tempo stesso. Sei il crowdsorcerer, l’esperto, colui che può evocare ordine e senso dal magma della rete. Tu ci provi: pronunci le formule, agiti la tua bacchetta magica e… qualcosa emerge. Oppure no. A volte tutto funziona benissimo, ed è difficile resistere alla tentazione di attribuirsene il merito; altre non funziona niente, e per quanto ci provi non riesci a trovare l’errore. E l’errore – come il merito, del resto – potrebbe non esserci: le dinamiche sociali non sono deterministiche, e i nostri migliori sforzi non sono sempre sufficienti a garantire il risultato.

Per come la vedo io, la competenza che sto cercando di sviluppare – chiamiamola crowdsorcery – richiede:

  1. pensare in probabilità (con varianza alta) anziché in modo deterministico. Un’azione efficace non è quella che, a colpo sicuro, mobilita dieci contributi di buon livello, ma quella che raggiunge mille sconosciuti, di cui novecento ti ignorano, novanta contribuiscono cose di bassissimo livello, nove ti danno cose di buon livello e uno ti scrive il contributo geniale, che ti rivolta il progetto come un guanto e influenza tutti gli altri novantanove (i novecento sono persi comunque). Il trucco è che nessuno sa chi sia quell’uno, neppure lui o lei, fino a che non cominci a sparare nel mucchio.
  2. monitorare e reagire anziché pianificare e controllare (adaptive stance). Costa meno e funziona meglio: se una comunità ha un tropismo naturale, ha più senso incoraggiarlo e cercare di capire come valorizzarlo che non reprimerlo. Il monitoraggio online è tendenzialmente gratis, anche quello “profondo” alla Dragon Trainer, quindi meglio non risparmiare sulle web analytics.
  3. costruirsi un arsenale teorico ridondante anziché appoggiarsi sulla linea del pragmatismo (“faccio così perché funziona”). La teoria pone domande interessanti, e trovo che cercare di leggere il proprio lavoro alla luce della teoria aiuti il crowdsorcerer a costruirsi attrezzi migliori. Io sto usando molto l’approccio complexity e la matematica delle reti. Per ora.