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Le città emergenti: pensieri lungo il Naviglio della Martesana

Che meraviglia il Naviglio della Martesana! Per i non milanesi, e i molti milanesi che non lo conoscono, si tratta di un bellissimo canale lungo 37 chilometri che porta le acque dell’Adda fino praticamente alla stazione centrale di Milano. Iniziato dal duca Francesco Sforza nel 1457 (e progettato con il contributo della più grande archistar di tutti i tempi, Leonardo da Vinci), il Naviglio è contemporaneamente un’opera per l’agricoltura (raccoglie le acque in eccesso, che alimentavano paludi, e ne permette la redistribuzione su terreni che ne abbisognano: si calcola che in questo modo siano stati valorizzati oltre 25.000 ettari di terreno coltivabile), e un’idrovia navigabile che collega la città all’Adda (e dalla fine del settecento in poi, attraverso il Naviglio di Paderno, al Lago di Como). Tanto per non lasciare le cose a metà, l’idrovia sforzesca è raddoppiata da una strada (alzaia), oggi trasformata in una splendida pista ciclabile che attraversa parchi e centri storici. Il tratto milanese mi ricorda un po’ Camden Town nei miei anni londinesi.

Pedalando sull’argine, pensavo che siamo abituati a considerare in qualche modo necessaria – inevitabile – la Milano attuale, con il sistema delle tangenziali, la quasi-autostrada cittadina di Viale Padova eccetera. Vista da qui, invece, mi appare caotica, priva di progetto e di visione: chiarissimo, invece, è il disegno sottostante la Milano quattrocentesca, le chiuse, i capofossi, i ponti, i parchi, i collegamenti strategici con l’Adda a est, il Ticino all’Ovest, il lago di Como a nord. Milano, insomma, è emergente: è andata così, ma poteva andare diversamente. La città che vediamo è il foglio su cui uomini (e donne, ma meno) separati dai secoli e dai loro diversi atteggiamenti culturali hanno scritto, cancellato, provato a integrare i vecchi disegni in disegni nuovi. E la tecnologia, con l’emergenza delle città, c’entra e molto: il Naviglio della Martesana è un’infrastruttura che valorizza appieno le tecnologie dell’agricoltura intensiva e della navigazione fluviale (gli Sforza avevano chiarissime le implicazioni logistico-militari di potere attraversare il ducato per via d’acqua). La tangenziale è un’infrastruttura che valorizza la tecnologia del motore a combustione interna.

Consiglierei a Diana Bracco e Lucio Stanca, che sono a capo della Società di Gestione dell’Expo, di farsi un giro in bicicletta lungo il Naviglio della Martesana per confrontarsi con le grandi ombre degli Sforza e di Leonardo. E per riflettere sulle scelte di tecnologie e stili di vita – le une, come sempre, strettamente intrecciate agli altri – che informeranno di sé la Milano di domani. La forma della città verrà di conseguenza.

Oggi sciopero

La rete, in questi anni, ha dato vita a forme di convivenza sociale molto fruttifere, ma anche molto delicate. E’ potente e fragile allo stesso tempo. E’ pericoloso, oltre che inaccettabile, che a regolamentarla sia gente che non la vive e non la capisce. Quindi, ringraziando Alessandro Gilioli, aderisco. Per info cliccate sul megafono.
Sciopero!

Hacker culture and public administration culture: a free space for coming together

From Reboot, besides a healthy immersion in the web’s countercultural matrix, I brought back good news: it can be done. The gap between the culture of the European Commission, that designs policy technology in this continent, and that of the producers and advanced users of technology can actually be bridged. I think so because the Reboot community, which kind of stands for the most hacktivist and tech-savvy part of society, showed a clear interest for Wikicrats, the “European” session on technology policy designed by Nadia El-Imam and Bror Salmelin: participation was strong and very diverse. The session produced many interesting comments and at least one good idea, building a resource list of civil servants that share – or at least are friendly to – the Reboot Culture.

For this coming together to really happen we will need time, patience and a radical revision of the narratives. I keep being taken by surprise by how dismissive many civil servants are of their own culture. Tito, for example, keeps saying “We are boring, we use obsolete tools, we don’t get results.” Obsolete tools? Nah. Tito has a PhD at MIT, whereas a lot of people out there can boast little more than a cool Twitter profile. No results? I don’t think so. Public administration gave us free education, water pipes, railways. Even the internet is a project of a government agency! Hacker culture is great, but, with all due respect, it still has to produce any comparable results. For me, public administration is fascinating as a culture: ancient, powerful and mysterious. Its artifacts get me thunderstruck, wondering “How did they do that?”, like for the pyramids in Egypt.

So, what I would like to see is free spaces like Wikicrats, where the hacker culture and the public administration culture can explore each other with mutual respect, and try to do stuff together. At the very minimum it will mean a healthy breaking free from self-referentiality, that cultural poison, as David pointed out. And if a synthesis between them could be achieved… well, then humanity would actually get a chance to tackle its global challenges.