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Lies, damned lies and infographics: implications for open data policies

Sorry, this post in Italian only.

Come molti altri, sto cercando di farmi un’idea sulla morte del web profetizzata da Wired. Se mi viene in mente qualcosa di sensato da dire in merito lo farò. Per ora la cosa che mi sembra più urgente è lanciare un “allarme infografiche”.

L’articolo di cui tutto il morituro web sta discutendo si apre con una bellissima infografica colorata in perfetto stile Wired (questa qui a sinistra), in cui si vede bene che la quota del traffico internet (cioè pacchetti di dati TCP/IP) attribuibile al web è in calo: da questo calo parte la discussione. A questo punto, Rob Beschizza su Boing Boing ha provato a ridisegnare il grafico partendo dagli stessi dati (la fonte è Cisco) ma in valore assoluto, tenendo conto che il traffico web si è moltiplicato per un fattore centomila dal 1996 al 2005, e il traffico Internet si è moltiplicato per un fattore sette dal 2006 al 2010. Il risultato è che il web non solo cresce, ma cresce a una velocità crescente. Il grafico è risultato così:

Oltretutto, diversi commentatori hanno osservato che misurare l’uso di internet in consumo di banda, invece che – diciamo – in tempo di fruizione sopravvaluta l’importanza degli usi multimedia (video e VOIP) rispetto a quelli basati sul testo (email).  Tutta la discussione di Anderson assume un sapore completamente diverso: è comunque intelligente e argomentata, ma perde l’aura profetica, e anzi sembra un po’ una roba furbetta e vagamente interessata.

Non saprei dire se il web è morto o meno, ma sono abbastanza sicuro che è il momento di farsi qualche domanda seria sulla visualizzazione dell’informazione. Negli ultimi anni si è lavorato molto su questo tema, a partire dal presupposto – corretto – che l’evoluzione ci ha dotato di un cervello molto veloce nell’elaborare gli stimoli visivi.  Un grafico a torta comunica in modo molto più immediato di una tabella o, Dio non voglia, di un’equazione. A partire da questa considerazione uno dei miei eroi, il pioniere dei computers Douglas Englelbart, finì per concepire i computers come macchine con cui comunicare tramite un’interfaccia grafica. Le infografiche sono una punta avanzata di questo movimento, metà informazione, metà arte.

Ma forse l’elaborazione più lenta ha anche un vantaggio: ci permette di prendere un po’ di confidenza con il dato, di esaminarlo con un minimo di distanza critica. L’immagine, ancora di più del dato, ha un potere seduttivo che può essere strumentalizzato, e spesso lo è. Nel campo specifico degli open data, cioè dell’apertura e diffusione delle basi dati delle autorità pubbliche, Daniel McQuillan (tra gli altri) ha avuto modo di commentare che la visualizzazione, proprio per questo motivo, finisce per non dare trazione alle comunità.

Alle tre categorie di menzogne di Sir Charles Dilke — bugie, maledette bugie e statistiche — se ne potrebbe aggiungere una quarta, quella delle infografiche: che sarebbero poi menzogne al quadrato, perché già si basano su dati “massaggiati” (la scelta di Wired di usare quote di banda anziché valori assoluti secondo me è furbetta, scandalistica e in definitiva in contrasto con la deontologia dei giornalisti)  e ad essi aggiungono la seduzione delle immagini e del colore. Vabbeh, direte voi, è Wired, mica l’American Economic Review, serve a fare un po’ di chiacchiere al prossimo aperitivo. Mica tanto, perché l’argomento trattato è politicamente molto carico, e vengono dichiarati vincitori Jobs, Zuckerberg e i sostenitori degli ecosistemi chiusi. Se noi ci comportiamo come se la previsione fosse vera, contrinbuiremo a farla avverare, comprando iPad e apps. L’orientamento “leggero” dell’opinione pubblica non è privo di conseguenze, come si vede bene nella politica italiana.

Conclusione 1: come al solito, non ci sono pranzi gratis. L’abilità del cervello nell’elaborare stimoli grafici lo rende anche più vulnerabile ai tentativi di influenzare questa elaborazione. Conclusione 2: se qualcuno vuole convincervi di qualcosa, e a sostegno delle sue conclusioni tira fuori una grigia, brutta tabella in bianco e nero è probabile che abbia in mano qualcosa: se tira fuori una bella infografica professionale e colorata, beh, meglio stare in guardia. E tenere d’occhio il portafoglio.

Buoni propositi per il 2010: ridurre i viaggi di lavoro (Italiano)

Anche nel 2009 per lavoro ho viaggiato molto. Troppo. Sto aspettando il secondo rapporto semestrale di Dopplr, ma credo di girare sui 100mila chilometri, con le conseguenze facilmente immaginabili in termini di inquinamento e congestione. La cosa buffa è che questi viaggi, con qualche eccezione, non sono davvero necessari. Le autostrade, le ferrovie e gli aerei trasportano soprattutto informazione (o almeno è così per il traffico passeggeri). Beh, come modo di trasportare informazione l’A3 Salerno-Reggio Calabria, la tangenziale est a Milano e il Freccia Rossa Milano-Roma sono inefficienti in un modo assolutamente spettacolare. E’ un po’ come spingere una barca facendo esplodere dinamite a poppa e lasciandosi trasportare dall’onda d’urto dell’esplosione: funziona (un po’), ma è dannoso, pericoloso e molto, molto rozzo.

Gli esperti di mobilità non hanno ancora capito una cosa assolutamente ovvia: il sostituto dell’auto non è l’auto elettrica o a idrogeno. Non è il trasporto pubblico urbano. E’ internet, che sposta informazione senza spostare atomi (giusto qualche elettrone, che pesa mooolto meno di noi).

Facciamo un patto, nell’interesse del pianeta e della nostra stessa serenità: compriamoci tutti quanti una cuffia con microfono da 20 euro, installiamo Skype e Second Life per quando vogliamo parlarci. Soprattutto, impariamo a coordinarci con i nostri colleghi usando di più la parola scritta – e asincrona – e di meno le chiacchiere, aiutandoci magari con qualche software di project management, e lavoriamo sereni dai nostri uffici nella nuvola. Viaggiamo, certo, ma facciamolo per vedere luoghi nuovi, o per abbracciare una persona amica. E aboliamo, finalmente, una tecnologia sociale davvero obsoleta, e che infatti odiano tutti: la riunione.

Buoni propositi per il 2010: ridurre i viaggi di lavoro

In 2009 I travelled on business a lot. Too much. I am waiting the second six-months Dopplr report, but I think I am somewhere around 100,000 kms, with the consequences that you can imagine in terms of pollution and congestion. Well, as information transport technology go, motorways, trains and airplanes are spectacularly inefficient. It’s like propelling a boat by exploding dynamite aft of the vessel, and counting on the explosion’s shockwave to move it: it (kinda) works, but it iss damaging, dangerous and very, very coarse.

Gli esperti di mobilità non hanno ancora capito una cosa assolutamente ovvia: il sostituto dell’auto non è l’auto elettrica o a idrogeno. Non è il trasporto pubblico urbano. E’ internet, che sposta informazione senza spostare atomi (giusto qualche elettrone, che pesa mooolto meno di noi). Mobility experts are not getting something which should be absolutely obvious: the substitute technology for the car is not the electric (or hydrogen) car; nor is it public transport. It is the Internet, which is good at transporting information without moving atoms around (it does move a few electrons, but those are waaay lighter than us.

Let’s make a deal, in the interest of the planet and of our own well-being: let us all buy a 20 euro headphones and microphone, install Skype and Second Life for interacting with others. Above all, it would be a great idea to learn to coordinate with our colleagues in writing – and asinchronously. There’s quite a lot of great tools out there to help us – many of them free – so we can all enjoy working from our offices in the clouds. Let’s travel, by all means, but let’s do it to explore new or beautiful places, or to give a hug to a loved one. And let’s finally dispose of a really obsolete technology that everybody hates: the meeting.