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Da Port-au-Prince a L’Aquila: buone idee per ricostruire

Searching in the rubble

Daniel Kaufmann fa il punto della situazione dopo-terremoto di Haiti. Nei tre mesi dopo il sisma, la comunità internazionale ha erogato aiuti per oltre due miliardi di dollari (di cui uno da donatori privati); il fabbisogno a tre anni è stimato a 11,5 miliardi. Se nell’emergenza molti aiuti sono stati portati ad Haiti direttamente da associazioni solidaristiche internazionali – bypassando sia le istituzioni che la società civile di Haiti – nei prossimi tempi ci si aspetta che il governo haitiano giochi un ruolo centrale nell’erogazione degli interventi. Ciò richiederebbe uno stato forte ed efficace; lo stato haitiano, invece, non solo è debole, ma è soggetto a cattura da parte di pochissime famiglie dominanti, che lo gestiscono come se fosse una loro proprietà. In questa situazione, il rischio di vedere i denari degli aiuti internazionali sprecati o intascati dai ricchi è, purtroppo, molto concreto. E ancora più concreto è il rischio che la gestione di questi flussi venga affidata ai soliti sospetti, che finirebbero per vederne ulteriormente rafforzata la loro posizione. Questo è stato riconosciuto da tutte le parti in causa.

Molti suggeriscono di copiare la strategia delle autorità indonesiane per la ricostruzione post-tsunami (qui il rapporto della Banca Mondiale), che ha in realtà lasciato la zona di Aceh in condizioni economiche migliori che prima della catastrofe. Kaufmann crede che questo non sia realistico, e suggerisce una strategia “indonesiana” corretta per la presenza di uno stato debole. E cioè:

  1. Mitigare gli effetti dei conflitti di interesse delle figure senior nella pubblica amministrazione e nei tribunali. I loro redditi e le loro proprietà dovrebbero essere pubblicati online in modo che accedervi sia facile. Occorre anche vietare che queste persone gestiscano imprese private, obbligandole a conferire i loro averi a blind trusts.
  2. Ridurre il rischio di cattura. Per esempio, è stato proposto che la Commissione per la Ricostruzione di Haiti sia co-presieduta dal Presidente di Haiti e da uno straniero eminente, come Clinton o Lula. Queste persone non sono ricattabili e tengono al loro buon nome, per cui possono richiamare l’attenzione della comunità internazionale su eventuali irregolarità. In aggiunta, occorre fare in modo che il governo non abbia potere di veto su ciò che la Commissione fa, e renderla molto trasparente incardinando questa trasparenza già nella legge istitutiva
  3. Costruire un sistema di appalti competitivo e trasparente. C’è una cosa che si chiama Internet, che può fare molto in questo senso.
  4. Rendere trasparente il lato dei donatori. Chi mette soldi nella ricostruzione deve rendere pubblico (con il solito criterio della facile accessibilità online e dei dati machine-readable) a chi li sta dando, quanti e per fare cosa.
  5. Dare un ruolo forte alle comunità locali e alla società civile, il “popolo delle carriole” della situazione. I cittadini non sono clienti, e non gli consegni un paese ricostruito “chiavi in mano”. Sono loro i protagonisti della ricostruzione.
  6. Promuovere la trasparenza nelle politiche in senso ampio: istruzione, sanità, fisco, ambiente etc.

Non sono mica dei brutti consigli. Alcuni di questi potrebbero forse essere utili anche nell’Italia del dopo terremoto all’Aquila. Nel mondo globalizzato può capitare anche di dovere “copiare il compito” da Haiti, mentre la performance stellare (dice Kaufmann) dell’Indonesia resta completamente fuori portata.

The Times They Are A-Changin’?

[segue da post precedente]

Da fine settembre in poi sono però tornate ad arrivare, finalmente, anche “energie positive” su Booster:
-Giovanna (un’allieva dei corsi) ci ha scritto una mail fiume dicendo e chiedendo di non mollare (e la stessa cosa hanno fatto altri allievi incontrati a Pescara dopo le ultime riunioni);
-Filippo Tantillo dell’ISFOL ci ha confermato l’interesse e la volontà espressa da parte dell’Accademia dell’Immagine de L’Aquila (oltre che sua personale) di accogliere la nostra proposta e realizzare un video che racconti Booster (diretto da lui e dai suoi allievi), ci ha incitato a rimanere nel progetto e a cercare di realizzare ciò che è possibile (“sarebbe un peccato…”) e su richiesta di Alberto ci ha messo anche in contatto con i responsabili ISFOL per i progetti in Abruzzo…;
-abbiamo trovato (grazie all’Isfol) finalmente un contatto vero con un “operativo” (co.co.co) regionale. La “storia” è la solita: lui è un appassionato di musica e conosce (musicalmente) Alberto e la scena pescarese coinvolta dal progetto…

Si sente insomma quasi un clima di tifo per noi e per il progetto.
Ora le condizioni sembrano cambiate, i riflettori si stanno accendendo sul progetto, abbiamo avviato contatti e collaborazioni con Dps, Isfol e Regione Abruzzo, abbiamo acquisito competenze di project management anche dal punto di vista della gestione formale dei progetti europei, abbiamo imposto integrazioni critiche ai verbali (da consegnare in Regione) e un nuovo verbalizzatore. Anche le “condizioni di lavoro” presenti e future in Booster e dopo il progetto, sono quindi mutate. Gli altri partners sembrano averlo avvertito (non hanno nemmeno provato a fare proposte di attività alternative alle nostre), ma è importante che le istituzioni vigilino sull’effettiva e “adeguata” realizzazione delle proposte per il project work (non più al livello di quelle avanzate in primavera, ma comunque potenzialemente utili agli allievi e alla nostra rete territorriale di progetto).

Speriamo che questo sia l’inizio di una fase nuovamente vitale e interessante della presenza di The Hub in Abruzzo… The Times They Are A-Changin’?

Decadence – la fine dell’impero degli Enti di Formazione

Il sistema della formazione in Abruzzo sta cambiando. La Regione – che pure non si può vantare di alti standard di efficienza e buon governo – ha decuplicato il numero dei soggetti accreditati, ha imposto la revisione contabile, ha sostituito interamente la dirigenza dell’Ufficio Equal… A tutto questo (e altro ancora) si aggiunge la diminuzione drastica delle risorse comunitarie per il passaggio all’obiettivo 2.

Gli Enti di Formazione sono in ginocchio, commissariati, con buona parte del personale in cassa integrazione e sulla via del licenziamento, ormai senza capacità operativa.

Questo avviene dopo anni di “vacche grasse” sui fondi europei, nei quali queste strutture con un monopolio quasi totale del settore si erano iper-specializzate nel conoscere e rispettare “alla virgola” le migliaia di norme e requisiti solo formali richieste dalla Regione per ottenere i finanziamenti (che “garantivano l’impossibilità” per i soggetti realmente innovativi del territorio di accedere a questo tipo di canali di finanziamento, con un assurdo meccanismo di adverse selection) crescendo a dismisura e puntando ad accaparrarsi fondi in qualsiasi ambito di attività: dall’industria al turismo, dai detenuti ai giovani creativi. E con il tempo sono arrivate ad avere un cinismo (ancora più inquitante se si pensa che sono organismi interni ai sindacati nazionali) nei confronti delle attività che svolgono che li porta a concentrarsi “molto più” sullo scrivere le cose “giuste” con il giusto quantitativo di pagine (in modo da garantirsi la gestione di risorse che permattano il loro auto-sostenimento e quindi la giustificazione della propria struttura e del personale), che hai risultati.

In questo quadro da fine impero, i suoi protagonisti, che pure ne sono consapevoli, sembrano però non voler accettare che tutto cambi (quindi anche loro, pena l’esser messi definitivamente “fuori”), e continuano con i loro modi “da furbi” (che poi diventano spesso) arroganti e cinici a cercare di far pesare un potere che hanno sempre meno, non ammettendo i loro errori e rendendosi protagonisti di altri momenti negativi “da non dimenticare” per la storia del nostro progetto. Ne elenco qui alcuni, presi solo dall’ultimo mese, che mi hanno visto da “protagonista incredulo”:
la lettera inventata: il 24 settembre il coordinatore manda in allegato una lettera intitolata “Caro Marco” (dai toni amichevoli e pacati) che sostiene di aver inviato il 7 settembre in risposta a una mia mail, non ricordandosi di aver risposto alla mia mail con tutto il partenariato in copia e con ben altri toni due giorni prima, il 5 settembre (gli altri partners, dopo la mia denuncia, non diranno nulla, come se non fosse successo niente di strano…);
brindisi ai (/alla faccia dei) fondi FSE: il 27 settembre, dopo le polemiche durissime degli ultimi 3 mesi, osservo basito gli altri partners brindare agli Equal (e mi trovo pure “costretto” a partecipare!) e sguazzare nella jacuzzi dell’albergo con vista sul golfo di Palermo (qui invece non partecipo) dopo la “formalissima” (e poco interessante) conferenza chiusa in anticipo dell’ultimo incontro transnazionale;
i partners non leggono i documenti sul progetto (e alcuni manco sanno cosa sta succedendo!): il 15 ottobre ascolto incredulo a questa domanda fatta da un membro della PS di Booster: “ma cosa ne è stato di quella cosa che si doveva fare quest’estate? quella per la quale eravamo andati da Di Pietrantonio (Assessore ai Grandi Eventi del Comune di Pescara, ndr) … non ho capito perchè non si è fatta…” (si riferiva al project work di Booster, affossato dalla PS a giugno-luglio senza neppure sapere bene di cosa si trattasse – evidentemente il problema non era quello -, come era chiaro dalle ripetute domande nelle riunioni di PS sul “cosa fosse un workshop etc.”, nonostante la spiegazione fosse riportata in tutti i nostri documenti da mesi …);
tutte scuse?: durante lo stesso incontro, il 15 ottobre, si mette finalmente in chiaro che tutte le nostre proposte non avevano problemi di rendicontabilità, tant’è che si decide di tenerle e – assieme ad altre – di cercare di realizzarle, con modalità diverse però: spezzettate nel tempo e per partner della PS (ovviamente facendo perdere così di fatto molto del senso e della potenzialità che avevano inizialmente). Allora il problema era solo questo, di far cioè tenere ai partner il controllo sul loro budget e su come utilizzarlo?

Non basta però un partner in disaccordo per garantire l’utilizzo “decente” delle risorse sul project work e la realizzazione delle attività in modo “dignitoso”, per ottenerlo e garantirlo è necessario il monitoraggio delle istituzioni, regionali e centrali: il rapporto con “la committenza”, quello che stiamo ricercando da oltre un anno…