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Di nuovo, casa

Nel 2019, ho acquisito la cittadinanza belga. Avevo cominciato il processo l’anno prima, ammettendo a me stesso che ho intenzione di restare nella mia amata Bruxelles, e cercando di progettermi da eventuali colpi di mano della politica italiana (stile Brexit). Non è stato difficile: un po’ di burocrazia, un paio di cento euro, e la macchina amministrativa belga si è messa in moto.

Il tempo è passato. E poi, un paio di settimane fa, ho ricevuto un invito a sorpresa dal sindaco di Forest (uno dei 19 communes di Bruxelles, dove vivo). Si congratulava con i residenti che avevano recentemente acquisito la cittadinanza belga, e si chiedeva se volessi passare in Comune per un momento di convivialità con lui e i suoi colleghi? Ho risposto certo, che idea simpatica. E stasera sono andato.

Mi aspettavo una formalità. Un discorso generico, fatto da qualche collaboratore del sindaco, seguito dalle tartine di rito. Mi sbagliavo.

Tutta la giunta comunale era schierata per l’occasione. Il sindaco, e sei dei nove
échevins (assessori, più o meno), in tutta la loro gloria multi-etnica (foto sopra). Nessuno sembrava avere fretta. Tutti e sette hanno fatto ogni sforzo per per spiegare che i dipendenti comunali, e loro stessi, sono a disposizione dei cittadini, e che loro porte sono sempre aperte. Quando una signora ha confessato di avere problemi a trovare casa a un prezzo decente, l’hanno praticamente circondata, spiegando cosa i rispettivi uffici possono fare per aggredire il suo problema. Il governo locale, al meglio di sé.

Ma è l’umanità della situazione che mi ha colpito di più. I nostri rappresentanti istituzionali sembravano davvero interessati a conoscere ciascuno di noi individualmente, e contenti e lusingati che avessimo scelto Forest come la nostra casa. Sembrava perfino che gli piacessimo.

La gente li ricambiava, con gli interessi. Diversi “nuovi belgi” si sono alzati per ringraziare l’istituzione per la qualità e l’umanità dei servizi che avevano ricevuto, prima in quanto stranieri, ora in quanto belgi. Una signora, raggiante, ha annunciato di avere lavorato in nero per anni, ma ora il suo status di cittadina le apriva nuove possibilità. Tutti si sono fatti una risata, e il sindaco ha sorriso e detto che gli dispiaceva che avesse dovuto lavorare in quelle condizioni, ma era contento che ora il problema fosse risolto.

Parlando, è saltato fuori che Forest ha 56,000 abitanti di 144 nazionalità diverse. Nel solo 2019, circa 500 residenti stranieri, insieme a me, hanno acquisito la nazionalità belga. Sono numeri incredibili, che mettono a nudo le bugie sull'”emergenza immigrazione”, l'”invasione”. Oltre la metà dei residenti a Bruxelles non aveva la cittadinanza belga alla nascita (fonte). Dovrebbe essere l’emergenza al cubo. Eppure eccoci qui, con il nostro sindaco che ci dà il benvenuto nella vasta, colorata, un po’ sgangherata famiglia bruxellese (sì, orgogliosamente sgangherata, visto che i nostri eroi culturali sono gente così).

Ben giocato, miei concittadini belgi. No, questo paese non è perfetto. Può essere parecchio disfunzionale. Ma queste cose si aggiustano. Quello che per me conta di più sono l’umanità, l’ironia e la tenerezza che così spesso riuscite a infondere nella nostra vita comune. Se questo è il Belgio, sono orgoglioso di avere scelto di vivere qui, e di diventare uno di voi.

Oltre la famiglia nucleare: reinventando il nostro stile di vita a Bruxelles

Tre anni fa, quando progettavamo il trasloco a Bruxelles, Nadia e io abbiamo deciso di condividere l’appartamento. La maggior parte dei nostri amici e dei nostri familiari erano perplessi: non molte coppie adulte decidono di condividere la loro casa, anche se possono permettersi di non farlo. A noi invece sembrava completamente logico. Nadia è svedese, io italiano; al tempo vivevamo a Strasburgo, in Francia. Questo faceva di noi una famiglia nucleare emigrante, completamente tagliata fuori dalla rete di supporto emotivo e materiale offerte dai nostri amici e dalle nostre famiglie di origine. Eravamo semplicemente troppo isolati nel nostro appartamento di Strasburgo, per quanto piacevole; e abbiamo deciso di provare qualcosa di diverso. Così, abbiamo affittato un appartamento molto più grande di quello che sarebbe servito a noi due soli, e abbiamo chiesto a Internet di mandarci qualcuno con cui condividerlo.

Dopo tre anni, pensiamo che l’esperimento sia riuscito. Negli ultimi due abbiamo abitato con Kasia e Pierre, una giovane coppia di espatriati (Kasia è polacca, Pierre francese). Ci godiamo la coabitazione: la casa sembra più animata, e non passa giorno che non chiacchieriamo almeno un po’, facendo colazione o prendendo un caffè. Ci godiamo il soggiorno grande e arioso con vista sulla città. E, francamente, apprezziamo che il nostro stile di vita sia poco costoso relativamente alla sua qualità: grazie alle economie di scala implicite nella vita in famiglia, paghiamo un affitto ragionevole per uno spazio molto bello.

Lungo la strada, abbiamo scoperto che ciò che rende la nostra coabitazione così piacevole è che siamo così diversi tra noi. Veniamo da quattro paesi diversi; abbiamo età diverse (Pierre, il più giovane, ha 19 anni meno di me, il più vecchio); facciamo lavori molto diversi (Kasia è infermiera di un dentista, Pierre dirige una boutique, mentre io e Nadia apparteniamo alla tribù del “cosìè che fai, esattamente?”). Noi viaggiamo moltissimo, mentre loro tendono a stare molto in città Questo funziona bene su molti piani. Su un piano puramente pratico, quando viaggiamo ci piace sapere che la casa è abitata, e che se succede qualcosa Kasia e Pierre possono intervenire; e sono sicuro che a loro fa piacere lo spazio extra. Noi paghiamo l’elettricità, il telefono e Internet, e loro per le pulizie – meno burocrazia per tutti. Abbiamo una stanza in più, che normalmente Nadia e io usiamo come ufficio ma che diventa una bella camera a disposizione degli ospiti di tutti e quattro.

Ma la nostra coabitazione non è fatta solo di aspetti pratici. Kasia e Pierre sono bellissime persone; e, cosa importantissima, sono persone diverse da Nadia e me. Viviamo la città in modi diversi. Abbiamo angolazioni diverse su quasi tutto, dalla politica francese alla birra belga. Confroontarci con loro è sempre interessante, e apprezzo molto le loro intuizioni e la loro saggezza. Non che passiamo molto tempo insieme. Credo che la nostra convivenza si sia sviluppata nell’ordine giusto: siamo partiti da un atteggiamento di rigoroso rispetto reciproco per la privacy e gli spazi gli uni degli altri. Poi, nel tempo, ci siamo avvicinati, abbiamo cominciato a condividere qualche pasto, qualche uscita; abbiamo conosciuto le famiglie e gli amici gli uni degli altri, tutta gente simpaticissima.

Funziona bene. Così bene che, quando un mese fa il nostro padrone di casa ci ha annunciato che il suo appartamento gli serve, e che quest’estate dovremo traslocare, abbiamo deciso di restare insieme, e di cercare un posto nuovo come famiglia ISTAT di quattro persone. Anzi, stiamo considerando di espandere il gruppo. Se quattro persone possono vivere così bene insieme in un appartamento grande, come funzionerebbe se fossimo cinque, o sei, o sette in uno ancora più grande?

Se anche tu te lo stai chiedendo, chiamaci. Prendiamo in considerazione includere nel gruppo una o più persone amichevoli e rispettose, di qualunque età, nazionalità, genere e percorso di vita. Naturalmente, avremo bisogno di trovare lo spazio adatto, in modo da avere aree comuni per la convivialità ma anche spazi privati adeguati per la privacy! Se ti vedi in questo quadro, vieni a trovarci per un caffè e conosciamoci. Alla peggio, avremo preso un caffè in buona compagnia! E se conosci un grande appartamento che potremmo affittare ( almeno tre camere da letto e due bagni, idealmente quattro camere e tre bagni) a Bruxelles (ideali Saint-Gilles, Ixelles, Etterbeek, Anderlecht, Forest o Uccle), ti saremo grati se ce lo farai sapere. Abbiamo bisogno di spazio per reinventare il nostro stile di vita.

Facciamo questa cosa per ragioni totalmente egoistiche: stiamo bene insieme, risparmiamo, viviamo bene. Allo stesso tempo, siamo consapevoli che stiamo lavorando su un problema globale. Il pianeta Terra ha 230 milioni di emigranti internazionali; quelli intra-Unione Europea come noi sono 8 milioni. Molti giovani europei semplicemente non possono permettersi di restare dove sono nati: il lavoro, lo studio, l’amore li portano a emigrare. E quando lo fanno, come noi, perdono le loro reti di supporto, ed è difficile ricostruirle in un paese nuovo. Vivere insieme nella diversità – il giovane con l’anziano, lo sportivo con la persona con problemi di mobilità, l’accademico con l’operaio – diventa la piattaforma principale per condividere le nostre diverse abilità, e per essere in grado, in quanto gruppo, di risolvere problemi di molti tipi, sia emotivi che pratici.

Niente di tutto questo è nuovo. Lo hai certamente sentito dire – probabilmente ai convegni sull’innovazione sociale, probabilmente da persone che vivono in famiglie nucleari della classe media. Ma noi abbiamo deciso di sperimentarlo in prima persona. Probabilmente non sarà la scelta giusta per tutti, ma lo è per Nadia, Kasia, Pierre e me; credo fortemente che possa esserlo per molti altri. Chi vuole unirsi?