Da Reboot, oltre che una sana immersione nella matrice controculturale di internet, porto a casa un messaggio di ottimismo: si puo’ fare. Si puo’ colmare il divario – oggi molto ma molto ampio – tra il modo di pensare della Commissione europea, che progetta le politiche della tecnologia e quello dei creatori e degli utenti avanzati della tecnologia stessa. La comunita’ di Reboot, che rappresenta abbastanza credibilmente la parte piu’ attiva e consapevole del web, ha mostrato un chiaro interesse per Wikicrats, la sessione “europea” sulle politiche per la tecnologia organizzata da Nadia El-Imam e Bror Salmelin: la partecipazione e’ stata nutrita e molto varia, e ha prodotto molti commenti interessanti e un’idea che trovo molto forte, quella di costruire una directory di funzionari pubblici che condividono la cultura di Reboot, o almeno simpatizzano con essa.
Perché questo “coming together” succeda davvero, però, occorreranno tempo, pazienza, e una radicale revisione delle narrative. Continuo a stupirmi di quanto funzionari pubblici anche molto capaci svalutino costantemente la loro cultura: Tito, per esempio, continua a dire “Noi siamo noiosi, abbiamo strumenti superati, non otteniamo risultati”. Strumenti superati? Tito ha un PhD al MIT, che IMHO vale un bel po’ di più dell’avere confidenza con Twitter. Nessun risultato? Non direi: la pubblica amministrazione ci ha dato l’istruzione obbligatoria e gratuita, gli acquedotti, le ferrovie. Perfino internet è un progetto di un’agenzia governativa! La cultura hacker è fantastica, ma, con tutto il rispetto, non ha ancora prodotto niente di paragonabile a tutto questo. Per me la pubblica amministrazione è affascinante proprio come cultura: è antica, potentissima e misteriosa. I suoi manufatti mi fanno rimanere lì a chiedermi “ma come hanno fatto?”, un po’ come le piramidi egizie.
Quindi, quello che mi piacerebbe è frequentare degli spazi liberi come Wikicrats, dove la cultura hacker e la cultura della pubblica amministrazione possano esplorarsi a vicenda e con rispetto l’una per l’altra. Come minimo significherebbe un sano distacco dall’autoreferenzialità, che è un veleno culturale, come dice David. E se si riuscisse a farne una sintesi… beh, l’umanità avrebbe qualche possibilità in più di superare le sue sfide globali.
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