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The 500€ blog posts: e-participation’s unavoidable fiasco

Pedro Prieto-Martin, a Spanish researcher and occasional commentator of this blog, just published a paper on the state of the art of e-participation in Europe. Which turns out to be pretty grim:

  • The European Commission has taken the lead in promoting the discipline, launching several dedicated research programmes
  • since 2000 the EC has funded at least 74 e-participation projects, for a total cost of about 187 million euro; a network of excellence for another 6; and, later, a batch of evaluation and networking initiatives of the existing experiences
  • one of these programmes, eParticipation Preparatory Action, has been the object of a systematic evaluation. Projects funded: 20. Average project cost: 715,000 euro. Average number of participants: 450. Average number of user generated contributions (posts or petition signatures): 1,300. Average cost of one post or signature: 550 euro.

The eparticipation research community has managed to ignore these figures. The evaluation studies of the Preparatory Action’s projects are “unanimously positive”. Despite the Commission’s request of a rigorous cost-benefit analysis none of these studies quotes the 550 euro figure. And the Commission itself has decided, although with some corrections, to go ahead: the main difference between this first batch of projects and the next (projects approved for funding in 2009 and 2010) is, according to the paper, their budget, that increased to an average 2.8 million euro. How could the research community overlook these data? According to the author

Handling this kind of “elephant in the living room”-issues is always problematic, as their very existence tends to be denied because of their complexity or the embarrassment they cause and, as a result, they cannot be acknowledged or discussed, let alone get properly sorted out.

Prieto-Martin thinks that the reason for the not-so-great performance of e-participation projects is essentially this: in line with the tradition of European innovation policy, they have been deployed according to a “push” logic. This means incentivizing technology producers to push innovation out to more or less acquiescent users, in the form best suited to the producers’ interests. And the producers did respond with enthusiasm: unfortunately – partly because of the relative lavishness of the funding – they were in general the wrong applicants. Not the best and the most innovative, but the “usual suspects”: organizations that navigate confidently the bureaucratic requirements of European funded research. These requirements are designed to guarantee bang for taxpayers buck and an impartial allocation of resources, but – as CriticalCity’s Augusto Pirovano explains in this short video – ended up excluding from the game small businesses and civil society organizations, the true innovators.

Prieto-Martin is very critical of the situation, and rightly so. On the other hand I am not convinced it is fair to blame the European Commission for the fiasco. It is a Weberian bureaucracy: its discretional power is limited by design. As I have written before all bureaucracies have trouble relating to networked communities: the latter are made of people and find their meaning in the web of diverse person-to-person relationships, whereas Weberian bureaucracies act on the basis of rational, standardized rules applied to all. I still find convincing what I wrote on that occasion:

I see only one way: a new deal between government and the women and men who work for it. Such a new deal would work like this: administrations have to give trust and breathing space to their servants; and then assess their results, rewarding people who get results and punishing people who don’t. If there are abuses of that trust, they will be dealt with on a case-by-case basis: designing an entire system to prevent abuse is at a high risk to making it too rigid, disabling people to offer their best ideas.

I am no lawyer, but I expect Weberian bureaucracies to be prevented by design to reform themselves in the way outlined. Some kind of external legal provision will be necessary for this to happen. Until then, I guess, we’ll have to cope with a certain number of elephants camping out in the living room.

550 euro per un post: il fiasco inevitabile dell’e-participation

Pedro Prieto-Martin, ricercatore spagnolo e occasionale commentatore di questo blog, ha pubblicato un saggio in cui fa il punto sull’e-participation in Europa. La sua diagnosi è impietosa:

  • la Commissione Europea è stata il primo motore della disciplina, lanciando diversi programmi di ricerca dedicati.
  • dal 2000 sono stati finanziati almeno 74 progetti in questa direzione, per un costo totale di circa 187 milioni di euro; una rete di eccellenza per altri 6; e, più tardi, una serie di iniziative di valutazione e di messa in rete delle esperienze fatte. Questo ha consentito l’emersione di una comunità di ricercatori che lavora sul tema.
  • uno di questi programmi, eParticipation Preparatory Action, è stato oggetto di una valutazione sistematica. Progetti finanziati: 20. Costo medio: 715.000 euro. Numero medio di utenti per progetto: 450. Numero medio di contributi user generated (post o firme a petizioni) per progetto: 1300. Costo medio del post o della firma alla petizione per il contribuente europeo: 550 euro.

La comunità di ricerca sull’eparticipation è riuscita a ignorare questi numeri. Gli studi di valutazione dei progetti della Preparatory Action sono “unanimemente positivi”. Nonostante la richiesta della Commissione di una rigorosa analisi costi-benefici nessuno di questi studi avrebbe mai citato il dato dei 550 euro. E la Commissione stessa ha deciso, se pur con qualche correzione, di continuare sulla stessa strada: la principale differenza tra questa prima generazione di progetti e quella successiva (progetti approvati nel 2009 e 2010) è, secondo il saggio, il budget, che è cresciuto fino a raggiungere la cifra media di 2,8 milioni di euro. Come spiegare un’omissione così clamorosa? Secondo l’autore

Temi di questo tipo sono come il proverbiale elefante nel soggiorno di casa: trattarli è problematico, perché la loro stessa esistenza tende a essere negata a causa della loro complessità e dell’imbarazzo che causano. Il risultato è che non si riesce nemmeno a riconoscere che esistono e a discuterli, figuriamoci a risolverli.

Prieto-Martin pensa che la ragione della performance insoddisfacente dei progetti di e-participation sia essenzialmente questa: in linea con la tradizione delle politiche europee dell’innovazione, hanno seguito una logica “push”. Questa consiste nel fornire incentivi ai produttori di tecnologie innovative a fornirle a utenti più o meno acquiescenti, nella forma che più conviene ai produttori stessi. E i produttori hanno risposto con entusiasmo; purtroppo – in parte a causa della generosità dei finanziamenti – si trattava di soggetti non molto adatti ad innovare. I “soliti sospetti”: organizzazioni abituate alla progettazione europea, che si muovono bene nelle regole burocratiche di questi programmi. Queste regole sono nate per garantire il buon utilizzo del denaro pubblico ed un’assegnazione imparziale ma – come spiega bene Augusto Pirovano di CriticalCity in questo video fulminante – finiscono per essere escludenti nei confronti delle piccole imprese e associazioni esponenti della società civile, i veri innovatori.

Prieto-Martin è fortemente critico, e a ragione. D’altra parte non credo che abbia senso incolpare la Commissione Europea per questo fiasco. È una burocrazia weberiana: il suo potere discrezionale è molto limitato by design. Come ho già scritto, tutte le burocrazie faticano molto ad avere rapporti con le comunità in rete: le comunità sono fatte di persone, e vivono nel rapporto tra persone, le burocrazie weberiane agiscono, invece, sulla base di regole standardizzate, che prescindono completamente dall’individualità. Quello che ho scritto in quell’occasione mi convince ancora:

[…] vedo solo una possibilità: un new deal tra la pubblica amministrazione e le donne e gli uomini che lavorano per essa. Il new deal funziona così: la PA deve dare fiducia e spazio per lavorare ai suoi servitori; e poi valutarne i risultati, premiare chi fa bene e punire chi fa male. Se ci sono abusi, si affronteranno caso per caso: progettare un intero sistema con l’obiettivo di prevenirne i possibili abusi rischia di renderlo rigido e disfunzionale.

Non sono un giurista, ma non credo proprio che le burocrazie weberiane possano autoriformarsi in questo senso: immagino che per questo ci sia bisogno di una normativa che proviene dall’esterno della burocrazia stessa, cioè dal legislatore. Fino a che questo non avverrà, un certo numero di elefanti accampati in soggiorno sarà inevitabile.

L’economista errante: ad Amsterdam con Geoff Mulgan, a Roma con Beth Noveck

Sono di nuovo in viaggio. Ho finito la settimana scorsa con una presentazione del mio lavoro al corso di Complex Social Networks all’European University Institute, a Firenze: adesso sono a Berlino per preparare il programma del WOMEX 2011.

Questa settimana mi aspettano altre due belle occasioni di confronto. Martedì 24 e mercoledì 25 sarò ad Amsterdam alla SIX Spring School sull’innovazione sociale. Mi spetta l’onore di aprire la giornata di mercoledì: gli amici di SIX mi hanno organizzato un’intervista in cui parlare di politiche pubbliche online. In particolare sono interessati al caso Kublai, rappresentativo della straordinaria opportunità che l’Internet sociale offre ai policy makers ma anche delle difficoltà incontrate su questo terreno dalle amministrazioni, concentrate sulle procedure e non sempre in grado di tenere il passo con le dinamiche sociali di rete. Il mio intervistatore è un pezzo da novanta: Geoff Mulgan, l’intellettuale che sembra avere ispirato la recente attenzione della Commissione Europea al tema dell’innovazione sociale. Ex numero uno della Young Foundation, Geoff è diventato recentemente il CEO di NESTA, il principale think tank britannico sul tema dell’innovazione nelle politiche pubbliche. Sono molto curioso di conoscerlo.

Giovedì 26 sarò a Roma, al Senato della Repubblica, per partecipare all’incontro su Democrazia aperta e governo in rete della Fondazione Zefiro (info e registrazione obbligatoria). Sono molto contento di incontrare finalmente di persona Beth Noveck, l’ex vice CIO della Casa Bianca di Obama, con cui ci confrontiamo ormai da un anno. Beth e io faremo i due keynotes della giornata.

E poi a casa! Chissà se Milano è ancora al suo posto… 🙂