Sono di nuovo in viaggio. Ho finito la settimana scorsa con una presentazione del mio lavoro al corso di Complex Social Networks all’European University Institute, a Firenze: adesso sono a Berlino per preparare il programma del WOMEX 2011.
Questa settimana mi aspettano altre due belle occasioni di confronto. Martedì 24 e mercoledì 25 sarò ad Amsterdam alla SIX Spring School sull’innovazione sociale. Mi spetta l’onore di aprire la giornata di mercoledì: gli amici di SIX mi hanno organizzato un’intervista in cui parlare di politiche pubbliche online. In particolare sono interessati al caso Kublai, rappresentativo della straordinaria opportunità che l’Internet sociale offre ai policy makers ma anche delle difficoltà incontrate su questo terreno dalle amministrazioni, concentrate sulle procedure e non sempre in grado di tenere il passo con le dinamiche sociali di rete. Il mio intervistatore è un pezzo da novanta: Geoff Mulgan, l’intellettuale che sembra avere ispirato la recente attenzione della Commissione Europea al tema dell’innovazione sociale. Ex numero uno della Young Foundation, Geoff è diventato recentemente il CEO di NESTA, il principale think tank britannico sul tema dell’innovazione nelle politiche pubbliche. Sono molto curioso di conoscerlo.
Giovedì 26 sarò a Roma, al Senato della Repubblica, per partecipare all’incontro su Democrazia aperta e governo in rete della Fondazione Zefiro (info e registrazione obbligatoria). Sono molto contento di incontrare finalmente di persona Beth Noveck, l’ex vice CIO della Casa Bianca di Obama, con cui ci confrontiamo ormai da un anno. Beth e io faremo i due keynotes della giornata.
E poi a casa! Chissà se Milano è ancora al suo posto… 🙂
Martedì scorso ho fatto l’evangelist. Mi si chiedeva di presentare il tema Open Data a un gruppo di dirigenti e funzionari del Comune di Bologna. L’ho fatto a modo mio: ho provato a dare il punto di vista di chi crede negli Open Data come strategia, ma non se ne nasconde limiti e difficoltà. In particolare — è un mio chiodo fisso — sento il bisogno di promuovere contesti in cui viene premiato, valorizzato e indicato come esempio positivo chi racconta storie basate su dati e convincenti sulla società in cui viviamo: una specie di TED per gli Open Data.
Il mio punto di vista è riassunto nelle slides. Ma la cosa più interessante della giornata è stata senza dubbio l’energia con cui il seminario è stato accolto. Sono arrivati in tantissimi, un centinaio di persone (erano presenti molti alti dirigenti sia del Comune che della Regione, e i referenti dell’e-government all’Università); la partecipazione è stata alta ai limiti dell’accanimento (sono andato a pranzo alle due passate); e gli interventi e le domande sono state di livello eccellente. Gli stessi promotori (grazie Osvaldo Panaro, Leda Guidi e Massimo Carnevali!) sono stati presi in contropiede.
Mi piacerebbe potermi prendere il merito di questo risultato, ma non sarebbe onesto. Si vedeva benissimo che c’è una storia che vuole ripartire: la storia dei dirigenti e dei funzionari pubblici che hanno fatto di Bologna e dell’Emilia un modello per le amministrazioni locali di tutto il mondo. Gente brillante, motivata da un forte ethos pubblico, che ha progettato il futuro e lo ho costruito con le sue mani, guidati da sindaci capaci e amati come Giuseppe Dozza e senza soggezioni nei confronti dei poteri economici forti. Questo modello è in crisi fin dagli anni Ottanta per molte ragioni, non l’ultima delle quali è il deterioramento della qualità della leadership politica emiliana. Eppure la giornata di martedì ha mostrato che i dipendenti pubblici dell’Emilia hanno tenuto sul piano culturale: mantengono abbastanza spirito di servizio e capacità di visione da sentire il bisogno di alzare lo sguardo dal loro day-by-day e abbastanza autonomia da farlo e basta, senza aspettare permessi o imbeccate. Un segnale forte di autonomia è che il seminario è caduto in un momento di vuoto di potere, immediatamente prima delle elezioni, ma nessuno ha detto “aspettiamo il nuovo assessore”.
Diciamolo sottovoce, per scaramanzia, ma forse la storia dell’amministrazione pubblica bolognese sta ripartendo. È una storia potente, e potrebbe arrivare lontano. Da bolognese in esilio, faccio il tifo.
Nel mio libro Wikicrazia sostengo che il settore pubblico, il pezzo della società deputato al perseguimento dell’interesse comune, possa essere reso più intelligente mobilitando l’intelligenza collettiva dei cittadini. Ricorrere all’intelligenza collettiva vuole dire abilitare un gran numero di individui a lavorare in modo coordinato su obiettivi comuni. Questo in genere si traduce in comunità online, che usano Internet come infrastruttura tecnologica e in cui si interagisce sulla base di un patto sociale e di qualcuno che media i conflitti e fa in modo che non si perda di vista l’obiettivo.
Qui però si pone un problema. Da una parte, le comunità online non si possono gestire con il comando top-down: è proprio l’azione libera delle tante persone che le compongono a produrre la loro straordinaria efficienza nell’elaborare grandi quantità di informazione. Dall’altra, le politiche pubbliche hanno per definizione una missione da compiere che viene dall’esterno della comunità che le attua: mentre gli utenti di Facebook sono su Facebook per stare insieme, e non importa quello che poi faranno usando quella piattaforma, quelli di Peer to Patent sono lì per valutare domande di brevetto; quelli di Kublai per elaborare progetti di impresa creativa; quelli di Wikipedia (non è una politica pubblica, ma ne ha alcune caratteristiche) per scrivere un enciclopedia. I community managers, me compreso, si dibattono in questo dilemma come possono: quasi l’unico modo che hanno per interpretare le dinamiche sociali delle loro comunità è passare una quantità spropositata di ore online, e cercano di influenzarle con la persuasione, l’esempio, la retorica. Ma si lavora molto a istinto, questo è chiaro. E quando le comunità diventano relativamente grandi — anche solo qualche migliaio di persone – è davvero difficile capire cosa sta succedendo.
Ho pensato che il nostro lavoro migliorerebbe molto se avessimo un software che accresce le nostre capacità di lettura delle dinamiche sociali online. In essenza, una comunità di policy è una rete sociale, e quindi può essere rappresentata con un grafo di nodi e link e studiata matematicamente. Le dinamiche sociali della comunità si dovrebbero riflettere sulle caratteristiche matematiche del grafo che la rappresenta: per esempio, la creazione di un gruppo coeso di utenti senior in Kublai nel 2009 veniva segnalata dalla formazione di una struttura che si chiama k-core. Se riusciamo a costruire una specie di vocabolario che traduca le dinamiche sociali in cambiamenti nelle caratteristiche matematiche del grafo, possiamo usare l’analisi di rete per individuare le dinamiche di comunità che a occhio nudo non si vedono, perché sono “troppo macro”: e questo funziona anche per comunità molto grandi, almeno in linea di principio.
Sviluppare questo software sarà il lavoro della mia tesi di Ph.D. Mi aiuteranno i colleghi dell’Università di Alicante e dell’European Center for Living Technology. Per ora si chiama Dragon Trainer, perché gestire una comunità online che deve svolgere un compito esogeno è come ammaestrare un drago: che è troppo grosso e pericoloso per essere costretto a fare quello che vuoi, e quindi va sedotto o convinto. Se ti interessa capire come sarà fatto, guarda il video qui sopra (12 minuti).I intend to develop this software as my Ph.D. thesis. Colleagues at University of Alicante and the European Center of Living Technology will help. I call it Dragon Trainer, because doing policy through an online community is like training a dragon, an animal too large and dangerous to order around. If you are interested in learning how we plan to do this, you can watch the video above (12 mins).