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Masters of Networks 3: scienziati delle reti e communities insieme per progettare il futuro della discussione in rete

(Ripostato da Wikitalia)

L’avvento di Internet è stato salutato con gioia e speranza dagli amanti della democrazia. Molti attivisti hanno visto in essa la possibilità di un’agorà elettronica, sempre accesa e dalla memoria perfetta, in grado di realizzare una democrazia partecipativa di stampo ateniese alla scala dell’intero pianeta, e mandare l’intelligenza collettiva al potere. Ma le cose si sono rivelate molto più complicate. Le comunità virtuali esistono da almeno trent’anni; alcune di esse hanno condotto discussioni interessanti e profonde, e perfino realizzato cose meravigliose; altre no. La democrazia partecipativa su larghissima scala è molto lontana dall’essere realizzata.

Masters of Networks 3: communities è un incontro che prova a mettere a frutto l’esperienza di trent’anni di dibattito online. Perché in alcuni contesti la discussione è fruttuosa e creativa, e in altri contrapposizione sterile? Esistono test oggettivi per la “buona salute” del dibattito? Possiamo prevedere l’evoluzione delle discussioni? Proveremo ad affrontare questi temi partendo dall’idea che ogni conversazione, sia in Internet che fuori, è una rete di interazione tra umani, cioè una rete sociale. Nel corso del progetto CATALYST, Wikitalia e i suoi partners hanno costruito Edgesense (demo video), un semplice software per l’analisi interattiva delle comunità online viste come reti (esempio).

Masters of Networks 3: communities è un hackathon di due giorni in cui scienziati delle reti, membri attivi di comunità online e persone interessate alla democrazia partecipativa si ritrovano per discutere di questi temi. Proveremo a visualizzare e analizzare le reti di diverse comunità online, usando come guida la conoscenza profonda di chi quei dibattiti li vive tutti i giorni; il nostro obiettivo è capire come sono fatte le reti di conversazioni “in buona salute”, e se le possiamo distinguere a colpo d’occhio da reti di conversazioni “malate” (troppo conflittuali, superficiali, polarizzate e così via).

Masters of Networks 2: communities si tiene a Roma il 10 e 11 marzo 2015. Ci saranno alcuni scienziati, programmatori e community managers del progetto CATALYST, ma abbiamo aggiunto una decina di posti a disposizione di chiunque voglia partecipare. In particolare, se gestisci una comunità online e ne vorresti una visualizzazione/analisi di rete, è probabile che possiamo aiutarti, e se possiamo lo faremo con piacere. La partecipazione è gratuita, ma l’iscrizione è obbligatoria – vai qui per iscriverti. Per fare sentire benvenuti i partecipanti non italiani, la lingua di lavoro è l’inglese.

Ci sarò anch’io. Credo che questo tema sia centrale; ho provato a dirlo meglio nel video qui sotto.

Imparare dal Twitterstorm: architetture per la collaborazione

Noi della comunità Edgeryders abbiamo inventato il Twitterstorm a settembre, quasi per caso, come un modo facile e divertente di valorizzare la nostra abitudine a lavorare in rete per promuovere le residenze di unMonastery (istruzioni in inglese). Siccome l’esperimento è andato molto bene, abbiamo deciso di ripeterlo per promuovere Living On The Edge – the unPilgrimage, per gli amici LOTE3. Nel frattempo LOTE3 era diventato un progetto non più solo nostro, ma condiviso con la città di Matera, che ospiterà la conferenza. Il nuovo Twitterstorm, che si è svolto il 14 ottobre alle 11.00 CET, era un’occasione per cominciare a collaborare anche prima che gli edgeryders arrivino fisicamente in città.

Twitterstorm è andato, di nuovo, molto bene. Sono stati lanciati oltre 800 tweets, coinvolgendo 187 utenti di Twitter e raggiungendo in circa due ore oltre 120.000 persone in tutto il pianeta – il doppio degli abitanti di Matera! Ma la cosa più bella è stata la facilità della collaborazione spontanea e decentrata (ciascuno partecipava nella propria lingua, con i propri tempi, e con i propri contenuti). Sono stati scritti tweets in italiano, inglese, portoghese, russo, svedese, francese, tedesco e romeno, da utenti che si trovano in 23 paesi diversi. Sebbene stessimo discutendo di un evento che si svolgerà in Italia, gli italiani erano meno del 40% degli utenti coinvolti.

Partecipanti al TWitterstorm per nazionalità

Questo è un risultato bellissimo, ma è anche un po’ strano. Come è possibile che persone con storie e interessi così diversi, che nella maggior parte dei casi non si conoscono nemmeno, lavorino insieme in modo così naturale?

Possiamo rispondere a questa domanda addentrandoci un po’ in quello che effettivamente è successo il 14 ottobre. Come tutto ciò che avviene in rete, i Twitterstorm sono facili ed economici da monitorare. La figura all’inizio del post visualizza le rete del Twitterstorm: i nodi rappresentano utenti di Twitter, gli archi relazioni tra di essi. Le relazioni sono di tre tipi: Alice segue Bob; Alice ritwitta un tweet di Bob; Alice risponde a un tweet di Bob. Tutti e tre i tipi sono visualizzati con un arco da Alice a Bob.

Basta uno sguardo per capire il segreto di questa collaborazione: il gruppo del Twitterstorm in realtà è formato da tre sottocomunità chiaramente individuabili. Quella verde a sinistra è fatta soprattutto da materani, lucani non di Matera o italiani che hanno con la città un rapporto forte. Quella blu a destra è stata una sorpresa: si tratta di un gruppo di persone che fanno riferimento a Ouishare, una comunità che fa centro su Parigi e che si interessa di condivisione. Quella rossa al centro è la comunità Edgeryders-unMonastery. Il gruppo del Twitterstorm si è mosso come una squadra compatta, ma le relazioni al suo interno sono state intermediate su due livelli. Al livello più alto, la comunità Edgeryders-unMonastery ha connesso il gruppo di Ouishare con i “materani”; a un livello più micro, singoli utenti hanno connesso le sottocomunità tra loro: per esempio, alberto_cottica. i_dauria, benvickers_ e noemisalantiu hanno fatto da cerniera tra i “materani” e gli edgeryders, mentre ladyniasan e elf_pavlik hanno svolto lo stesso ruolo tra questi ultimi e il gruppo di Ouishare (il nome di un utente scritto più in grande significa che il percorso più breve tra un numero elevato di altri nodi della rete passa per l’utente in questione: i matematici dicono che l’utente è “molto centrale”). Gli account più centrali di tutti, edgeryders e unmonastery, gravitano verso il gruppo dei “materani”.

Questa architettura del gruppo è ciò che ha reso la collaborazione facile ed efficiente. Notate che le sottocomunità vengono individuate da un algoritmo che non può sapere se un utente è materano o giapponese: esse non vengono dedotte da informazioni sugli utenti, ma dall’osservazione che gli scambi sono più fitti all’interno dei sottogruppi che tra un sottogruppo e l’altro. Il fatto che guardando l’immagine si possa dire “ehi, ma questi verdi sono quasi tutti di Matera!” è una prova dell’efficacia della scienza delle reti per lo studio di processi di questo tipo.

Leggi il post in inglese per un’analisi più approfondita, in cui mi chiedo anche se il Twitterstorm serva a costruire comunità.

Debugging democracy: riprogettare la partecipazione con la network analysis

Qualche settimana fa ho presentato al TEDx Bologna. Ne ho approfittato per provare a mettere insieme i pezzi del mio percorso degli ultimi cinque-sei anni per vedere se ne usciva qualcosa di coerente.

Quello che è uscito è il video qui sopra. Detto in pillole: l’intelligenza collettiva è l’arma migliore che abbiamo per affrontare i molti e gravi problemi che minacciano la nostra specie, e che trascendono la scala individuale. Riscaldamento globale, finanza fuori controllo, disuguaglianze in aumento; non possiamo toccare questi fenomeni, perché non esistono alla stessa scala a cui esistiamo noi, ma a una superiore – un po’ come i neuroni non possono capire, né tantomeno governare, il cervello. Purtroppo la democrazia rappresentativa è congegnata in un modo che non consente l’emergere di soluzioni collettive all’interno delle istituzioni democratiche (nel senso in cui Wikipedia è una soluzione collettiva al problema di scrivere e tenere aggiornata un’enciclopedia). La democrazia partecipativa in teoria potrebbe portare a queste soluzioni, ma non scala. Per farla scalare possiamo usare Internet. Prima progettiamo ambienti di interazione online per sviluppare soluzioni collettive; poi misuriamo le dinamiche sociali che questi ambienti ospitano e favoriscono, come barriere coralline colonizzate da molte specie. Ho scritto misurare, perché, grazie all’analisi di rete, le dinamiche di interazione sociale si possono misurare, anche per comunità piuttosto grandi.

Forse, usando queste tecniche, potremo finalmente realizzare il sogno di una democrazia partecipativa che funziona su scala grande. Dopo venticinque secoli! Sicuramente vale la pena di provarci.A few weeks ago I presented at TEDx Bologna. I used the opportunity to try and stitch together the pieces of my intellectual journey of the past five-six years, and see if they form some coherent pattern.

The result was the video above. In a nutshell: collective intelligence is the most promising weapon we have to face the many dire problems threatening our species, and that transcend the individual scale. Climate change, feral finance, mounting inequalities; we can’t touch these (and others), because they don’t exist at the same scale as us – they emerge from the interaction of billions of us. To address these problems, it seems intuitive that we should deploy an equally emergent, same-level collective intelligence. Unfortunately, representative democracy is concocted in such a way that does not allow the emergence of solutions (in the sense that Wikipedia is an emergent solution to the problem of writing an encyclopedia) within democratic institutions. Participatory democracy could, in theory, lead to such a result, but it does not scale. To make it scale we can use the Internet. First, we design online interaction environments from which we think collective solutions might emerge; then we measure the social dynamics the these environments host and foster, as if they were coral reefs colonized by many species. I wrote “measure” because, thanks to network analysis, social interaction dynamics have become measurable, even for large communities.

Maybe, using these techniques, we’ll finally be able to make the dream of a working, large-scale participatory democracy come true. We have held on to it for twenty-five centuries! It’s certainly worth trying.