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Gli open data diventano grandi

Se abiti in Italia e sei curioso di quanto e come spende (e tassa) il tuo Comune, è il tuo giorno fortunato. Dalla settimana scorsa, OpenBilanci pubblica in rete i dati finanziari dettagliati degli ultimi dieci anni su tutti gli 8,092 comuni italiani. Sono disponibili sia i dati di preventivo che quelli di consuntivo, così come indicatori di performance come autonomia finanziaria e velocità di spesa. Non solo tutti i dati sono in formato aperto e scaricabili: Open bilanci ha anche un’elegante interfaccia web per l’esplorazione preliminare dei dati. Interfacce simili si trovano anche in altri progetti open data italiani, come l’ammiraglia OpenCoesione, che espone dati di spesa su 749,112 progetti finanziati dalle politiche di coesione. Questo non sorprende: OpenCoesione è un progetto pubblico, OpenBilanci è nonprofit, ma la stessa squadra di sviluppatori visionari li ha montati entrambi, usando a volte un’associazione, altre volte un’impresa.

Nello spazio di pochi anni, i dati aperti sono diventati una forza formidabile per l’apertura, la trasparenza e perfino la data literacy in un paese che ha molto bisogno di tutte e tre. Funzionari pubblici lungimiranti in alcune Regioni (e qualche città) lavorano ormai normalmente insieme ai civic hackers: OpenBilanci è stata finanziata dalla Regione Lazio attraverso la sua politica per l’innovazione rivolta alle PMI, mentre l’Emilia-Romagna ha costruito una solida alleanza con la più grande comunità italiana civic hacker, Spaghetti Open Data. Con una mossa elegante, la città di Matera ha deciso di ospitare sul proprio portale open data anche , purché aperti, e così incoraggia una cultura del dato aperto.

Quando le autorità pubbliche non cooperano, i civic hackers italiani semplicemente si aprono i dati pubblici da soli. Uno dei miei progetti preferiti in questo campo è Confiscati bene, nato durante un epico hackathon di Spaghetti Open Data. Il gruppo ha scritto un programma per scaricare tutti i dati (non aperti) contenuti sul sito dell’Agenzia Nazionale per i Beni Sequestrati e Confiscati alla criminalità organizzata. Li ha ripuliti, georeferenziati, resi scaricabili, costruito una bella interfaccia web di esplorazione, messi su un elegantissimo sito nuovo di zecca e regalato il tutto a ANBSC. Anche OpenBilanci è stato costruito a partire dallo scraping di oltre due milioni di pagine web.

La scena italiana è quella che conosco meglio, ma progetti open data interessantissimi appaiono dovunque. Il mio preferito in assoluto è inglese: OpenCorporates raccoglie dati su oltre 60 milioni di imprese di tutto il pianeta. Usando identificatori unici e informazioni sugli assetti proprietari, OpenCorporates porta un po’ di luce sul mondo delle imprese, che ha molti meno obblighi di trasparenza del settore pubblico. Questa visualizzazione interattiva basata su OpenCorporates, per esempio, vi insegnerà molto su Goldman Sachs.

Il movimento open data, pare, è diventato grande. È successo molto in fretta: in meno di quattro anni siamo passati da ristretti circoli di nerd che si entusiasmavano per il discorso “raw data now” di Tim Berners-Lee a una comunità forte e numerosa (siamo quasi mille sulla mailing list di Spaghetti Open Data, e maciniamo una media di venti messaggi al giorno, 365 giorni all’anno) e una falange di giovani decisori che conoscono il tema e sono a stretto contatto con la community. Sono orgoglioso di voi, sorelle e fratelli d’arme. E il meglio deve ancora venire: probabilmente verrà quando ci riuniremo da tutta Europa, e sono sicuro che succederà presto perché i tempi sono maturi. Chissà, la cultura dei dati potrebbe perfino riuscire a spostare la politica europea dalla retorica populista al dibattito basato sui fatti.

La trasparenza fa crescere

Michele Vianello, figura di spicco dell’open government italiano, ha pubblicato un post nel quale si chiede se il movimento open data non abbia preso un abbaglio. A che servono tutti questi dati?

Possibile non si capisca che, in formato open, prima di tutto, andranno messi i dati che potranno generare un valore economico e sociale da parte dei cittadini, delle imprese, della Pubblica Amministrazione? […] quanti punti di PIL sono stati realizzati mettendo in diretta streaming le sedute delle Commissioni parlamentari?

L’idea di Michele, se ho capito bene, si riassume così:

  1. I dati aperti servono principalmente alla crescita economica.
  2. La crescita economica si fa pubblicando dati su cui puoi innestare dei servizi a valore aggiunto, non dati di pura trasparenza amministrativa.

Il punto 1 è stato molto discusso negli ultimi tempi. In ultima analisi, è questione di priorità: Michele (e molti altri) derivano la loro posizione dalle loro priorità. Altri, come Evgeny Mozorov (traduzione italiana), sostengono invece che i dati aperti servano principalmente a fare trasparenza e accountability; e che la trasparenza e l’accountability siano cose buone di per se stesse, e non solo in quanto portatrici di crescita economica. Lasciatemi accantonare questo punto per il momento (ma ci torneremo).

Il punto 2 è sicuramente falso – nel senso che è contraddetto da un mare di letteratura economica. La Corte dei Conti sostiene che la corruzione costa all’Italia 60 miliardi all’anno (il 4% del PIL 2012). Qualche anno fa girava molto questo paper (ma ce ne sono molti altri), che dice: un aumento della corruzione dell’1% (la corruzione, difficile da misurare per definizione, è approssimata con strumenti di polling: uno degli indicatori usati è l’indice di Transparency International) comporta un calo del tasso di crescita del PIL di oltre mezzo punto percentuale. Negli anni, naturalmente, la mancata crescita segue un andamento esponenziale, per cui anche livelli di corruzione di poco peggiori possono portare a perdite gravi di ricchezza. Nel grafico seguente immagino due economie inizialmente uguali (PIL = 100), che crescerebbero del 2% l’anno in assenza di incrementi corruzione. Immagino poi che una di queste due economie veda il proprio indice di corruzione aumentare di un punto percentuale all’anno zero (il tasso di crescita scende di 0.54 punti percentuali); da quel momento in poi, gli indici di corruzione delle due economie rimangono stabili.

Corruption

Dopo vent’anni, il PIL dell’economia virtuosa ha quindici punti percentuali di vantaggio su quella meno virtuosa.  Non è un caso che Banca Mondiale, OCSE, UNDP eccetera abbiano rivolto, negli ultimi anni, un’attenzione crescente alla trasparenza. E non è solo questione di corruzione: la trasparenza amministrativa permette a data journalists e un’opinione pubblica attenta di ridurre gli sprechi (spesa pubblica legale, ma inefficiente). L’effetto sulla crescita della riduzione degli sprechi legali è, dal punto di vista matematico, lo stesso della riduzione degli sprechi illegali. Quando l’ex ministro della coesione regionale Fabrizio Barca ha varato il progetto OpenCoesione (dati aperti su seicentomila progetti finanziati con i fondi di coesione) aveva in mente esattamente questo.

In più, i dati aperti non solo sono un elemento della trasparenza; il mio vissuto di questi anni e le lezioni che ho imparato nela straordinaria comunità di Spaghetti Open Data mi insegna che sono anche un generatore di domanda per ulteriore trasparenza, voglia di capire, ordine nei dati e nei processi. Queste, a loro volta, sono generatrici di riduzione degli sprechi ed efficienza economica.

Conclusione: noi che facciamo parte della comunità open government/open data possiamo avere valori diversi. Ma in practica questo non fa molta differenza: comunque, dovremmo tutti sostenere politiche di trasparenza radicale. Chi è d’accordo con Mozorov, lo farà in nome dei diritti del cittadino a capire come si muovono le pubbliche amministrazioni (e domani, spero, anche le aziende) con cui condividiamo lo stesso spazio e che tanta influenza hanno nelle nostre vite. Chi è d’accordo con Michele lo farà in nome dell’efficienza economica. In entrambi i casi, la trasparenza è un canale ben collaudato e validato dalla ricerca economica attraverso il quale i dati aperti possono generare efficienza e quindi impatto economico. Al momento in cui scrivo, quel canale mi sembra molto più solido di quello (per ora ipotetico) dei posti di lavoro creati da imprese future che venderanno apps basate su dati aperti su AppStore e Google Play.

Del post di Michele abbiamo parlato anche su Spaghetti Open Data. Leggi il thread per sentire opinioni diverse dalla mia.

Diventa civic hacker in poche ore: quattro piccole innovazioni per facilitare la partecipazione online ai non programmatori

Mi sto ancora riprendendo da #SOD13, il primo raduno di Spaghetti Open Data. Quello che ne hanno scritto, anche se a volte esagerato, è largamente vero. #SOD13 è stata una ventata di energia che ha fatto intravedere un altro mondo possibile, e sono orgoglioso di avere contribuito a farlo succedere.

A mio avviso, una delle componenti fondamentali del successo di #SOD13 è stato il suo atteggiamento inclusivo senza compromessi. Spaghetti Open Data è stata inclusiva fin dalla fondazione, perché l’abbiamo voluta così. Al tempo (2010) pensavo a un incontro all’insegna del reciproco rispetto tra due saperi, quello informatico e quello amministrativo, hackers e civil servants. #SOD13 ha mirato più alto: all’inclusione, con un ruolo da protagonista, di chiunque voglia essere parte della comunità. Il problema era fare questo senza rinunciare a volare alto, sfruttando il sapere tecnico dei membri più esperti della comunità. Volevamo essere inclusivi non indirizzando tutto il raduno verso attività “soft”, a basso contenuto tecnico, (per esempio discutere dei principi primi degli open data), ma fornendo ai partecipanti una specie di menu di cose da fare. Cose diverse sul menu richiedono competenze diverse: programmare, leggere e scrivere codice giuridico, elaborare dati; ma anche comunicazione, verifica dati, monitoraggio. Ciascun partecipante sceglie cosa fare in base a inclinazioni e capacità, e tutte queste attività concorrono a realizzare, progetti che, nel loro complesso, sono di livello molto alto. In questo modo tutti, indipendentemente da ciò che sanno fare, possono essere civic hackers in senso stretto e immediatamente. L’unico requisito è essere disposti a sporcarsi le mani.

#SOD13 ha progettato e offerto quattro di queste attività.

  1. L’hackathon non tecnico. Guidata da due giovani giuristi appassionati di open data, Morena e Francesco, una track dell’hackathon ha rivisto l’EPSI Scorecard della Commissione Europea nella parte che riguarda l’Italia. Ci eravamo accorti qualche tempo prima che questi dati erano come minimo da aggiornare. Il lavoro di revisione ha richiesto un pomeriggio di lavoro, un bel po’ di ricerche in rete e molta pazienza, ma ha prodotto un risultato straordinario: il punteggio dell’Italia è salito da 300 a 450, anche con un’interpretazione restrittiva. La Commissione ha accettato con molti ringraziamenti il contributo di #SOD13 e ha aggiornato il suo sito ufficiale con i nostri dati. Se, per una volta, siamo nella parte alta di una classifica (quarti dopo Francia, Olanda e UK) lo dobbiamo ai civic hackers di #SOD13. Nella stessa logica, i volontari di SOD stanno popolando “a mano” il database di Twitantonio (un’app per trovare su Twitter i candidati alle elezioni e interagire con loro): questa operazione non richiede altro che una ricerca su Twitter, ma senza di essa l’app è inutile.
  2. Il monithon. Questa idea, semplice e geniale, è stata proposta dal gruppo di Opencoesione, il più grande progetto open data mai fatto in Italia (quelli di Opencoesione sono membri di SOD fin dalla fondazione, quando Opencoesione ancora non c’era, e sospetto che l’idea gli sia venuta proprio frequentando la mailing list). Funziona così: apri il sito di Opencoesione e cerchi i progetti finanziati con fondi di coesione che si trovano vicino a te – nel nostro caso a Bologna. Vai sul posto, suoni il campanello, e chiedi di vedere come va il progetto. Io non ho partecipato, ma la relazione è veramente situazionista. Funzionari ministeriali e cittadini che passano da una scuola all’altra, di sabato, chiedendo notizie dei progetti finanziati con fondi pubblici? Eppure sì, il settore pubblico in Italia è anche questo. Speriamo se ne facciano molti altri.
  3. Il documentathon. Gli sviluppatori – soprattutto nelle comunità open source, dove spesso non sono pagati, non amano produrre documentazione per il codice che scrivono, e spesso, essendo pochi e facendo molto lavoro, non ne hanno il tempo. Risultato: codice non commentato, molto difficile da interpretare, migliorare, usare. Anche “programmatori” con pochissime nozioni possono essere molto utili nello sviluppo di un software, semplicemente aggiungendo al codice scritto da altri qualche riga di commento (“qui simulo il click in alto a destra sulla pagina…”). Se volete vedere un esempio, questo è uno scraper scritto da Vincenzo e modificato e commentato da me.
  4. L’alleanza con le donne. La comunità hacker ha un problema, ed è che le donne se ne tengono lontane – e così perde la metà della sua energia potenziale! Dopo avere letto un post davvero inquietante di Asher Wolf, ho chiesto alla comunità di aiutarmi a rendere Spaghetti Open Data più attraente per le donne. Questo ha portato a una bella collaborazione con Girl Geek Dinner Bologna lungo tutto il raduno. Anche grazie a loro e al loro Spaghetti Open Data Gender Survey, la presenza femminile a #SOD13 è stata ben marcata e di alta qualità (anche sul piano del puro sviluppo software). Anche in futuro intendo fare qualche sforzo in più per costruire ambienti accoglienti nei confronti delle ragazze.

In generale, #SOD13 è stato un passo nella direzione di “siamo tutti civic hackers” – e questa, per quanto mi riguarda, è la direzione giusta. Vedremo come evolve.