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Opengov al quadrato: il Parlamento Europeo apre ai cittadini la sua dichiarazione scritta sull’open government

Il Parlamento Europeo si muove sul governo aperto. Lo fa con una dichiarazione scritta, uno strumento che serve ad aprire o rilanciare dibattiti su temi di competenza dell’Unione.

Con una mossa molto wikicratica, i deputati europei Gianni Pittella, Rodi Kratsa-Tsagaropoulou, Marietje Schaake, Maria Matias, Katarina Nevedalova hanno caricato la bozza di testo della dichiarazione scritta sulla piattaforma per il commento collaborativo co-ment.com. Il titolo del documento scalderà il cuore a chi conosce e ama la forma di governance ultraaperta della rete: Request for comments: Written declaration on open and collaborative government.

La RFC resterà commentabile fino al 9 aprile. Poi verrà riscritta in modo da tenere conto dei commenti, tradotta nelle varie lingue ufficiali dell’Unione e sottoposta al Parlamento. Inutile dire che più la “fase wiki” della scrittura sarà partecipata, più è probabile che gli europarlamentari la approvino, contribuendo a portare il tema open government al centro delle agende della Commissione e degli stati membri. Diamoci sotto.

Buongiorno Wikitalia

Quella che è finita con l’Open Government Data Camp di Varsavia è stata una settimana straordinaria per chi, in Italia, ha a cuore le politiche di governo aperto e di dati aperti. La Regione Emilia Romagna e il Comune di Firenze, hanno inaugurato portali di dati aperti; il Ministero dell’innovazione e della pubblica amministrazione ha aperto il portale nazionale, reclutando l’iniziativa pre-esistente Apps4Italy per aumentarne la potenza di fuoco; ed è stata lanciata Wikitalia, un’iniziativa ambiziosa espressione della società civile.

Uno scenario del genere era impensabile solo un anno fa. Certo, ci sono distinguo da fare e nuove sfide da affrontare, come ci ammonisce Andrea Di Maio; la guardia va tenuta alta, e il bullshit detector acceso e con le batterie ben cariche. Ma intanto godiamoci questo momento, ce lo siamo meritato.

Il percorso italiano verso un governo aperto è diverso rispetto ai casi più noti degli Stati Uniti e del Regno Unito. Là l’iniziativa è stata presa dal governo centrale, mentre da noi la società civile ha un ruolo molto importante, in alcuni casi un ruolo guida. Luoghi di aggregazione informali – il mio preferito è la mailing list di Spaghetti Open Data – hanno permesso ai funzionari pubblici più motivati e avventurosi di interagire con il movimento in modo semiprivato, in modo da raccogliere e consolidare argomenti per “vendere” le politiche di governo aperto all’interno delle proprie amministrazioni. Per questa ragione, noi di SOD abbiamo visto nascere in diretta molte delle esperienze di questo ultimo anno: quelle citate, ma anche altre (fa eccezione in parte la mossa del Ministero, su cui non circolavano molte informazioni fino a qualche settimana fa).

Questa interazione tra istituzioni e società civile è stata straordinariamente costruttiva. Per fare un esempio: il portale dati.emilia-romagna.it è stato lanciato lunedì mattina, e subito ripreso in mailing list. Nel giro di una decina di ore non solo la Regione ha rimediato moltissimi complimenti (poi rilanciati da molti iscritti sui principali social media), ma un gruppo di entusiasti ha spontaneamente (e gratis) collaudato a fondo il sito e postato una serie di suggerimenti e proposte di correzione. Una cosa simile è avvenuta con il sito di dati aperti di ENEL, andato online con una licenza inadatta. I suggerimenti (e in quel caso le critiche) della comunità, amplificate dai social network, hanno portato il responsabile dell’iniziativa all’interno dell’azienda a iscriversi alla mailing list, dove ha ricevuto un caloroso benvenuto e una minuziosa spiegazione di come modificare le licenze per renderle veramente open. Tre settimane dopo ENEL ha modificato la licenza dei propri dati. Pensiamoci: la governance in Italia potrebbe essere così: rispettosa, plurale, veloce, competente e low-cost. Purtroppo in genere non lo è.

Quindi è il momento di un salto di scala, e il salto di scala è appunto Wikitalia. L’idea è stata di Riccardo Luna, che si è imbattuto nel mio libro Wikicrazia nel momento perfetto in cerca di nuove sfide dopo la straordinaria stagione come direttore di Wired. Riccardo si è convinto che la visione che espongo nel libro, di collaborazione mediata da Internet tra cittadini e istituzioni, sia realizzabile e essenziale per vivere decentemente in Italia. Per tutta l’estate ci siamo confrontati in modo serrato (500 messaggi!) per darle forma organizzativa: il risultato è un’iniziativa nonprofit molto corale (grazie allo stile inclusivo di Riccardo) ma molto concreta e “a fuoco” sulle cose da fare (grazie al lavoro di tutti); indipendente dalle amministrazioni, ma che con esse collabora (i comuni di Firenze, Torino e Matera saranno i primi a chiudere accordi di cooperazione); e nativamente globale (ho personalmente insistito per restare in contatto continuo e informale con gente come Beth Noveck, Andrew Rasiej, Marietje Schaake, Micah Sifry, Tom Steinberg e altri).

Quindi, buongiorno Wikitalia. Il paese che vuole rinnovarsi punta su se stesso per passare al livello successivo. Premere START per cominciare. In bocca al lupo a tutti.

Tagli a data.gov: impariamo a gestire le aspettative

Tim Berners-Lee at TED giving the famous "Raw data now" talk

Brutte notizie per il movimento per il governo aperto e i dati aperti. data.gov, il portale di dati aperti dell’amministrazione Obama, chiude subisce fortissime riduzioni di budget, vittima dei recenti tagli al bilancio federale. Lo stesso accade all’IT dashboard dell’ex CTO della Casa Bianca Vivek Kundra. Soprattutto data.gov è un brutto colpo: quello è il modello, imitato dai governi più aggressivi e invidiato dai cittadini di quelli più pigri.

Cosa non ha funzionato? Secondo Steve Keefe, bassa qualità dei dati e troppe promesse. Non sono in grado di pronunciarmi sulla qualità, ma temo anch’io che il movimento open data stia facendo troppe promesse. La premessa che quasi tutti accettano è lo slogan “Raw Data Now” di Tim Berner-Lee: rilasciate i dataset, gli hacker civici e le forze di mercato faranno il resto. I decisori (almeno in alcuni paesi) sono stati ben felici di adeguarsi: il numero di dataset rilasciati è facile da monitorare. Si può interpretare come una misura di efficacia, e fa bella figura sui comunicati stampa.

La domanda di dati non ha retto il passo a cui i dati venivano rilasciati. Non è sorprendente: interpretare i dati per ricavarne storie convincenti è difficile. Gli hackers civici devono sapere di teoria della misurazione, teoria della probabilità, statistica, econometria; essere bravi con i computers non ti serve a niente dopo il download. Ci sono stati alcuni buoni esempi di giornalismo basato sui dati, ma in maggioranza i media hanno ignorato i dati e continuato a intervistare pezzi grossi dei governi e dell’accademia per coprire temi economici, sociali e ambientali. E li posso capire: non ci sono ancora abbastanza lettori per giustificare questo tipo di giornalismo.

Peggio ancora, ci hanno detto che nuovi ecosistemi di servizi innovativi sarebbero sorti intorno alla disponibilità di dati aperti, e che essi avrebbero portato crescita economica e posti di lavoro. Difficile resistere: mettere le parole innovazione, crescita e lavoro nella stessa frase è una delle poche tecniche di accedere a finanziamenti seri in questi tempi di crisi, e proponenti e finanziatori non hanno resistito. Dopo un paio d’anni abbiamo qualche app interessante e qualche impresa che usa i dati. È perfino spuntato qualche posto di lavoro, ma i numeri sono modesti (la cifra più alta che ho visto è di 60 persone in una stessa azienda). Mi stupirei del contrario: la teoria economica ci dice che se il tuo prodotto si basa su una risorsa aperta e inesauribile è molto difficile costruirci intorno dei margini veri. In generale, verrai aggredito da entità non profit e studenti che lavorano sul laptop a zero costi indiretti, e non riuscirai a reggere. Il profitto richiede scarsità, non abbondanza: basta chiedere a qualunque studio di registrazione discografica. Il post di Keefe contiene una notizia interessante, e cioè che le imprese private hanno investito su dati, sì, ma dati privati e ben chiusi.

Sulla base di queste considerazioni e del ridimensionamento di data.gov, consiglierei al movimento open gov-open data di resistere alla tentazione di promettere cose che non si è assolutamente sicuri di potere mantenere. Montare operazioni low cost (e low hype); sottolineare che va benissimo se qualcuno costruisce servizi a valore aggiunto a partire dai dati pubblici, ma che non è questo l’obiettivo del loro rilascio. L’obiettivo è aumentare la trasparenza, efficienza e accountability delle politiche pubbliche. Sarà meno cool; spegnerà i riflettori oggi puntati su di noi e ci chiuderà le porte dei finanziamenti più ricchi, ma terrà il movimento in piedi, proteggendolo dalla delusione, dai tagli ai bilanci pubblici e dalle lobby avverse. Se mi sbaglio, tanto meglio: vorrà dire che tra un anno avremo fatto meglio del previsto, e allora alzeremo il volume della comunicazione.