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Diventa civic hacker in poche ore: quattro piccole innovazioni per facilitare la partecipazione online ai non programmatori

Mi sto ancora riprendendo da #SOD13, il primo raduno di Spaghetti Open Data. Quello che ne hanno scritto, anche se a volte esagerato, è largamente vero. #SOD13 è stata una ventata di energia che ha fatto intravedere un altro mondo possibile, e sono orgoglioso di avere contribuito a farlo succedere.

A mio avviso, una delle componenti fondamentali del successo di #SOD13 è stato il suo atteggiamento inclusivo senza compromessi. Spaghetti Open Data è stata inclusiva fin dalla fondazione, perché l’abbiamo voluta così. Al tempo (2010) pensavo a un incontro all’insegna del reciproco rispetto tra due saperi, quello informatico e quello amministrativo, hackers e civil servants. #SOD13 ha mirato più alto: all’inclusione, con un ruolo da protagonista, di chiunque voglia essere parte della comunità. Il problema era fare questo senza rinunciare a volare alto, sfruttando il sapere tecnico dei membri più esperti della comunità. Volevamo essere inclusivi non indirizzando tutto il raduno verso attività “soft”, a basso contenuto tecnico, (per esempio discutere dei principi primi degli open data), ma fornendo ai partecipanti una specie di menu di cose da fare. Cose diverse sul menu richiedono competenze diverse: programmare, leggere e scrivere codice giuridico, elaborare dati; ma anche comunicazione, verifica dati, monitoraggio. Ciascun partecipante sceglie cosa fare in base a inclinazioni e capacità, e tutte queste attività concorrono a realizzare, progetti che, nel loro complesso, sono di livello molto alto. In questo modo tutti, indipendentemente da ciò che sanno fare, possono essere civic hackers in senso stretto e immediatamente. L’unico requisito è essere disposti a sporcarsi le mani.

#SOD13 ha progettato e offerto quattro di queste attività.

  1. L’hackathon non tecnico. Guidata da due giovani giuristi appassionati di open data, Morena e Francesco, una track dell’hackathon ha rivisto l’EPSI Scorecard della Commissione Europea nella parte che riguarda l’Italia. Ci eravamo accorti qualche tempo prima che questi dati erano come minimo da aggiornare. Il lavoro di revisione ha richiesto un pomeriggio di lavoro, un bel po’ di ricerche in rete e molta pazienza, ma ha prodotto un risultato straordinario: il punteggio dell’Italia è salito da 300 a 450, anche con un’interpretazione restrittiva. La Commissione ha accettato con molti ringraziamenti il contributo di #SOD13 e ha aggiornato il suo sito ufficiale con i nostri dati. Se, per una volta, siamo nella parte alta di una classifica (quarti dopo Francia, Olanda e UK) lo dobbiamo ai civic hackers di #SOD13. Nella stessa logica, i volontari di SOD stanno popolando “a mano” il database di Twitantonio (un’app per trovare su Twitter i candidati alle elezioni e interagire con loro): questa operazione non richiede altro che una ricerca su Twitter, ma senza di essa l’app è inutile.
  2. Il monithon. Questa idea, semplice e geniale, è stata proposta dal gruppo di Opencoesione, il più grande progetto open data mai fatto in Italia (quelli di Opencoesione sono membri di SOD fin dalla fondazione, quando Opencoesione ancora non c’era, e sospetto che l’idea gli sia venuta proprio frequentando la mailing list). Funziona così: apri il sito di Opencoesione e cerchi i progetti finanziati con fondi di coesione che si trovano vicino a te – nel nostro caso a Bologna. Vai sul posto, suoni il campanello, e chiedi di vedere come va il progetto. Io non ho partecipato, ma la relazione è veramente situazionista. Funzionari ministeriali e cittadini che passano da una scuola all’altra, di sabato, chiedendo notizie dei progetti finanziati con fondi pubblici? Eppure sì, il settore pubblico in Italia è anche questo. Speriamo se ne facciano molti altri.
  3. Il documentathon. Gli sviluppatori – soprattutto nelle comunità open source, dove spesso non sono pagati, non amano produrre documentazione per il codice che scrivono, e spesso, essendo pochi e facendo molto lavoro, non ne hanno il tempo. Risultato: codice non commentato, molto difficile da interpretare, migliorare, usare. Anche “programmatori” con pochissime nozioni possono essere molto utili nello sviluppo di un software, semplicemente aggiungendo al codice scritto da altri qualche riga di commento (“qui simulo il click in alto a destra sulla pagina…”). Se volete vedere un esempio, questo è uno scraper scritto da Vincenzo e modificato e commentato da me.
  4. L’alleanza con le donne. La comunità hacker ha un problema, ed è che le donne se ne tengono lontane – e così perde la metà della sua energia potenziale! Dopo avere letto un post davvero inquietante di Asher Wolf, ho chiesto alla comunità di aiutarmi a rendere Spaghetti Open Data più attraente per le donne. Questo ha portato a una bella collaborazione con Girl Geek Dinner Bologna lungo tutto il raduno. Anche grazie a loro e al loro Spaghetti Open Data Gender Survey, la presenza femminile a #SOD13 è stata ben marcata e di alta qualità (anche sul piano del puro sviluppo software). Anche in futuro intendo fare qualche sforzo in più per costruire ambienti accoglienti nei confronti delle ragazze.

In generale, #SOD13 è stato un passo nella direzione di “siamo tutti civic hackers” – e questa, per quanto mi riguarda, è la direzione giusta. Vedremo come evolve.

La collaborazione tra cittadini e istituzioni: una checklist in tre minuti

Ho l’onore di essere stato invitato come speaker al terzo European Meeting Outreach dell’Open Government Partnership, a Roma. Il moderatore – il mio amico Guido Romeo, di Dirittodisapere – era stato spietato: il mio compito era di proporre alla sala una guida al montaggio di processi collaborativi cittadini-istituzioni. In meno di cinque minuti, in inglese e senza usare slides. Ci ho provato, per quanto potevo: alla fine ho usato tre minuti e un bel po’ di semplificazioni.

Dopo il panel, alcune anime gentili sono venute da me, si sono complimentate e mi hanno chiesto se avessi degli appunti da condividere con loro. In effetti sì, ce li avevo: li avevo scritti in una mail senza destinatario – l’esatto equivalente digitale di un tovagliolo di carta. Eccoli qui, tradotti in italiano.

  1. Assicurati che il problema sia adatto. La partecipazione non è molto utile a quando si deve scegliere tra vie che si escludono a vicenda e che tendono a polarizzare il dibattito, tipo “Windows o Linux”. Nella comunità hacker, il brodo di coltura delle tecniche di collaborazione più avanzate al mondo, queste discussioni sono conosciute con il nome di “guerre di religione” perché non convergono mai, non importa quanto se ne parli. In questi casi è meglio votare, o decidere top-down.
  2. Progetta il processo con cura. Questo è molto difficile, perché è una scelta che avviene in uno spazio a molte dimensioni, e non proverò nemmeno ad analizzarla. Lasciatemi dire una cosa sola: la cosa fondamentale nel progettare un processo collaboratico è che le scelte tecniche non sono dettagli di implementazione da lasciare al servizio ICT. Gettano un’ombra sul futuro del vostro processo, perché la tecnologia non è né buona, né cattiva, né neutrale. Esempio: gli strumenti del tipo “dicci la tua idea” sono molto popolari – anche Open Government Partnership li usa. Questi sono stati inventati per il customer relationship management (“ehi, dovreste fare quest’auto anche in verde scuro”); funzionano bene per sollecitare la creatività di chi li usa, ma male per tenere traccia della conseguenze di fare una scelta piuttosto che un’altra. Pensate alle decisioni di bilancio: qualcuno dice “investiamo sulle scuole!” e ottiene molti voti – investire sulle scuole non può essere sbagliato. Ma questo non ci dice a cosa dovremmo rinunciare per avere le risorse da investire sulle scuole. Nel progettare un processo collaborativo bisogna come minimo controllare le proprie scelte tecniche non introducano (e anzi compensino) i bias psicologici, che sono enormi e molto ben documentati; che siano matematicamente eque nella fase di valutazione delle proposte e decisione; e che inducano il cittadino a dare il meglio di sé. Il Parlamento – una tecnologia collaborativa secolare – richiede ai propri membri di chiamarsi a vicenda “onorevoli colleghi”. Questa è un’esortazione; un ricordarsi a vicenda che ciò che unisce gli utenti di questa tecnologia è più importante di ciò che li divide, e spinge l’interazione verso un atteggiamento più collaborativo.
  3. Stai attento alla sicurezza dei cittadini. Alcuni cittadini non vogliono essere profilati, schedati, impacchettati in grandi database e venduti in blocco alle imprese per fini di marketing – e questo include alcuni dei gruppi sociali più impegnati, abili e motivati. Alcuni non si fidano di Google. Parecchi non si fidano di Facebook. Il mio consiglio è: parlate con la comunità hacker. Parlate con il movimento per la privacy. Sono pronti ad aiutarvi. E, se loro si sentono sicuri, questo manderà un segnale incoraggiante a tutti gli altri.
  4. Proponi e rispetta un contratto sociale esplicito ed equo. Oggi ai cittadini si chiede di spendere tempo e intelligenza in molti esercizi partecipativi e collaborativi. Il risultato è un’inflazione delle occasioni di collaborazione. In Italia ci sono circa 200 persone che animano tutte quelle più importanti, e cominciano a mostrare segni di fatica. I cittadini non sono a libro paga del governo; il loro tempo dovrebbe essere usato con rispetto e moderazione, tentando di dare loro qualcosa in cambio. Questo qualcosa in genere sarà influenza e conoscenza. Influenza: in cambio dei miei sforzi, ottengo di influenzare questa decisione del governo. Conoscenza: in cambio dei miei sforzi, ottengo di capire meglio questo problema che mi riguarda. Qualunque sia il contorno preciso del contratto sociale in questione, credo che ogni esercizio collaborativo debba averne uno; e che esso debba comprendere un follow-up, in cui i cittadini vengono ringraziati e informati di cosa il governo ha fatto con il loro input, e perché.

#LOTE2 gearing up: can citizens do actual policy design? (Italiano)

Designing policy
Non vedo l’ora che cominci #LOTE2. Parteciperanno alcune delle persone più interessanti che conosco: e se non bastasse, stiamo montando un bellissimo programma, interattivo e no-spectator-allowed. La mia parte preferita è la Policy Hero Challenge: l’idea è di prendere alcune delle raccomandazioni generate dal progetto Edgeryders e dare loro la forma di politiche pubbliche. Processi possibili, seri, compatibili con la normativa, accountable; roba che potrebbe essere presa così com’è e portata in Parlamento – o diventare una decisione amministrativa di qualche dirigente. Di solito i cittadini – anche quelli molto intelligenti – non sono in grado di fare questo. Quindi, a ogni sessione parteciperà almeno una persona che lavora nelle istituzioni. Il suo compito è è non permettere alla sessione di assumere un atteggiamento semplicistico.

Lasciatemi fare un esempio. Abbiamo una sessione su “ricablare le politiche per l’innovazione”. Molti edgeryders pensano che le politiche europee dell’innovazione si perdano l’occasione di sostenere persone innovative: non le vedono nemmeno, perché sono concentrate le organizzazioni. Come potrebbe essere una politica per l’innovazione centrata sugli individui? Immagino che la sessione comincerà circa così:

“CITTADINO: “I governi vogliono solo dare grandi progetti a grandi imprese high tech. Tutti sanno che non sono questi i soggetti più innovativi. Dilbert lavora per una grande impresa high tech! Stiamo davvero dicendo che ha senso finanziare il capo di Dilbert per produrre innovazione?”

POLICY MAKER: “Piano. Dobbiamo rendere conto di ogni centesimo, e questo è bene. Ora, le grandi organizzazioni sanno fare a spendere denaro del contribuente: hanno sistemi di contabilità sofisticati e possiedono beni di valore – quindi, se non producono risultati, possiamo sempre fare loro causa e recuperare il denaro. Per esempio, nel 2009 c’è stato un episodio sgradevole in cui alcune piccole imprese hanno montato una specie di truffa […] Certo, se avessimo indicatori affidabili della qualità dei progetti ex ante, potremmo correre qualche rischio in più sull’amministrazione in cambio della certezza di sostenere i progetti migliori, ma misurare la qualità di un’innovazione a priori è molto difficile. Ecco perché: […]

Alla fine è questo: se vuoi fare politiche pubbliche, devi misurarti con la loro piena complessità. Le versioni annacquate non funzionano: almeno, a me non viene in mente un modo di fare queste cose senza trattare tutti come adulti pensanti, e senza pretendere che tutti si comportino come tali. E a pensarci è un’idea bellissima. Esige completa onestà e trasparenza da parte dei policy makers; rigore intellettuale e duro lavoro dai cittadini; e rispetto reciproco da tutti. Porta alla luce il meglio di ciò che ciascuno ha da dare. E potrebbe funzionare.

Sono molto curioso di fare l’esperimento, e molto orgoglioso. Sono orgoglioso della comunità di Edgeryders che fa lo sforzo di autoconvocarsi (Dio sa che molti di loro sono poveri, e il loro investimenti di tempo e denaro per venire a Bruxelles a fare queste discussioni è un dono generoso); orgoglioso dei nostri policy makers, Prabhat Agarwal e i suoi colleghi alla Commissione Europea DG Connect, Justyna Krol e la sua unità a UNDP-CIS; super-orgoglioso dei miei colleghi al Consiglio d’Europa – Gilda Farrell, Nadia El-Imam, Malcolm Cox, Noemi Salantiu, Andrei Trubceac, Joel Obrecht – per sostenere l’evento anche se non è un evento ufficiale del Consiglio d’Europa

E sono orgoglioso di tutti voi, umani come me, così ben rappresentati a #LOTE2. Dopo tutti gli errori nella lunga, sanguinosa storia di ciò che oggi chiamiamo governo; dopo tutte le false partenze, le promesse infrante, le ideologie false, i leaders visionari traditi dai mediocri intorno a loro (e non parliamo nemmeno della roba davvero pesante dei Gulag e delle polizie segrete); dopo tutto questo, sembra che siamo abbastanza intelligenti da guardare la verità in faccia; abbastanza forti da perdonarci a vicenda; e abbastanza pazzi per riprovarci, e perfino per pensare che, questa volta, potremmo riuscire.

Se vuoi partecipare a #LOTE2, leggi qui.