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Reinventing the family: co-living as a system attractor

Thanks to Vinay Gupta I have come across The Embassy in San Francisco, a co-living space that, judging from its website, feels like some of the cool co-working spaces like The Hub – or is it the other way around? Unfortunately, there is no house map, which would be really helpful in trying to imagine your life in an honest-to-God, Californian style co-living space – how many people to a bathroom, for example? But it is clear that these guys, like many others (myself included), are trying to reinvent inhabiting.

Two things seemed particularly interesting in The Embassy: the franchise model and the groupware.

The franchise model means this: The Embassy wants to be a network of spaces, just like our very own unMonastery. “One rent, many homes”: you can be nomadic while still staying inside of your tribe – in fact nomadism is a necessity, because your tribe now inhabits a cultural space instead of a physical one, and is smeared all across the globe. This is exactly Neal Stephenson’s idea of phyle. Some edgeryders have started mesoscale social arrangements that they call phyles (for example Indianos and Aesir in Spain). This kind of arrangement seems to be an attractor for a highly connected society: Edgeryders itself has some of the characteristics of a phyle.

The groupware is simply a web platform called Modernomad that functions as the hub and janitor of the whole arrangement. For now it does mainly reservations, guest management etc., but the idea is to be a sort of close community management tool. Another attractor: most co-living experiences with over 4-5 people have some kind of groupware, even just a mailing list.

I am personally uncomfortable with the way The Embassy portrays itself as an infrastructure for startup capitalism.

From the ground up, the coliving movement is designed to offer stability, inspiration and opportunity to independent, ambitious young professionals — the backbone of tech startups, who are often expected to live on peanuts and take huge risks with little chance of reward – (source)

These are places that have mission statements. Do I want my home to have a mission statement? Maybe not. But then again, the unMonastery certainly has a mission statement, and I am willing to consider it at this point (and I have briefly tried it). Maybe most people born in the late 90s and 2000s will live in places like The Embassy in ten years. I am thinking I might live like that myself – in fact I live in a small co-living arrangement already. Is this where we are going? What do you think?

Otto cose della mia seconda vita


Visto che Monica mi tira in ballo (chiamandomi simpaticamente “Yamato”!) provo a partecipare a questa catena che riguarda Second Life. Si tratta di dire otto cose della propria seconda vita e di chiedere a otto bloggers di fare lo stesso. Ecco, dunque:

  1. Tutti i residenti più anziani hanno letto “Snow Crash” di Neal Stephenson e vedono SL come la realizzazione del metaverso descritto in quel libro. Il Black Sun, il locale più figo del metaverso, ha ispirato un numero impressionante di iniziative in SL, soprattutto nei primi tempi. In generale, si vede a occhio l’impatto culturale del cyberpunk, anche se oggi molto meno che in passato.
  2. SL è un luogo dove la nobile arte della conversazione è tenuta in somma considerazione. Una persona distinta in SL si riconosce non tanto dall’aspetto fisico dell’avatar (benché i truzzi si riconoscano al volo), ma dall’eleganza del digitare, dal chiamarti per nome, dall’usare le abbreviazioni (tipo “brb” per “be right back”, che vuol dire “scusate, torno subito”, o “Mr V” per “Mr Volare”, che sono poi io) solo quando hai un minimo di confidenza e non da subito.
  3. Per qualche motivo, mi è venuto naturale editare il mio avatar in modo da assomigliarmi abbastanza, difetti compresi. Non credevo di essere così affezionato alla mia carcassa!
  4. Molti veterani di SL preferiscono comunicare digitando testo che parlando al microfono.
  5. Se usi la chat voce procurati un buon microfono, o renderai agli altri abbastanza sgradevole parlare con te (“la SLetiquette di Mr. Volare”).
  6. La mia migliore amica in SL è stata per vari mesi una che faceva la prostituta (ma nella vita reale fa la contabile). In realtà usava SL per procacciarsi clienti, poi passava su Skype per la prestazione (questo era prima che i ragazzi di Linden Labs introducessero la chat voce). Si faceva pagare in Linden dollars, il che lascia pensare che il suo movente fosse più il divertimento che il lucro. Non sono mai riuscito ad appassionarmi al genere. Mi hanno assicurato che mi perdo molto.
  7. Per me SL ha acquistato un senso forte quando ho cominciato a pensare di usarla per lavoro anziché come luogo di cazzeggio. Io faccio il consulente e il musicista; viaggio molto, e lo faccio essenzialmente per parlare con gente fisicamente lontana (riunioni , seminari, interviste ecc.). Se si riescono a usare ambienti SL come metafora efficace di questi ambienti sociali RL, si potrebbero realizzare enormi guadagni di efficienza (meno tempo perso in viaggio), impatto ambientale (meno auto, aerei, treni…) e opportunità (possiamo interagire con gente che in RL ci è difficile incontrare). Per questo motivo sto facendo da alpha user a unAcademy (ne ho parlato qui).
  8. Secondo me, SL come idea è vincente. SL come piattaforma, invece, mi sembra abbia un sacco di problemi: poco intuitiva, lenta, farraginosa (non so neanch’io quanti messaggi tipo “wow, latency is really bad tonight” ho letto in quindici mesi). In più, anche se ultimamente Linden ha aperto il codice sorgente del client, la loro grid è ancora proprietaria, e quindi nessuno può metterci le mani per migliorarla. La butto lì: perché non proponiamo alla Commissione europea di lanciare un progetto di una piattaforma sociale 3D tipo SL ma open source? I ragazzi di IBM, Nokia e le altre imprese tutte “social” e “open innovation” e “wikinomics” , così vicine alla Commissione, sarebbero felici di dare un mano, ci scommetto. E anche noi italiani di SL.

Rilancio la palla a:
David Orban
Alberto D’Ottavi
I Maestrini
Leeander
Diego Bianchi
Clarita
Elena
Francesco D’Amato

(L’idea originale è di Mario Gerosa)