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The song remains the same: il web 2.0 sta convergendo con il mainstream?

[Questo è l’ultimo post per qualche giorno. Tra poche ore spengo il computer e lo inscatolo: domattina presto si presenteranno i traslocatori per portarlo, con tutto il resto, nel nuovo ufficio-casa di via Manzotti 23 a Milano. Molto probabilmente sarò in blackout internet per qualche giorno o qualche settimana, a seconda dell’efficienza e del buon cuore di Fastweb. Vi affido Contrordine, fategli compagnia con i vostri commenti, a risentirci quando avrò disfatto gli scatoloni.]

Alberto ha notato che nella pagina dei video più visti di tutti i tempi su YouTube ci sono – oltre alle ben note hits virali tipo evolution of dance – ci sono un sacco di video musicali di artisti Top 40: Avril Lavigne, Timbaland, Rihanna ecc. Che sta succedendo? I media del web 2.0 si stanno forse uniformando ai gusti blandi e “decaffeinati” del mainstream?

Beh, una prima risposta è che il web 2.0 rimane molto diverso dai media di massa indipendentemente dalla presenza di hit mainstream nella parte alta della classifica: i secondi ci danno solo Avril e le varie Avril, il primo ci consente di abitare molto tranquillamente nella coda lunga. Può semplicemente essere successo che l’ingresso in YouTube di molti nuovi utenti (un rapporto di comScore informa che a settembre 2007 ha avuto 70 milioni di visitatori unici) ha cambiato il profilo dell’utenza, riducendo il peso degli innovatori iniziali: ne parlavamo con Marco.

Ma c’è una seconda risposta, che mette in discussione l’esistenza stessa di un mainstream “commerciale”. Ecco due classifiche relative alla seconda settimana di marzo:

  Billboard Comprehensive Albums Last.fm artisti più ascoltati
1. Alan Jackson Radiohead
2. Jack Johnson The Beatles
3. Janet Red Hot Chili Peppers
4. Flogging Molly Muse
5. The Black Crowes Coldplay
6. Michael Jackson Metallica
7. Erikah Badu Linkin Park
8. Sara Bareilles Nirvana
9. Alicia Keys The Killers
10. Taylor Swift Foo Fighters

C’è una bella differenza, no? La classifica di Last.fm è molto meno influenzata dalle tendenze cool; molto più britannica piuttosto che americana; occhieggia al rock, mentre ignora completamente hip hop e r’n’b; ed è completamente fatta di artisti bianchi e maschi (il che potrebbe indurre qualche riflessione su questa società iperconnessa in rete). Giusto sabato, all’Innovation Forum, Enzo Mazza della FIMI mi diceva che Last.fm ormai “fa testo” anche per il mondo FIMI; che YouTube è diventato il cliente più importante per diverse grandi aziende discografiche europee; che Sanremo – e lo si sa da anni – non sposta vendite ed è avviato a un declino inesorabile. Questo ha un’implicazione interessante: “musica commerciale” non vuole più dire “musica che vende tanto”, ma designa un genere. Ritornelli cantabili, look giusto, belle ragazze, artisti non troppo bravi perché se no mi spaventano l’elettorato moderato… Kylie, Avril, la Tatangelo, fate voi. Musica che serve alle radio per intrattenere l’automobilista in coda sull’A4, ma che – a parte qualche star, in genere consolidata prima della slavina degli anni 2000 – comunque vende pochissimo. Ho anche un’esperienza personale: “Prendi l’onda” dei FF, con la collaborazione di Jovanotti e McNavigator degli Asian Dub Foundation, è stata pompatissima da radio DeeJay e AllMusic ma non ci ha fatto vendere un disco in più. Anzi, secondo me ha creato confusione rispetto all’identità del progetto.

Secondo me il mainstream come lo conosciamo – cioè l’idea che la musica “democristiana” e rassicurante vende di più di quella che fa scelte artistiche nette – è morto e sepolto, con la lapide sopra e il cemento asciutto. E va bene così.