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I media (non) siamo (ancora) noi

[Dopo un anno che non ci vedevamo, mi trovo a pranzo con il mio vecchio amico Michele Monina, scrittore e giornalista (qui una sua homepage di quasi dieci anni fa)]

IO – Allora, stai scrivendo?

MICHELE – No, mi sono preso una pausa. Faccio il capoprogetto per il programma di Ambra su MTV.

IO – Che bello! E che programma è?

MICHELE – Un varietà. Senza formato, con balletti e sketches, come quelli di Corrado negli anni 60. Secondo noi questo programma vuol dire che Telecom ha deciso di fare fare un salto di qualità a MTV, da rete di nicchia a rete generalista.

IO – Ma senti, non ti sembra un po’ in controtendenza? Voglio dire, i personal media, la coda lunga, tutta questa roba, e questi decidono di prendere una rete con un brand di nicchia forte e ci mettono il varietà? Ma che senso ha?

MICHELE – Ha il senso che la televisione generalista la guarda ancora un sacco di gente, ci sono molti soldi e io mi diverto. Se guardi gli spot che vanno sul nostro programmi non ci trovi i giocattoli hi-tech che compriamo io e te, ma i gelati e le automobili.

Due considerazioni. La prima è un fortissimo deja vu: ho già vissuto questa storia, nell’industria musicale. Dopo il 2001, man mano che i giovani sparivano nella nuvola di Napster/eMule prima e MySpace e YouTube poi, gli executives del disco si concentravano sul pubblico relativamente stabile, fatto prevalentemente di persone a bassa scolarizzazione, anziani, donne, meridionali: il pubblico di Sanremo, insomma. Questa scelta aveva una propria razionalità: totalmente spiazzate da un fenomeno che non capivano, competevano sulla quota della parte bassa del mercato, teledipendente e con una spesa pro capite bassa. Il risultato sono stati anni di decrescita, ultimamente a due cifre. Lo stesso Michele, ex giornalista musicale, è un profugo di quella fase.

La seconda va in direzione opposta: attenti all’autoreferenzialità. Tra uno State of the Net e una Girl Geek Dinner è facile dimenticare che noi (qualunque definizione di “noi” vogliate usare va bene, visto che state leggendo un blog, oltretutto di nicchia) siamo una sparuta minoranza. Forse un’avanguardia, forse il futuro, ma di sicuro non rappresentativi del presente (tra l’altro, come ci ricorda Chris Anderson, ci sono grandi soddisfazioni manageriali e di profitto nel gestire un prodotto matura a crescita zero o anche negativa, purché abbastanza grande). Conclusione: forse Telecom si sta suicidando, forse sta gestendo con oculatezza una vecchiaia dorata. Molto dipenderà da quanto ci metteremo noi – i “pionieri” – a colonizzare la frontiera digitale e costruire sistemi di mercato altrettanto redditizi.