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Stati nazionali vs. finanza selvatica: scontro finale?

La crisi finanziaria ha riaperto gli orizzonti del dibattito sulla politica economica. Pressati dalle rispettive opinioni pubbliche, i leaders mondiali hanno bisogno di nuove idee, e in fretta. Nonostante questo, a prima vista può sorprendere che la cancelliera tedesca Angela Merkel e il presidente francese Nicholas Sarkozy abbiano rispolverato l’idea di una tassa sulle transazioni finanziarie. Adesso i giornalisti la chiamano Robin Hood tax, ma negli anni 90 si chiamava Tobin tax ed era parte dell’arsenale teorico del movimento anti-globalizzazione. Non era nuova nemmeno allora: era stata proposta (in una forma riferita alle transazioni di valuta estera) dal premio Nobel per l’economia James Tobin nel 1972.

L’idea è tassare con un’aliquota molto bassa (0,01-0,05%) le vendite di attività finanziarie (azioni e/o bonds e derivati). L’aliquota è troppo bassa per scoraggiare lo spostamento di capitali da attività che hanno un rendimento strutturalmente basso ad attività che ne hanno uno strutturalmente più alto (per esempio da azioni di un’azienda decotta ad azioni di un’azienda molto redditizia), perché questo spostamento avviene una volta sola e il costo della tassa viene rapidamente riassorbito dai maggiori rendimenti: in questo modo, il mercato mantiene le sue proprietà di efficienza. Ma un’aliquota così è comunque abbastanza alta per scoraggiare la speculazione, che si basa sul comprare e rivendere rapidamente le stesse attività.

Il principale problema pratico della Tobin tax è che, a meno che non venga introdotta simultaneamente in tutto il mondo, la speculazione può eluderla semplicemente spostandosi in un mercato finanziario dove essa è assente. In effetti, alcune varianti di Tobin Tax sono state sperimentate in Svezia negli anni 80. Risultati: gettito basso, diminuzione secca del volume di compravendite e successiva migrazione di molti dei titoli più attivi dalla borsa di Stoccolma a quella di Londra. La tassa è stata successivamente abolita. Quindi non funziona, giusto? Perché ritirarla fuori adesso?

Beh, non è così semplice. Probabilmente non funziona se il suo obiettivo è quello di bloccare la speculazione e generare gettito fiscale. Ma potrebbe funzionare molto bene per un obiettivo diverso: allontanare dal paese le frange del settore finanzario che generano più instabilità (e che su questa guadagnano, come ci ricorda Nicholas Taleb). Il loro abbandono può essere doloroso: si tratta di contribuenti molto ricchi, che si suppone portino benessere. Ma potrebbe anche essere una liberazione, perché il settore finanziario è diventato molto potente politicamente: questo (1) rende molto difficile fare politica economica, perché i super-ricchi bloccano qualsiasi manovra che non contenga benefici per loro (lo sostiene autorevolmente Joseph Stiglitz); (2) introduce disuguaglianza sociale, esasperando il 99% non privilegiato della popolazione; e infine (3) ormai non è più nemmeno chiaro che i super-ricchi portano benessere. Sicuramente non pagano molte tasse: Warren Buffett ha recentemente dichiarato di pagare un’aliquota più bassa di quella della sua donna delle pulizie.

Insomma, forse stiamo assistendo a uno spostamento culturale. Intendiamoci, l’uomo della strada non si è mai fidato della finanza, e non l’ha mai capita. La novità è vedere due leader mondiali del calibro di Merkel e Sarkozy allinearsi con gente come il fiscalista e blogger progressista Richard Murphy (con la benedizione del Guardian), che ha applaudito l’iniziativa franco-tedesca come “una mossa necessaria per riportare sotto controllo la finanza inselvatichita”. Negli anni 90 i militanti di Attac, che manifestavano per la Tobin tax durante gli incontri del G8, venivano trattati come un disturbo dalle polizie di tutti gli stati: c’è una bella differenza!

Sono tentato di leggere questa storia come uno scontro finale tra due principi ordinatori alternativi, gli Stati nazionali e la finanza globale. Mi sto lasciando suggestionare?

La nuova finanza per l’innovazione sociale: opportunità e rischi

Da circa un anno ho cominciato a interessarmi di finanza. Il denaro, nelle sue varie declinazioni, è un’infrastruttura come le strade che abilita lo svolgimento delle attività economiche; inoltre è una piattaforma come Internet, nel senso che è riconfigurabile all’infinito, e che si può usare finanza per produrre altra finanza, strato sopra strato, proprio come questo blog è fatto di codice “appoggiato” sopra un protocollo di rete.

Sto lavorando nel campo delle politiche pubbliche per l’innovazione sociale, e l’innovazione sociale ha un problema di accesso ai capitali. Ovvio: i progetti degli innovatori sociali, anche se generano ricavi e perfino profitti, sono orientati soprattutto a produrre benefici, appunto, sociali. Il capitale, però, cerca una remunerazione monetaria, non sociale. I benefici sociali dell’investimento, anche quando investitori illuminati vi prestano attenzione (nel cosiddetto impact investment), restano in secondo piano.

La settimana scorsa, a Londra, ho parlato a lungo di queste cose con Karl Richter, un giovane architetto trasformatosi in finanziere passando dalla rigenerazione urbana. Lui e altri disegnano strumenti finanziari per l’innovazione sociale. Per esempio, una linea di lavoro consiste nell’impacchettare due fonti finanziarie diverse: un nucleo di “capitale filantropico”, interessato soprattutto ai rendimenti sociali, e uno strato periferico di impact capital in cerca di rendimenti finanziari di mercato, ma che comunque vuole investire responsabilmente. L’impacchettamento avviene in modo che il capitale filantropico sia in prima linea nel coprire le perdite (o i rendimenti al di sotto di quelli di mercato) nel caso l’investimento vada male. In questo modo gli investitori non filantropici sono garantiti; e i benefici del capitale filantropico vengono moltiplicati, perché un euro di capitale filantropico, attirando impact capital, va ad attivarne tre di credito sull’investimento.

Questo tipo di lavoro è importante nel contesto della nascente strategia europea sull’innovazione sociale. Però c’è una cosa che nessuno sta considerando, e cioè le conseguenze emergenti della costruzione di nuovi canali finanziari per questo tipo di impresa. La storia insegna che le innovazioni finanziarie spesso hanno conseguenze del tutto inattese, e a volte maligne. Per esempio, il mercato azionario è stato una grande invenzione, perché permette ai risparmiatori di entrare nel capitale di rischio delle imprese quotate. Siccome il rendimento dell’investimento è agganciato agli utili, il rischio di impresa viene ripartito tra tutti gli azionisti; siccome entrare e uscire dal novero degli azionisti è semplice e rapido, le imprese possono ottenere capitale a basso costo, e il denaro fluisce proprio a quelle imprese che investono in modo saggio, tale da garantire alti rendimenti e bassi rischi. Nel tempo, però, l’esistenza dei mercati azionari ha trasformato l’ecosistema del risparmio e dell’investimento. Invece di singoli risparmiatori che detengono azioni di un’impresa solida e dinamica a medio-lungo termine, essi sono dominati da gestori di fondi che spostano fulmineamente i loro capitali alla ricerca di margini anche di pochissimo più alti. Effetto emergente numero uno: l’ossessione per il brevissimo termine (bilancio trimestrale) della dirigenza delle imprese quotate. Effetto emergente numero due: bolle azionarie.

Vedete, non basta convogliare finanza sull’innovazione sociale. Occorre farlo senza distorcere gli incentivi che rendono gli innovatori sociali così bravi in quello che fanno. Per questo serve una comprensione dell’emergenza dei fenomeni economici e sociali molto migliore di quella che abbiamo adesso, e serve subito. Su questo tema ho iniziato a collaborare con il gruppo di David Lane all’European Centre for Living Technology, e spero di potere dare un contributo utile.

Capire il denaro per capire il mondo

Doveva succedere, prima o poi: moneta e finanza sono gli argomenti più visibili tra le mille cose di cui si occupano gli economisti, e in qualche modo anche quelli più esclusivamente riservati alla professione. Siccome io sono un economista e sono facile da raggiungere tramite il blog e la presenza sui social networks, Fabio Deotto di Wired mi ha chiesto di commentare una notizia finanziaria: pare che Facebook stia pensando di lanciare Credits, la moneta virtuale usata per comprare applicazioni sul social network, come mezzo di pagamento universale. È possibile usare gli oltre 500 milioni di utenti di Facebook come testa di ponte per affermare un nuovo mezzo di pagamento, che rivoluzioni il mercato dei servizi finanziari?

Nella migliore tradizione degli economisti, la mia risposta è stata che la domanda è sbagliata, per un sacco di motivi: ci sono già decine di valute virtuali e non hanno creato nessuno sconvolgimento; le valute vanno sostenute con operazioni di mercato aperto, o si deprezzano; vi sono servizi ai pagamenti con molti più di 500 milioni di utenti – solo negli USA c’erano 1.3 miliardi di carte di credito nel 2006 (l’articolo è qui). Ma la risposta vera è che io non so nulla di finanza e non posso andare oltre queste considerazioni elementari, per cui ho consigliato a Fabio di scrivere a qualche economista monetario vero.

Questo episodio mi ha fatto capire che non sapere niente di finanza non è una buona cosa per un economista del 2010. Anche l’ondata montante di innovazione sociale contiene molta innovazione finanziaria: vogliamo parlare del microcredito via internet all’impresa del terzo mondo di Kiva? Del community lending dell’italiana Prestiamoci? Dei vari servizi di crowdfunding di progetti culturali di cui si occupa Francesco D’Amato? Degli stessi GAS? Conclusione: è ora di rimettersi a studiare il denaro. I soldi sono difficili, controintuitivi, non è facile capire che cosa sono e da dove deriva il loro potere di procurarci le cose che ci servono. Qualcuno ha un libro da consigliarmi per cominciare? Rigoroso, ma che parta dalle basi, magari con un approccio storico? Ho provato a leggere Soldi di Niall Ferguson, ma quello forse è troppo poco tecnico. Grazie in anticipo a chi mi darà un suggerimento.