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Clay Shirky: Pick up the pitchforks: David Pogue underestimates Hollywood

Media scholar Clay Shirky published this post on SOPA on his blog earlier today. I found it so clear and compelling that I decided to translate it into Italian to increase its accessibility to my countrymen- and women who are not comfortable with English. – Alberto

Ieri David Pogue, uno degli editorialisti sulla tecnologia del New York Times, ha consigliato di abbassare i toni allarmisti sul SOPA, suggerendo che gli oppositori della legge (e della legge gemella in discussione al Senato, PIPA) mettano giù i forconi. Ce l’ha soprattutto con chi ha criticato il SOPA senza capirne davvero il testo. Dopo questo preambolo, Pogue descrive il SOPA dimostrando che non lo capisce neppure lui.

Ecco la sua descrizione del problema:

Se il braccio legale dell’industria dell’intrattenimento andasse fuori controllo, dicono [gli oppositori], potrebbe accusare quasi qualunque sito di pirateria. YouTube, perché molti video includono pezzetti di show televisivi e musica soggetta a copyright. Facebook, perché la gente spesso linka a video e canzoni proprietarie. Google e Bing dovrebbero rimuovere tutti i link a tutti i siti a rischio. Un gran mal di testa, insomma.

Questa è la prospettiva di Pogue: lasciare che Hollywood decida se un sito a contenuto user generated faciliti la pirateria non significherebbe nulla di più grave di “un gran mal di testa” (io avrei detto “una violazione del Primo Emendamento“). Per arrivare a una conclusione così, dovreste credere che le aziende media tradizionali abbiano una posizione di equilibrio tra il loro desiderio di avere controllo e il rispetto dei diritti del cittadino, e in effetti Pogue ritiene che sia così (ecco perché scrive che cose brutte accaddrebbero solo se il braccio legale dell’industria dell’intrattenimento andasse fuori controllo.

Se andasse fuori controllo? Questa è un’industria che esige di essere pagata dai campi di boy scouts se i bambini cantano Tanti auguri a te o God Bless America, un’industria che fa inviare lettere dagli avvocati per un video di 29 secondi di un bambino di un anno che balla su Prince. Le aziende dei media tradizionali in America sono oppositori implacabili di qualunque aumento della capacità dei cittadini di creare, archiviare, modificare o condividere media. Hanno combattuto le audiocassette e le fotocopiatrici. Hanno giurato che i videoregistratori avrebbero distrutto Hollywood. Hanno cercato di distruggere Tivo. Hanno cercato di distruggere MiniDisc. Hanno cercato di distruggere le pianole. Fanno così ogniqualvolta una tecnologia aumenta la libertà degli utenti sui media. Tutte le volte. Assolutamente tutte le volte.

E non soltanto vogliono il controllo – lo vogliono a basso costo e ad alta velocità. Pogue parla di come questi progetti di legge consentano al governo di fare causa. Quello che non dice è che sono scritti in modo da consentire un sistema “basato sul mercato” che consente alle aziende dei media di di ottenere ingiunzioni contro i siti che non gli piacciono, o che sono scritte in modo che le imprese che ospitano conversazioni tra utenti siano incentivate a censurare preventivamente i loro utenti, anziché attendere l’azione legale di qualcuno che detiene un diritto d’autore violato, come accade ora.

Conosco David Pogue, è una persona intelligente. Non credo che stia tentando di oscurare il modo in cui le proposte di legge consentirebbero alle aziende dei media di evitare i processi e  imporre una censura “basata sul mercato”. Penso che, semplicemente, non riesca a concepire che SOPA e PIPA siano cattive come effettivamente sono.

Questo è un problema generale. C’è una conversazione ragionevole da fare sui grandi siti commerciali progettati per la violazione del diritto d’autore. E siccome c’è una conversazione ragionevole da fare, Pogue (e molti altri) pensa che, di conseguenza, il  cuore del SOPA debba essere ragionevole. Certamente Hollywood non proverebbe a cercare vie legali diverse dal processo, giusto? O a creare un sistema di enforcement parallelo? O a sottrarre risorse legali ai cittadini ingiustamente censurati? Non arriverebbero certo a concepire che diffondere lo streaming di un video di Michael Jackson comporti più carcere di quello comminato al medico che ha ucciso lo stesso Jackson. Giusto?

Hollywood vuole farsi giustizia da sé – hanno fatto aggiungere ai nostri rappresentanti politici una clausola del vigilante, per proteggere censori troppo zelanti dalle sfide legali degli utenti – e, come in un episodio di Scooby Doo™, ci sarebbero riusciti, se non fosse stato per noi, ragazzi impiccioni.

Chris Dodd, il lobbista in capo della Motion Picture Association of America, mentre guardava un pacchetto legislativo pagato quasi cento milioni di dollari andare in fumo, si è ridotto a una strana difesa indiretta, citando le credenziali di difesa del Primo Emendamento degli sponsor del SOPA, come se queste significassero che quindi anche questa proposta di legge è pulita. Eppure la primissima sezione di sostanza del SOPA, la sezione 2.a.1, si tradisce, dimostrando un certo nervosismo sulla propria costituzionalità: “nulla, in questa legge, implicherà il controllo preventivo sulla libera espressione”. Capito? Questa proposta di legge non vuole il controllo preventivo. Assolutamente  no! Come potete pensare una cosa del genere?

E gli argomenti come quello di Pogue sono pericolosi non perché siano pro SOPA – lo stesso Pogue è contento che SOPA sia a rischio – ma perché oscurano il fatto storico più importante: l’industria americana dei media prova a ridurre la libertà degli utenti. Tutte le volte. Assolutamente tutte le volte.

Dovremmo essere orgogliosi della posizione che abbiamo preso a favore di cose come le notifiche legali, i processi e le prove prima di censurare qualcuno, ma dobbiamo stare pronti a rifarlo l’anno prossimo, e quello dopo. Il rischio non è che SOPA passi. Il rischio è che pensiamo di avere vinto. Non è così: ritorneranno. Preparatevi a combattere di nuovo la stessa battaglia.

I dubbi del dittatore

Sono appena tornato dalla Tunisia, un paese iscritto alla lista nera della censura di internet. Il paese ha un unico punto di ingresso per i dati, da cui poi i provider comprano e ridistruibuiscono banda, e questo permette al governo di filtrare la rete.

Ma filtrare come? Censurare comporta delle scelte. In Tunisia sono oscurati i siti degli oppositori politici dell’attuale governo, come Tunisnews o Tunisia Watch, e i siti delle ONG come Amnesty International, Reporters Sans Frontières, la Commissione Islamica per i diritti umani – il che dispiace ma non sorprende; alcuni social networks, in particolare YouTube e Flickr; gli anonimizzatori di navigazione.

Per contro, Facebook è stato bloccato per un breve periodo nel 2008, ma poi sbloccato su richiesta del Presidente in persona. Twitter si vede. Nessun problema per i siti di informazione giornalistica, come BBC o Repubblica, e nemmeno per Wikipedia (compresa la pagina che tratta della censura su Internet in Tunisia). Il filtraggio avviene attraverso un software commerciale, SmartFilter della società americana Secure Computing, gruppo McAfee (ricordarsene la prossima volta che acquistate un filtro antispam). L’aggeggio ti prende pure in giro, sostituendo l’errore 403 (non sei autorizzato a vedere questa pagina) con un pù rassicurante 404 (non trovato), che però su youtube.com è francamente ridicolo.

Immagino che ci sia un funzionario, al Ministero dell’informazione tunisino, che deve scegliere cosa si può vedere e cosa no. Me lo figuro nell’atto di ricercare incessantemente siti potenzialmente pericolosi e decidere quali sono quelli da nascondere ai suoi connazionali. Repubblica? Calendari sexy, pallone, politica italiana, qui non c’è problema. Twitter? Pericoloso, ma quasi impossibile da bloccare, visto che l’accesso alle API permette a chiunque di ridistribuire i suoi contenuti attraverso altri siti. Facebook? A rischio, ma mica possiamo lasciare i turisti francesi senza Facebook.

Vista in questo modo, la censura di internet in Tunisia sembra un’impresa che non ha molte probabilità di essere efficace. Troppi buchi, troppi compromessi da fare; lo stesso governo è troppo consapevole dei vantaggi economici e sociali dell’accesso alla Grande Rete, e infatti l’infrastruttura per la banda larga in Tunisia è una delle migliori in Africa. Più efficace è probabilmente il senso che “il Grande Fratello ti sta guardando” convogliato da pagine come questa: e infatti è obbligatorio per i service providers collaborare con il governo nel monitorare l’uso della rete. In alcune regioni si arriva perfino a identificare le persone che usano gli internet cafe (ma guarda, come in Italia!). Ma anche così, se rete e governo dovessero arrivare ai ferri corti, io punterei il mio denaro sulla rete.

Policy by gaming: EVOKE e altre storie

Qualche settimana fa sono entrato a fare parte di un’organizzazione semisegreta che nel 2020 salverà il mondo. Per ora ci stiamo solo addestrando, ma sappiamo già che tra dieci anni il nostro capo, il misterioso Alchemy, chiamerà, e allora dovremo entrare in azione. Grazie all’addestramento la sua chiamata non ci coglierà impreparati.

Sto giocando a EVOKE. Si tratta di un gioco di realtà alternativa (ARG, per alternate reality game) lanciato dalla Banca Mondiale. L’idea originale è di educare i giovani, soprattutto africani, all’innovazione sociale e allo sviluppo, usando il gioco come ambiente di apprendimento (qui il post di annuncio sul blog della Banca Mondiale).

Gli ARG promettono bene come ambienti di apprendimento. Se li progetti bene sono molto più coinvolgenti delle lezioni in classe. Hanno due vantaggi. Uno è la dinamica di gioco: ti assegnano delle missioni, e quando riporti di averle portate a termine (in EVOKE si fa scrivendo post su un blog) l’interfaccia di gioco ti ricompensa con punti, promozioni di livello, riconoscimenti etc. C’è un piacere profondo nel vedere il tuo cruscotto che si illumina con le missioni compiute. L’altra è la narrazione: le storie toccano qualcosa che è cablato in profondità nella nostra corteccia cerebrale, per cui “ehi, leggiti qualcosa sulla scarsità d’acqua – è bene che se ne sappia di più” ci suona diversissimo da “Agente Alberto, Alchemy ha bisogno che tu salvi il mondo dalla minaccia della scarsità d’acqua! Fai una ricerca sui modi innovativi di affrontare il problema, e condividila con la nostra organizzazione segreta” – anche se, naturalmente, all’atto pratico è la stessa cosa. Nonostante alcuni problemi residui di progettazione (come le difficoltà di trovare le migliori missioni per un novellino che volesse orientarsi, o i quests, che a quanto pare non hanno influenza sulla dinamica di gioco), EVOKE sfrutta questi vantaggi abbastanza bene. Man mano che gioco, completando missioni e ricevendo punti e commenti da altri agenti, sento la trazione quasi fisica che i gamers conoscono bene.

A quanto pare non sono l’unico. EVOKE ha attirato oltre 15.000 giocatori nel primo mese. Come sempre, molta gente fa poco o niente, ma c’è una minoranza molto attiva che sta producendo idee incredibili, e spesso poi va fuori e le realizza, gioco o non gioco. Gli agenti migliori hanno creato roba come SEED (per migliorare la qualità della vita e le opportunità attraverso un’istruzione personalizzata in Sierra Leone), Gratitude Gardens (“una combinazione di incubatori di impresa sociale, banche dei semi vive, e spazi di ritrovo per la comunità”), uno sforzo di mettere in piedi una rete globale di raccolta per la ONG americana Hopephones. Alcuni agenti stanno creando uno spazioche resterà a disposizione dopo la fine di EVOKE (a maggio), EVOKE4EVER.

Sembra però che ci sia un lato oscuro in EVOKE. Alcuni giocatori sostengono che loro commenti di tono un po’ critico sono stati cancellati dal feed delle attività principali per evitare che si diffondessero; e alcuni dei giocatori di profilo più alto sono addirittura spariti dalla rete. Gira una brutta parola, censura. La Banca Mondiale non ha confermato queste voci (e potrebbero addirittura essere parte della storia dell’ARG!); ma conosco personalmente innovatori sociali brillanti che, in questa controversia, hanno perso fiducia in EVOKE e spostato il loro impegno altrove. E questa è una cattiva notizia, perché coinvolgere person così è la ragione per cui EVOKE esiste. La lezione da portare a casa è la solita del web 2.0: le reti di agenti intelligenti (come le persone, da non confondersi con le reti di agenti stupidi come i neuroni) si possono fare nascere, crescere, influenzare e distruggere, ma MAI controllare. Se non puoi accettare che facciano cose che non avevi previsto, meglio non cominciare neanche. (Tito Bianchi ed io abbiamo sostenuto queste cose in maggiore dettaglio altrove). Ho scritto alla Banca Mondiale chiedendo un loro commento, ma non ho ancora avuto risposta.

Ma questo è vero di tutto il governo 2.0. Il punto è che i giochi sono uno strumento di policy molto promettente, perché hanno un grande potenziale di incanalare gli sforzi delle persone grazie non a comando e controllo (la polizia) o incentivi economici (tasse e sussidi), ma in un modo nuovo, con la dinamica di gioco e le storie. La Banca Mondiale non è sola in questo sforzo pioneristico: in realtà sta seguendo le orme del Comitato Olimpico Internazionale (The Lost Ring, 2008), la Corporation for Public Broadcasting (Flashback, 2008), l’Institute for the Future (Superstruct, 2008). Tutti questi giochi, tranne Flashback ma incluso EVOKE, sono stati progettati a qualche livello dalla guru dei pervasive games Jane McGonigal. La sua visione è semplice: mettere a valore i miliardi di ore settimanali e l’entusiasmo instancabile che in genere si mette nei giochi su internet (guardatevi la sua presentazione a TED, brillante anche se contiene un errore, e cioè non tiene conto del fatto che i ragazzi passavano molto tempo a giocare anche prima dei giochi online).

Per una volta, l’Italia non arranca nelle retrovie. Questo è soprattutto grazie a CriticalCity, una giovane startup milanese che ha lanciato il proprio pervasive game nel 2008; ha creato un eccitante ARG nel 2009 a Matera, città patrimonio mondiale dell’UNESCO; e sta ora lavorando a un ARG su larga scala (“un gioco grande come la vita”, come amano dire). Ho l’onore di servire nell’advisory board, e ho intenzione di tenere gli occhi aperti sulle opportunità di imparare a fare politiche pubbliche attraverso i giochi. Quanti punti vale?