Archivio dell'autore: Alberto

Open Data d’agosto

È un buon momento per gli open data in Italia. Diverse amministrazioni mi sembrano considerare con sincero interesse l’idea di aprire i propri dati, nell’interesse della trasparenza e della collaborazione. Fare il primo passo, però, richiede il superamento di una certa timidezza iniziale. Lo capisco bene: ci sono scogli giuridici da evitare, un’infarinatura di know-how tecnico da acquisire, e la tentazione del “chi me lo fa fare” è sempre in agguato. In più, molta letteratura rilevante è in inglese.

E così, nella mitica mailing list di Spaghetti Open Data a un certo punto è nata l’idea di tradurre in italiano l’Open Data Manual della Open Knowledge Foundation, che è un documento ben organizzato, scritto per persone che non sanno nulla di open data. Come per tutte le cose veramente sentite, non è chiaro chi abbia avuto l’idea: qualcuno ha dato la colpa a me, ma io sono sicuro di non avere proposto nulla del genere (può essere che abbia detto “sarebbe bello”). Comunque sia, un paio d’ore dopo quelli della OKF avevano caricato il Manuale sul web per la traduzione.

È un venerdì di agosto. Proporre ora un’esperienza collaborativa (tra l’altro impegnativa come una traduzione) va contro ogni regola della comunicazione web. Ma va bene così: è un’operazione che si è montata praticamente da sola, e questo in genere è un buon segnale. In effetti, al momento in cui scrivo abbiamo già tradotto il 15% del manuale! Per il rimanente 85, tutti i lettori di Contrordine Compagni sono invitati ad arruolarsi. Va benissimo anche tradurre solo una o due frasi. Istruzioni:

  1. andate qui e registratevi.
  2. andate qui. Cliccate sul link “Open Data Manual → all.pot” e poi su “Translate now”.

Io sto facendo la mia parte e sono qui.

Blog like it’s 2004 (Italiano)

Da diversi anni partecipo a vari social networks. Ma non ho mai smesso abbandonato i blog, nè come blogger nè come lettore, e non ho nessuna intenzione di farlo. Dopo settecento post e duemila commenti, sono molto grato al mio blog: mi ha messo in contatto con persone e idee che sono diventate importanti per me (tra l’altro, gli devo il mio lavoro attuale). Scrivere mi aiuta a organizzare i pensieri, e a non perdere il filo di un percorso che non è sempre lineare.

Ma sono anche grato ai blog altrui. Negli anni i blog che leggo sono cambiati quasi tutti (anche perché alcuni che seguivo hanno chiuso i battenti, come quello di Luca e Mafe); ma continua a piacermi il rapporto che ho con i blogger che leggo, certo intellettuale ma stranamente intimo. Nel confronto serrato e prolungato nel tempo con una persona e le sue idee mi sembra di riuscire meglio a fare crescere le mie. Voglio quindi dedicare questo post alla seconda generazione del mio blogroll, i blog che leggo (e commento) adesso, in pieno spirito del 2004 e della breve età dell’oro del blogging.

Sui temi delle politiche pubbliche Internet e del governo aperto continuo a leggere David Osimo. David scrive da Bruxelles, e ha una bella prospettiva europea, anche se nell’ultimo anno, credo preso da altro, ha scritto meno che in passato. Da qualche mese ha ripreso a scrivere anche Beth Noveck, dopo una lunga pausa durante la quale ha diretto il progetto open government alla Casa Bianca di Obama: spero non si stanchi di nuovo, il suo contributo è davvero importante.

Grazie a Dave Kusek e a Francesco D’Amato riesco a tenere nel radar anche l’economia industriale della musica, uno dei miei primi interessi professionali. Il primo, americano, insegna alla Berklee School e ha una prospettiva generale sulle tendenze di mercato; il secondo, italiano della Sapienza, si interessa in particolare di crowdfunding: su questo tema è diventato molto esperto. Leggo anche un paio di blog tecnologici: quello di Alberto D’Ottavi, uno dei primissimi blog che abbia mai letto, e quello di Vincenzo Cosenza, molto forte sul tema Facebook e social media.

Sono un lettore fedele anche di due blog non specialistici ma ben scritti e che mi fanno pensare pensieri per me insoliti. Uno è quello dello scrittore di fantascienza britannico Charles Stross: intelligente, immaginoso e speculativo come solo la migliore fantascienza sta essere. L’altro è stato aperto recentemente dall’economista italiano Tito Bianchi, una specie di Tristram Shandy dell’economia che salta con leggerezza da un argomento all’altro riuscendo sempre interessante. Infine, se usate Google Reader, vi consiglio di seguire Costantino Bongiorno (si autodefinisce “engineer and troublemaker”). È troppo timido per tenere un proprio blog, ma fa un ottimo lavoro di filtraggio e condivisione dei blog che si occupano di hardware hacking, Arduino e affini. Grazie, amici bloggers, continuate così.

E voi? Volete suggerirmi qualche bel blog?

8, Quai des Bateliers (Italiano)

Il primo luglio ho iniziato un nuovo lavoro al Consiglio d’Europa. Ci sarà tempo per raccontare cosa, esattamente, sto combinando qui. Il punto, per ora, è che sono ridiventato un emigrante (ho passato un paio d’anni a Londra nei 90), unendomi al gruppo sempre più numeroso degli italiani che decidono di tentare un percorso all’estero. Ho affittato un appartamento a Strasburgo, sul Quai des Bateliers; dalle mie finestre vedo la cattedrale e il fiume.

Frequentando i blog e i social network mi ero fatto l’idea che molti dei nostri connazionali, trasferendosi all’estero, lo facciano sbattendo la porta. Avevo in testa una specie di tag cloud, dove fluttuano, a grandi lettere colorate, espressioni come “paese bloccato”, “classe dirigente incapace”, “non viene riconosciuto il talento individuale”, “refrattari all’innovazione”. Ma poi, a pensarci bene, praticamente nessuno degli italiani che conosco e che lavorano all’estero (e sono tanti) usa queste espressioni. Qualche volta ho colto un po’ di amarezza ironica nel confrontare gli spazi aperti di Londra o Berlino con quelli, molto più ristretti, di Cosenza o Sassuolo, ma suvvia: non è corretto confrontare Londra con Sassuolo. Ci sono alcune città-mondo, come dice Stefano Boeri, e molti emigranti qualificati finiscono lì. In Italia di città così non ne abbiamo, ma questo è vero per la maggioranza dei paesi europei. Le frasi di questa speciale tag cloud, mi sembra, vengono usate più da persone che sono rimaste in Italia, e che si sentono, a ragione o a torto, sottoutilizzate.

Io non mi sento affatto così: non ho l’impressione che il mio talento, ammesso che ne abbia, sia misconosciuto nel mio paese. Sono all’estero in primo luogo perché il mio percorso mi porta a ricercare il confronto con i colleghi di tutto il mondo, e in secondo luogo perché mi sento fortemente un patriota europeo, uno che pensa che l’Italia trovi il suo senso in Europa e che l’Europa non abbia senso senza l’Italia, l’autonomia della sua società civile, la sua capacità di fare senza delegare tutto a uno stato-mamma e senza degenerare nell’individualismo estremo. Adesso che me ne sono andato dall’Italia spero di esserle ancora più presente, ancora più utile. Lavoro in un’istituzione internazionale da italiano, e voglio essere uno snodo, un canale di comunicazione tra il mio paese, il continente, e il pianeta: senza arroganza, ma anche senza soggezione. Usatemi.