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Con i Modena City Ramblers nel 1997

Sign o’ the times: la morte del rock e l’addio di XL di Repubblica

In una vita precedente facevo il musicista rock, e ricordo bene l’interesse professionale con cui il mio ambiente di lavoro accolse XL, e prima ancora il suo antesignano, Musica. La stampa musicale italiana (tipo Il Mucchio o Buscadero, non so se esistano ancora) metteva la band di cui facevo parte allora in una situazione imbarazzante: vendevamo molti più CD noi di quante copie vendessero loro, e quindi non era chiaro chi stesse promuovendo chi. Ma Musica prima e XL poi significavano Repubblica: una vera corazzata editoriale, che prometteva numeri molto diversi da quelli delle riviste di settore. A ogni uscita, tutti gli artisti italiani stavano molto attenti a presidiare il musicale di Repubblica. Negli anni, queste riviste si sono occupate anche dei miei progetti musicali.

XL chiude – più esattamente, scompare la rivista di carta, mentre sopravvive il sito. La tempesta perfetta digitale, la crisi dei modelli editoriali tradizionali, eccetera. Io questo lo so perché di recente ho rilasciato un’intervista a Paolo Campana (io lo conosco come blogger, ma è anche giornalista) che è finita proprio sull’ultimo numero di XL. La copertina mostra Lou Reed, e annuncia che “Il rock è morto”. Alla mia intervista hanno dato il titolo “Per cambiare il mondo il rock non basta più”.

Niente di nuovo, certo. Stiamo parlando di mutamenti sociali che tutti avvertiamo, e che per me sono stati così urgenti e profondi da spingermi a cambiare completamente vita, come ho scritto nell’introduzione a Wikicrazia.  Ma la coincidenza mi tocca il cuore. Torno con una nuova veste su una testata che anni fa parlava della mia musica; ci torno per dire “non è più tempo di occuparsi di questa roba”; e nello stesso numero quella testata alza bandiera bianca e si trasferisce sul web. Mi è venuto in mente che sono stato molto, molto fortunato: ho accompagnato l’onda della musica ribelle dei 90, in un momento in cui il mondo, e in particolare l’Italia, sembravano cambiare per il meglio (ricordate?); poi ho avvertito la fine di quella stagione, e mi sono avventurato sull’Internet sociale, riprendendo i miei studi di economia per arrivare alle scienze della complessità. Più di vent’anni dopo Riportando tutto a casa ho idee confuse e poche certezze, ma non mi sento (ancora) completamente smarrito e future shocked, né mi sono (ancora) ridotto alla nostalgia e al “come eravamo”. Davvero, alla mezza età non potrei chiedere di più.

 

Wikicrazia Big Bang: niente guru, per favore

Molte persone mi hanno scritto per segnalarmi un articolo di alto profilo su Repubblica (tre pagine, compresa la prima) dedicato al tema del governo aperto (chiamato dal titolo “Wikicrazia”) e dell’interesse che sta suscitando in Italia. A questo interesse ha contribuito non poco l’articolo stesso: un endorsement cosí forte ha acceso la curiositá di persone che non se ne erano mai occupate, e spinto persone giá interessate a passare all’azione.

Credo che il movimento per il governo aperto, pur cosí minoritario, abbia in sè una forza irresistibile. Gli deriva dal fatto che è possibile impegnarvisi anche da soli, qui e ora, con gli strumenti e le risorse che ci sono; il lavoro è abbastanza frazionabile da potere essere svolto in piccolissimi pacchetti con soddisfazione, sentendosi utili, senza aspettare riforme di sistema o cambiamenti culturali. Però credo anche che, nel generare l’onda di interesse attuale, abbia avuto un ruolo fondamentale Riccardo Luna, ex direttore di Wired Italia e autore dell’articolo in questione. Riccardo non è solo un buon giornalista e comunicatore; è diventato un militante e un organizzatore di questo movimento. In questi mesi ci siamo sentiti spessissimo, e ho visto il suo entusiasmo crescere e diventare visione. Il suo stile inclusivo, attento a riconoscere i meriti altrui e a non intestarsi mai il tema, gli ha creato intorno molta simpatia e molta credibilità.

Se posso permettermi un consiglio – non tanto a Riccardo quanto a tutti noi – credo che sarebbe importante mantenere l’attenzione puntata sulla collaborazione di massa basata sull’autoselezione, evitando ogni personalizzazione e respingendo la tentazione di fare dei guru delle persone che stanno lavorando sul tema. Non sarebbe appropriato. In ogni progetto che inizio, so che il collaboratore più importante, il cittadino o la cittadina che darà il contributo più prezioso, è il cittadino o la cittadina che ancora non conosco. È per questa persona sconosciuta che progetto: perché possa trovare la strada del progetto che ha bisogno proprio di lei, e perché questo la ingaggi in modo utile, divertente e rispettoso. È lei che dà senso alla collaborazione e porta a casa il risultato.

I guru, invece, sono l’ultima cosa di cui sento il bisogno.

Di madre in figlia in home page su Repubblica.it

Bella soddisfazione: a due settimane scarse dalla prima italiana del film, Repubblica.it dedica uno speciale al progetto Di madre in figlia. Belle foto, bei video, belle emozioni. Nella prima versione c’è, secondo me, un’eccessiva personalizzazione sul mio nome, ma abbiamo scritto all’amica Carlotta, autrice del pezzo, chiedendo una rettifica. Anche perché c’è anche qualche svista fattuale: la prima italiana si tiene il 26 e non il 21 novembre, e io, ovviamente, non suono più nei Modena City Ramblers. Questo progetto è targato Fiamma Fumana dalla testa ai piedi!
special
🙂