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The data and the context: open data and the democratic debate

Sorry, this post in Italian only. The gist of it is that I have been asked to represent the open data movement at tomorrow’s National Statistics Conference. I am going to argue for ISTAT to engage alongside citizens and public authorities to bootstrap an ecosystem of data-powered broad, rational public debate. There is a lot that ISTAT can do, because civic hackers mix and mesh statistical data with open data. The outline of my speech has been constructed collectively on the Spaghetti Open Data mailing list. As always, the “Translate” link enables automated translation.

Domani vado alla Conferenza Nazionale di Statistica. L’ISTAT ha organizzato un piccolo spazio di interazione informale (Agorà) in cui incontrare “il movimento open data”, che è un modo elegante per indicare Flavia Marzano (blog) – in rappresentanza di Datagov.it – e me – in rappresentanza di Spaghetti Open Data.

In questi giorni ho provato a ricapitolare le discussioni fatte in ML per capire come impostare l’intervento. Sono arrivato a un’impostazione fatta così:

  1. Il movimento open data pensa che il rilascio di dati pubblici in formato aperto sia una cosa buona in sé (“prima i dati, poi vedremo”). Le amministrazioni, che hanno in mano i dataset, vedono invece alcuni svantaggi, e perfino pericoli, che rendono il rilascio un’operazione che richiede un pensiero radicale [questo è molto basato sull’intervento di Aline Pennisi alla conferenza Fammi sapere]. E non hanno neanche tutti i torti – anche perché i dati sono spesso molto sporchi, e difficili e costosi da ripulire. Si corre il rischio che più dati non voglia dire più trasparenza, sia per ragioni tecniche legate alla sporcizia del dato che per ragioni culturali legate alla scarsa data literacy dell’opinione pubblica.
  2. Questo consiglia di pensare gli open data come un pezzo di un ecosistema della discussione razionale allargata che usi i dati come carburante, ma al cui centro stia, saldamente, il dibattito democratico. La cosa che mi immagino è un ambiente che, oltre al rilascio di dati, comprenda contests per storie basate su dati, tools avanzati per la visualizzazione, un po’ di ricerca universitaria, collegamenti con chi all’estero sta percorrendo questa strada etc.
  3. Piccola proposta: ISTAT potrebbe collaborare con il movimento open data nella costruzione di questo ecosistema. Ne è naturalmente un attore importante, perché i dati statistici forniscono contesto agli open data, e più gli uni e gli altri sono interoperabili (sia in senso tecnologico della possibilità di costruire meshup, che in senso sociale della partecipazione al dibattito) e meglio è. Possibili ruoli per ISTAT: dare una mano alla ripulitura e al consolidamento dei dati pubblici che pubblica a fini statistici; pubblicare in formato aperto e gratuito i propri dati (alcuni sono disponibili a pagamento: ma li abbiamo già pagati!); e guidare una riflessione profonda sul segreto statistico. Alcune rilevazioni – per esempio quella sulla spesa dei Comuni – riguardano soggetti pubblici, ma sono soggette a segreto statistico: la conseguenza è che non si possono avere i dati di spesa del singolo Comune, che forse è un po’ un anacronismo.
  4. Purtroppo, questo ci costringe a toccare un tema un po’ controverso – quello di Wikileaks. Il consenso all’interno del nostro gruppo è: l’attuale panorama tecnologico e dei media produce entità come Wikileaks, e sempre più ne produrrà. La riservatezza del passato non è più possibile. Il rilascio di open data potrebbe essere la “mossa del cavallo” per costruire fiducia intorno ad una trasparenza gestita, invece che ridursi a rincorrere le conseguenze di una trasparenza subita. L’esperienza dell’ISTAT potrebbe essere molto utile in questo.
  5. le stelline della riusabilità di Tim Berners-Lee – adottate con convinzione dal gruppo di Spaghetti Open Data – sono un esempio del modo in cui potremmo dare incentivi in positivo alle amministrazioni. Ha più senso vedere il concetto di apertura come una variabile continua (più o meno aperto) anzichè come una variabile binaria (aperti o non aperti). Con la scusa delle stelline, molti attori in più si possono trovare a partecipare al grande gioco degli open data ai livelli di apertura bassi, e poi crescere nel tempo man mano che migliorano qualità e condizioni di accesso ai propri dati (Matteo Brunati dice che “la curva di apprendimento è meno ripida”)

Al di là del merito, mi piace tanto l’idea che ISTAT e alcuni privati cittadini si ritrovino per scambiarsi idee sulle cose che si possono fare: vuol dire che il primo riconosce ai secondi una expertise importante, con cui vuole confrontarsi. Anche questa è Wikicrazia.

I dati e il contesto: open data e dibattito democratico

Domani vado alla Conferenza Nazionale di Statistica. L’ISTAT ha organizzato un piccolo spazio di interazione informale (Agorà) in cui incontrare “il movimento open data”, che è un modo elegante per indicare Flavia Marzano (blog) – in rappresentanza di Datagov.it – e me – in rappresentanza di Spaghetti Open Data.

In questi giorni ho provato a ricapitolare le discussioni fatte in ML per capire come impostare l’intervento. Sono arrivato a un’impostazione fatta così:

  1. Il movimento open data pensa che il rilascio di dati pubblici in formato aperto sia una cosa buona in sé (“prima i dati, poi vedremo”). Le amministrazioni, che hanno in mano i dataset, vedono invece alcuni svantaggi, e perfino pericoli, che rendono il rilascio un’operazione che richiede un pensiero radicale [questo è molto basato sull’intervento di Aline Pennisi alla conferenza Fammi sapere]. E non hanno neanche tutti i torti – anche perché i dati sono spesso molto sporchi, e difficili e costosi da ripulire. Si corre il rischio che più dati non voglia dire più trasparenza, sia per ragioni tecniche legate alla sporcizia del dato che per ragioni culturali legate alla scarsa data literacy dell’opinione pubblica.
  2. Questo consiglia di pensare gli open data come un pezzo di un ecosistema della discussione razionale allargata che usi i dati come carburante, ma al cui centro stia, saldamente, il dibattito democratico. La cosa che mi immagino è un ambiente che, oltre al rilascio di dati, comprenda contests per storie basate su dati, tools avanzati per la visualizzazione, un po’ di ricerca universitaria, collegamenti con chi all’estero sta percorrendo questa strada etc.
  3. Piccola proposta: ISTAT potrebbe collaborare con il movimento open data nella costruzione di questo ecosistema. Ne è naturalmente un attore importante, perché i dati statistici forniscono contesto agli open data, e più gli uni e gli altri sono interoperabili (sia in senso tecnologico della possibilità di costruire meshup, che in senso sociale della partecipazione al dibattito) e meglio è. Possibili ruoli per ISTAT: dare una mano alla ripulitura e al consolidamento dei dati pubblici che pubblica a fini statistici; pubblicare in formato aperto e gratuito i propri dati (alcuni sono disponibili a pagamento: ma li abbiamo già pagati!); e guidare una riflessione profonda sul segreto statistico. Alcune rilevazioni – per esempio quella sulla spesa dei Comuni – riguardano soggetti pubblici, ma sono soggette a segreto statistico: la conseguenza è che non si possono avere i dati di spesa del singolo Comune, che forse è un po’ un anacronismo.
  4. Purtroppo, questo ci costringe a toccare un tema un po’ controverso – quello di Wikileaks. Il consenso all’interno del nostro gruppo è: l’attuale panorama tecnologico e dei media produce entità come Wikileaks, e sempre più ne produrrà. La riservatezza del passato non è più possibile. Il rilascio di open data potrebbe essere la “mossa del cavallo” per costruire fiducia intorno ad una trasparenza gestita, invece che ridursi a rincorrere le conseguenze di una trasparenza subita. L’esperienza dell’ISTAT potrebbe essere molto utile in questo.
  5. le stelline della riusabilità di Tim Berners-Lee – adottate con convinzione dal gruppo di Spaghetti Open Data – sono un esempio del modo in cui potremmo dare incentivi in positivo alle amministrazioni. Ha più senso vedere il concetto di apertura come una variabile continua (più o meno aperto) anzichè come una variabile binaria (aperti o non aperti). Con la scusa delle stelline, molti attori in più si possono trovare a partecipare al grande gioco degli open data ai livelli di apertura bassi, e poi crescere nel tempo man mano che migliorano qualità e condizioni di accesso ai propri dati (Matteo Brunati dice che “la curva di apprendimento è meno ripida”)

Al di là del merito, mi piace tanto l’idea che ISTAT e alcuni privati cittadini si ritrovino per scambiarsi idee sulle cose che si possono fare: vuol dire che il primo riconosce ai secondi una expertise importante, con cui vuole confrontarsi. Anche questa è Wikicrazia.

OpenGov’s Italian silent spring

I am an optimist (too much so, some would say), and so I tend to see the proverbial glass half full. But I think no one would disagree that Fammi sapere – a small but lively Woodstack of Italian open data, held last Saturday – encourages optimism. I learned many interesting things, and came back with the idea that:

  • Italy has the skill endowments to build and sustain an effective open data policy. We’ve got the law experts like Ernesto Belisario; the geeks, like Matteo Brunati; the communicators, like Nicola Mattina; and even a few entrepreneurs, like the fine folks at OpenPolis and Extrategy.
  • civil servants are starting to warm up to the theme. At Fammi sapere, besides some local politicians and civil servants, some national level civil servants played a central role: Aline Pennisi from the State’s Accounting Service; my friend Paola Casavola, an interesting figure of researcher-public manager, formerly with Banca d’Italia and the Ministry of Economic Development; ISTAT’s Vincenzo Patruno
  • above all, we were able to build a many-voiced, high-quality conversation. It’s clear people are really interested, hard skills are highly valued, and mutual respect is the general rule. I’m saying “we” because I played a small role in consolidating this community through the Spaghetti Open Data project, its mailing list in particular; the Fammi sapere group, led by Marco Scaloni, also seems to blend in the scene. It is no coincidence they organized an exemplary event, with very little hype and a lot of beef.

Over and above open data, a more open and conversational approach to government really seens about to blossom in the Italian civil society. I can feel it in the many people who are writing to me following the publication of Wikicrazia, offering me a new view of Italy. It is a silent spring, far from the spotlights of the media, and this is very good: I hope to keep harvesting its fruits with the excuse of presenting the book.