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La meritocrazia che fa paura

Qualche settimana fa, uno svedese di nome Borzoo Tavakoli ha pubblicato un articolo sul quotidiano Dagens Nyheter. L’articolo prende la forma di una lettera aperta dello stesso Tavakoli a Kent Ekeroth, un politico descritto come una figura centrale nel partito degli Svedesi Democratici (Wikipedia). Ekeroth è noto per le sue posizioni xenofobe e islamofobe; in effetti, la xenofobia sembra essere la piattaforma politica principale del suo partito.

Tavakoli ha un messaggio semplice: “Io, un immigrato di successo che lavora duro e rispetta la legge, do un contributo al paese molto maggiore di te, un politico di dubbia rispettabilità. Ho sempre pagato le tasse, mentre tu sei sotto indagine da parte dell’agenzia delle entrate. Non ho mai aggredito nessuno, mentre tu e i tuoi compagni di partito avete inseguito persone, brandendo spranghe di ferro (!) a Stoccolma nel 2010. Non ho mai sminuito le donne, mentre tu hai aggredito fisicamente una donna e l’hai chiamata “p…” in pubblico nel 2010. Non mi sono mai dovuto dimettere dai miei incarichi, mentre uno scandalo ha costretto te a dimetterti dal parlamento nel 2012. Ho combattuto per la democrazia in Iran, e mi sono fatto sei anni di carcere piuttosto che rinnegare le mie convinzioni, mentre tu, secondo i media, hai l’abitudine di mentire, e quindi sei un codardo che non si assume la responsabilità delle proprie azioni. Ah, e io, con il mio duro lavoro e le mie qualità, sono passato da semplice lavoratore a direttore amministrativo di una grande azienda svedese. E mio figlio è un genio. Ha appena vinto il primo premio nel concorso nazionale per i migliori giovani scienziati svedesi. La Svezia ha molti più vantaggi nell’avere me come cittadino che nell’avere te. Io, più di te, merito di essere svedese.

Molti miei amici hanno reagito molto positivamente a questo articolo. Questo, dicono, mostrerà agli svedesi la follia delle posizioni xenofobe! E certo, è difficile non simpatizzare con questo attivista per la democrazia diventato, in esilio, un uomo d’affari di successo. Ha sfruttato al meglio le opportunità offertegli dalla generosa politica di accoglienza del Regno di Svezia, e per queste opportunità è profondamente grato. I miei amici – soprattutto i più giovani – tendono a considerare la meritocrazia come un valore positivo: le persone, affermano, dovrebbero salire nella scala sociale in proporzione al loro contributo alla società. È semplice. È equo. E non è certo limitato alla Svezia: noi italiani ci dividiamo su tutto, ma siamo uniti nel nostro disprezzo per una classe dirigente che non produce risultati.

Ma mi chiedo: dove porta la meritocrazia? Il reciproco di premiare i contributi positivi, immagino, è non premiare le persone che non contribuiscono a sufficienza. Chi non produce risultati dovrebbe discendere la scala sociale. Un personaggio come Ekeroth, che brandisce spranghe di ferro e insulta le signore nelle strade di Stoccolma, non dovrebbe stare in parlamento. Il suo posto è a svolgere qualche lavoro ripetitivo e noioso, sorvegliato da qualche capo che gli impedisca di offendere chi gli sta vicino con osservazioni razziste o sessiste, almeno sul lavoro. Giusto?

Probabilmente possiamo essere d’accordo che un politico xenofobo è un peso morto. Ma il contributo di Tavakoli al progresso della società svedese è maggiore anche di quello di, diciamo, quello di un disoccupato a lungo termine, anche se rispetta la legge. O di una persona stupida. O pigra. Ammettiamolo: il suo contributo è maggiore del mio e del tuo – a meno che tu non sia una persona di grande successo e strardinaria statura morale. Qualunque paese razionale, potendo scegliere, preferirebbe avere come cittadino Tavakoli piuttosto che me – o il 99% dei suoi cittadini attuali.

Quindi, vedete: come ideologia, la meritocrazia fa troppa paura per attecchire davvero. Promette equità e mobilità sociale, ma al costo di una perpetua insicurezza, di dovere ogni giorno dimostrare quanto valiamo in un mondo in cui qualcuno sarà sempre più bravo o più veloce o di noi. Nessuno vuole la meritocrazia – almeno, non per sé stesso e i propri cari. I giovani europei dicono di volerla, ma quello che intendono è che sono già bloccati in un angolo meritocratico della società, esclusi dalle posizioni comode e garantite. Pensano che sarebbe meglio per loro se, per qualche miracolo, tutte le posizioni diventassero contendibili – e hanno ragione, perché sono in media più istruiti e lavorano più duro dei miei coetanei. Quindi, chiedono meritocrazia in quanto esclusi: ma appena entrano nel sistema iniziano a manovrare per consolidare le loro posizioni. È umano.

Per contrasto, Ekeroth e la sua allegra banda di nazionalisti europei hanno un’ideologia che dice: sei nato qui? Allora sei a posto, indipendentemente da quello che contribuisci o non contribuisci. Non ti preoccupare, ce la prenderemo con quegli altri laggiù, non con te. Takavoli è più intelligente e coraggioso, ma Ekeroth ha un prodotto politico molto migliore. Quindi, sono in disaccordo con i miei amici svedesi: non credo che le argomentazioni meritocratiche ci aiuteranno molto nel contrastare la crescita della xenofobia nelle società europee. Dovremo trovare qualcos’ altro.

“Non va male, in realtà”: un’intervista sullo stato dei dati aperti in Europa

Aggiornamento: EPSI Platform ha ritirato il video il 30 luglio per effettuare alcune correzioni ai sottotitoli. Dovrebbe ricomparire presto.

Qualche settimana fa passavo per Barcellona per partecipare a Open Government Day, e ho passato un’ora con Montse Delgado a chiacchierare dello stato dei aperti in Europa e di alcuni miei progetti, in particolare Edgeryders e OpenPompei, che nascono e si sviluppano nell’ambito delle politiche di governo aperto. Montse e i suoi colleghi hanno ripreso la chiacchierata, ne hanno tratto un’intervista e l’hanno pubblicata su EPSI platform, la cosa più vicina che abbiano a uno spazio ufficiale di informazione e discussione sui dati aperti in Europa. Altre informazioni qui.

Edgeryders: il Consiglio d’Europa e il mondo che stiamo costruendo


I giovani europei hanno difficoltà a rendersi completamente indipendenti. In Europa il problema è particolarmente sentito, perché il nostro modello sociale è basato sullo status di lavoratore dipendente a tempo pieno e indeterminato, che sblocca molti diritti sociali ed economici (in Francia, dove vivo ora, se sei disoccupato non hai diritto all’assistenza sanitaria). Questo crea tensioni, perché costringe i giovani a cercare di ottenere questo status ad ogni costo, anche se è diventato molto difficile e anche se alcuni di loro vorrebbero cercare strade diverse. Risultato: il 20% dei 15-34enni, in Europa, non lavora, non studia, non si sta formando. Non è nemmeno più un problema di giovani: i giovani sono in prima linea e soffrono di più, ma tutte le categorie di cittadini stanno perdendo autonomia.

Il paradosso è che la generazione che è giovane adesso è probabilmente la più creativa, generosa, idealista e collaborativa che sia mai vissuta. Dovunque, i giovani creano dal nulla nuovi lavori e nuovi settori economici, come i miei amici di CriticalCity o gli straordinari ragazzi di Blackshape Aircraft; sperimentano modi di condividere risorse, dal divano letto di casa dei couchsurfers alle auto, o stili di vita alternativi, lontani dai sentieri più battuti; costruiscono nuovi canali per la partecipazione politica e la costruzione di senso collettivo in un tempo di grave crisi di legittimità della democrazia rappresentativa. Queste persone non si conoscono tra di loro e agiscono indipendentemente, eppure si ha la netta sensazione di una coerenza di fondo tra i loro progetti, come se essi fossero tasselli di un comune futuro emergente. Il video di OpenStreetMap 2008 qui sopra parla ovviamente di tutt’altro, ma potrebbe rappresentare questo emergere; e mi dà la stessa sensazione di commozione e speranza.

Il Consiglio d’Europa ha avuto un’idea: cercare di stanare queste esperienze; riunirle; validarle attraverso un metodo peer-to-peer; e aggregarle per proporre alla Commissione Europea e agli stati membri una strategia nuova. Questa strategia si potrebbe chiamare adattiva: in concreto, si tratta di:

  1. capire cosa i giovani stanno già facendo per costruire il mondo in cui tutti abiteremo tra vent’anni. Questo è un buon indicatore del mondo che vogliono: se si sbattono per costruirlo vuol dire che sono motivati.
  2. se è possibile, aiutarli a farlo, nel senso di creare le condizioni perché queste strategie – che oggi richiedono molto sacrificio e molta iniziativa e sono accessibili solo a una minoranza – diventino praticabili per un giovane medio.
  3. se non è possibile aiutarli, almeno evitare di ostacolarli proiettando su di loro il modello sociale ed economico degli anni 70, che è quello in cui tanti decisori europei senior sono cresciuti, ma non per questo è necessariamente il migliore o il più adatto ai tempi.

Questa cosa verrà fatta con un progetto web, in cui l’interazione con l’istituzione è aperta e costruttiva. Il risultato finale verrà presentato in una conferenza di alto profilo a Bruxelles, probabilmente a fine maggio 2012. Ho l’onore di dirigere questo progetto, e la fortuna di avere avuto la possibilità di mettere insieme un team stellare (ve lo presenterò in un post successivo). Devo ringraziare moltissimo la Divisione Ricerca e Sviluppo sulla Coesione Sociale del Consiglio d’Europa per avere creduto in questo progetto, e riconoscerne il coraggio nel mettere in pista un progetto così aperto.

Il progetto si chiama Edgeryders. La piattaforma lancerà a fine ottobre; per ora abbiamo messo online un blog per cominciare a interagire. Vienci a trovare, e, se ti sembra credibile, passa parola: avremo bisogno di tutta la conoscenza e tutto l’aiuto possibile. E tu, cioè voi, ma anche noi, insomma tutti quanti noi siamo i veri esperti della costruzione del futuro: ci combattiamo tutti i giorni.