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I dati di Obama e la prima legge di Clarke

Com’era prevedibile, Wired di giugno intervista Vivek Kundra, il primo Chief Information Officer nella storia della Casa Bianca. La visione dell’amministrazione Obama sulla distribuzione dei dati in forma machine-readable, taggabile e valutabile dagli utenti è effettivamente un argomento superinteressante, che tutti quanto faremo bene a tenere d’occhio.

Come CTO a Washington hai spostato decine di migliaia di dipendenti da Microsoft Office a Google Apps per risparmiare. Una parte della tua nuova agenda è di spostare il governo verso soluzioni di cloud computing e di software libero. Come farete?

Mi era sfuggito: a ottobre 2008, mentre Obama era occupato con la sua campagna, Kundra lavorava come capo della tecnologia del District of Columbia. Da quel ruolo, ha spostato i 38mila impiegati dell’amministrazione distrettuale da Microsoft Office alle applicazioni cloud di Google, ovviamente risparmiando un bel po’ di denaro del contribuente.

Il problema di questa storia è che, dal punto di vista teorico, la mossa di Kundra non è possibile. Nel pensiero americano sulla Political Science è molto influente il pensiero incrementalista, di cui Charles Lindblom è probabilmente l’esponente più noto e prestigioso. Gli incrementalisti hanno studiato riforme profonde e importanti, come l’introduzione del bilancio federale di previsione da parte dell’amministrazione Roosevelt, e hanno concluso che le riforme si fanno a piccoli passi, mirando a ciò che è possibile: “la situazione iniziale, più o meno un cinque per cento”. Migrare 38mila impiegati da un sistema all’altro, mister Kundra? E i sindacati? E i fornitori? Come risolvere il problema della formazione? Come ottenere il consenso del middle management? Dia retta, non si può. Facciamo un progetto pilota, uno studio di fattibilità, una cosa più… come dire? Realistica. Moderata. Incrementale.

Le argomentazioni degli incrementalisti – che rispetto molto – mi ricordano la prima legge di Clarke: se un anziano e famoso scienziato dice che una certa cosa è impossibile, probabilmente ha torto. Kundra ha mai letto Lindblom? Sapeva che la sua riforma era impossibile? Comunque l’ha fatta. Mi chiedo se un po’ meno di scientifico realismo e un po’ più di sana incoscienza possano aiutare anche i riformatori, in Italia come in tutto il mondo.

Obama’s data and Clarke’s first law

As was expected, Wired’s June issue has a story about Vivek Kundra, the first-ever White House Chief Information Officer. The Obama administration’s vision on federal data release in a machine-readable, user-rateable and taggable form is indeed very fascinating.

Towards the end of the interview, almost as a side to the main topic, the interviewer asks this question:

As CTO of Washington, you moved tens of thousands of employees from Microsoft Office to Google Apps to save money. Part of your new agenda is shifting the government to cloud computing and using free software. How will that happen?

I had missed it: in October 2008, as Obama was busy with his campaign, Kundra worked as Chief Technology Officer of District of Columbia. In that capacity, he moved 38,000 employees of the District’s administration from Microsoft Office to the Google cloud suite, obviously saving quite a lot of taxpayer money.

The problem with this story is that it looks like a theoretical impossibility. Incrementalist thinking – Yale’s Charles Lindblom being its most prestigious academic – is extremely influential in the American political science tradition. Incrementalists looked up deep, important reforms like the introduction of the Federal budget under the Roosevelt administration, and concluded that reform happens in small steps, aiming for what is possible, i.e. “the present situation plus or minus five per cent”. Migrate 38,000 employees from a system to another, mister Kundra? What about trade unions? And suppliers? How can we train employees for the new system? How can we get the middle management’s consensus? Trust us, mister Kundra, it can’t be done. Let’s do a pilot project instead, or a feasibility study. Something more… realistic. Incremental.

The incrementalist position – which I respect deeply – remind me of Clarke’s first law: when a distinguished but elderly scientist states that something is impossible, he is very probably wrong. Did Kundra ever read Lindblom? Did he know his reform was impossible whan he went ahead and did it? He made it happen anyway. I wonder whether a little less of scientific realism and a little more healthy recklessness would not be a better recipe for reformers all over the world.

Spiegarsi la crisi, spiegare la crisi

In un godibilissimo articolo, Enzo Rullani si interroga sulla crisi economica, e si smarca dal dibattito in corso tra neostatalismo e neoliberismo, che secondo lui sono entrambe ricette del secolo scorso. A un certo punto si incontra questo passaggio:

Chi può credere che il terremoto a cui stiamo assistendo sia frutto della sbadataggine di chi ha concesso i mutui subprime a debitori che non li avrebbero restituiti o a furbacchioni che – come tanti altri prima di loro – hanno speculato al rialzo sulla finanza facile, vendendo promesse che non erano in grado di mantenere?

La domanda è retorica, ovvio. Secondo Rullani le vere ragioni della crisi stanno sul piano del modello di sviluppo, non su quello delle tecnicalità finanziarie. Però ha una risposta non retorica, che è “parecchia gente”. Da Wired a Daniel Kaufmann, passando per Lavoce.info, sono molti i commentatori che hanno affrontato il tema senza ricorrere a spiegazioni sistemiche. Tutti questi dicono un po’ la stessa cosa, cioè che i derivati finanziari sui mutui subprime erano rischiosi, ma (a) questo rischio era difficile da percepire senza disporre di nozioni non elementari di teoria della probabilità e (b) banche e intermediari stavano facendo troppi soldi per avere veramente voglia di studiarsi il problema. Come ha scritto Taleb in The Black Swan, gli umani non sono cablati per capire la matematica probabilistica: preferiscono il pensiero magico. Esso, unito agli effetti aspettative – cioè a quei meccanismi che fanno sì che l’economia sia così piena di profezie che si autorealizzano – fa un bel po’ di strada nello spiegare la crisi in atto.

I punti di criticità individuati da Rullani mi sembrano molto sensati…  ma non c’è bisogno di invocarli per spiegare questa crisi. Il rasoio di Occam li taglierebbe via: a parità di fattori, la spiegazione più semplice tende a essere quella esatta. Inoltre, se si vuole capire davvero, il terreno delle tecnicalità va accettato: in altre parole – e come sempre – bisogna studiare per farsi un’idea propria. Per questo guardo con simpatia e gratitudine a chi fa uno sforzo per spiegarsi e per spiegare con chiarezza i meccanismi concreti della crisi, anche se noiosi e difficili. Come in questo video: