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Wikicrazia Reloaded: arriva l’edizione Kindle

Ho deciso di pubblicare Wikicrazia Reloaded in formato e-book. Lo trovate qui su Amazon a 3 euro, senza DRM e con licenza Creative Commons. Ci sono molti contenuti nuovi: una nuova prefazione di Riccardo Luna e una decina di articoli scritti da Fabrizio Barca, Alessio Baù e Paola Bonini, Matteo Brunati, Michele D’Alena, Fabio Fornasari e Antonino Galante, Matteo Leci Cocco-Ortu, Francesco Pesce e Ida Leone, Dimitri Tartari e Massimo Fustini, Alessia Zabatino, tutte persone che hanno usato il libro come un manuale d’uso per mettere in pista operazioni di open government. Qui sotto potete leggere la nota che apre l’edizione e-book. L’ho appena caricato e non ci sono ancora recensioni: vi sarò davvero molto grato se trovate dieci minuti per scriverne una. Apprezzo anche consigli su dove pubblicare, con le stesse modalità, l’ebook in formato epub.

A un anno e mezzo dalla pubblicazione di Wikicrazia nell’ottobre 2010, molte cose sono cambiate nello spazio delle politiche pubbliche. Le avventure di quei pochi pionieri raccontati nel libro hanno ispirato molte altre persone e amministrazioni a entrare nel gioco, a tutti i livelli amministrativi e in tutto il mondo, dall’accordo diplomatico globale dell’Open Government Partnership al piccolo comune che pubblica il bilancio in formato aperto con le apps gratuite di Google. In questo rivolgimento ho giocato anch’io il mio piccolo ruolo, provando a mettere in pratica i principi descritti nel mio libro nel contesto di un progetto che dirigo presso il Consiglio d’Europa: un’istituzione piuttosto felpata (nasce da un accordo diplomatico) e non particolarmente sensibile al fascino dell’high-tech, ma che mi ha coraggiosamente dato spazio nel realizzare cose abbastanza radicali.

Questo fenomeno è stato particolarmente spettacolare in Italia. A partire proprio dalla fine del 2010, Regioni (prima) e governo centrale poi hanno dedicato alle politiche di governo aperto e collaborativo molta più attenzione che in passato – con un forte sostegno da parte di una società civile particolarmente ricca di entusiasmo e di competenze.

Questa situazione consegna Wikicrazia a un destino contraddittorio. Da una parte dà l’impressione di essere datato, come una foto in bianco e nero; dall’altro sembra straordinariamente profetico. A pensarci bene, però, credo che entrambe le impressioni siano sbagliate.

Wikicrazia rimane attuale (purtroppo). Delle moltissime istituzioni pubbliche del mondo, alcune hanno varato leggi per garantire l’accesso all’informazione generata dalle amministrazioni; altre hanno pubblicato dati in formato aperto; altre ancora hanno dato vita a interessanti esperienze di collaborazione con i cittadini. Pochissime hanno fatto tutte e tre le cose; praticamente nessuna ha applicato tutti e tre principi in tutte le aree in cui è attiva. La grande maggioranza delle istituzioni di governo nel mondo è in una situazione analoga a quella descritta nel libro.

Wikicrazia non è una profezia, ma un manuale d’uso. Se alcune cose in questi anni sono cambiate nel senso indicato dal libro non è per effetto di forze misteriose e impersonali che sono riuscito a decifrare, ma perché persone coraggiose e intelligenti si sono impegnate per rendere l’azione di governo più aperta e più informata. Alcune di queste hanno usato il mio libro per trovare conferme e orientare il loro impegno: io questo lo so perché, nell’anno e mezzo trascorso dalla pubblicazione dell’edizione di carta, ho ricevuto tantissime email, messaggi su vari social network e telefonate di persone che, dal libro, avevano tratto ispirazione e motivazione per proseguire sulla loro strada di cittadini attivi, funzionari pubblici innovatori, politici impegnati nel rinnovamento.
Wikicrazia non è certo un bestseller: l’edizione di carta ha venduto mille copie. Eppure, a modo suo, è un libro che ha esercitato e continua ad esercitare una piccola influenza su alcune persone, un po’ come il primo disco dei Velvet Underground, quello con la banana in copertina: la prima edizione ha venduto pochissimo, ma si racconta che tutti quelli l’avevano comprata abbiano fondato una propria band. Ha anche aggregato una piccola comunità di lettori molto avanzati, il Nocciolo Duro: da quando mi sono trasferito all’estero sono loro a occuparsi delle presentazioni italiane.

Quindi, sento il libro come ancora molto vivo. Questo mi ha spinto a metterne insieme l’aggiornamento che state leggendo. Al testo del 2010, che ho lasciato intatto, ho aggiunto una serie di brevi saggi di amici e colleghi che hanno condotto in prima persona o studiato da vicino alcune delle esperienze “wikicratiche” dell’ultimo anno e mezzo. Sono loro i protagonisti di Wikicrazia reloaded: io ho messo insieme il libro, ma loro, insieme, stanno scrivendo la storia di questa nuova fase delle politiche pubbliche italiane. Il loro segreto è semplice e grande: hanno guardato il proprio Comune, o la propria Regione, o l’agenzia governativa per cui lavorano con occhi nuovi e si sono detti “io ci provo”. I wikicratici indicano la strada a tutti noi: non ho parole per esprimere l’orgoglio di avere, nel mio piccolo, contribuito a dare loro strumenti per farlo.

Una menzione speciale va a Riccardo Luna, autore della prefazione di questa edizione. Siamo diventati amici proprio a partire dal suo interesse per Wikicrazia, e il suo impegno generoso per le pratiche di governo aperto in Italia ha fatto una bella differenza.
Speriamo, tutti insieme, di continuare così.

The economics of the makers revolution: a primer

Ero un economista industriale molto tempo fa, quindi trovo rinfrescante immergermi nelle conseguenze economiche della rivoluzione makers. Il video qui sopra (9 minuti) è il mio talk a World Wide Rome, conferenza che ha proiettato il mondo makers dalle cantine al mainstream grazie alla formidabile trazione di Riccardo Luna. Il concetto principale è quello di tecnologia permissiva; solo tecnologie hackerabili sia legalmente che tecnicamente permettono l’innovazione di massa e dal basso che può riorganizzare l’economia manifatturiera su basi di decentralizzazione spinta. Se ti interessa saperne di più puoi leggere:

  • l’economia di Makers di Cory Doctorow (in inglese), un’analisi economica del romanzo eponimo di Doctorow. Doctorow l’ha letta e mi ha ringraziato, quindi immagino che non sia troppo distante dalla sua visione.
  • la maledizione di Schumpeter, un post che non parla del movimento makers ma illustra un punto chiave del mio talk: la distruzione creativa non è un modello di equilibrio, e la rivoluzione makers farà probabilmente parecchie vittime.

Il mio talk è stato molto applaudito dal pubblico in sala, prevalentemente di provenienza corporate o istituzionale. Questo mi ha stupito, visto che ho annunciato instabilità economica, obsolescenza dei modelli di business basati sulla proprietà intellettuale, pianto e stridor di denti. Immagino che voglia dire che siamo così immersi nell’ideologia dell’innovazione che riusciamo a rimuovere gli elementi di conflitto nella rivoluzione makers. In questo io sto con Doctorow: ci sarà conflitto, i diritti di proprietà intellettuale (brevetti) saranno il campo di battaglia principale, e i cattivi potrebbero vincere.

Una nota a margine della conferenza stessa: è stato un magnifico evento, molto bene organizzato e che ha avuto l’enorme merito di celebrare i makers, in primis l’inventore di Arduino Massimo Banzi. Ma ho anche una critica: ha mescolato i progetti dei makers (basati appunto su tecnologie permissive e open source, margini bassi e decentramento produttivo) da quelli delle grandi imprese come Olivetti e i clienti di Ideo e del CIID (basati su tecnologie proprietarie e non permissive, sotto il controllo di grandi imprese che fanno margini alti). Del resto, questo spazio è ancora nuovo. Impareremo.

Wikicrazia Big Bang: niente guru, per favore

Molte persone mi hanno scritto per segnalarmi un articolo di alto profilo su Repubblica (tre pagine, compresa la prima) dedicato al tema del governo aperto (chiamato dal titolo “Wikicrazia”) e dell’interesse che sta suscitando in Italia. A questo interesse ha contribuito non poco l’articolo stesso: un endorsement cosí forte ha acceso la curiositá di persone che non se ne erano mai occupate, e spinto persone giá interessate a passare all’azione.

Credo che il movimento per il governo aperto, pur cosí minoritario, abbia in sè una forza irresistibile. Gli deriva dal fatto che è possibile impegnarvisi anche da soli, qui e ora, con gli strumenti e le risorse che ci sono; il lavoro è abbastanza frazionabile da potere essere svolto in piccolissimi pacchetti con soddisfazione, sentendosi utili, senza aspettare riforme di sistema o cambiamenti culturali. Però credo anche che, nel generare l’onda di interesse attuale, abbia avuto un ruolo fondamentale Riccardo Luna, ex direttore di Wired Italia e autore dell’articolo in questione. Riccardo non è solo un buon giornalista e comunicatore; è diventato un militante e un organizzatore di questo movimento. In questi mesi ci siamo sentiti spessissimo, e ho visto il suo entusiasmo crescere e diventare visione. Il suo stile inclusivo, attento a riconoscere i meriti altrui e a non intestarsi mai il tema, gli ha creato intorno molta simpatia e molta credibilità.

Se posso permettermi un consiglio – non tanto a Riccardo quanto a tutti noi – credo che sarebbe importante mantenere l’attenzione puntata sulla collaborazione di massa basata sull’autoselezione, evitando ogni personalizzazione e respingendo la tentazione di fare dei guru delle persone che stanno lavorando sul tema. Non sarebbe appropriato. In ogni progetto che inizio, so che il collaboratore più importante, il cittadino o la cittadina che darà il contributo più prezioso, è il cittadino o la cittadina che ancora non conosco. È per questa persona sconosciuta che progetto: perché possa trovare la strada del progetto che ha bisogno proprio di lei, e perché questo la ingaggi in modo utile, divertente e rispettoso. È lei che dà senso alla collaborazione e porta a casa il risultato.

I guru, invece, sono l’ultima cosa di cui sento il bisogno.