This voice is your voice

Da quando esistono, la blogosfera prima e la statusfera poi sono percorse da una certa insoddisfazione per la “vecchia politica”. Immagino che l’idea sia che “noi” – qualunque cosa questo noi voglia dire – siamo meglio. Se fossimo “noi” ad amministrare e rappresentare il paese – o l’economia, o il mondo – faremmo un lavoro migliore.

La Open declaration on European public services ci dà un’ottima occasione di appoggiare un nuovo modo, totalmente figlio della rete, di contribuire al miglioramento della gestione pubblica. E’ partita dal basso, per iniziativa di una piccola tribù globale e molto connessa, il “rowing committee”; si è sviluppata attraverso un processo collaborativo, i cui ingredienti sono 12 (dodici) tools e 55 (cinquantacinque) euro – qui il budget; ed è arrivata a un traguardo importante, quello di dividere le luci della ribalta della conferenza europea di Målmo con la dichiarazione dei ministri competenti.

Cosa vogliamo di più? Per una volta possiamo fare di più che lamentarci. Possiamo andare al mini-sito e firmare la dichiarazione. Ci sono anche le istruzioni per passare parola, che per “noi” – forniti come siamo di account Twitter e Facebook – sarà semplice e naturale come condividere con i nostri cari quale hit di Sanremo anni 80 siamo.

David, Paul e Nadia ci rappresenteranno a Målmo. I ministri hanno dietro le spalle legittimità, apparati e potere. Loro hanno soltanto le nostre voci. Che siano tante, allora! This voice is your voice, come avrebbe detto il vecchio Woody Guthrie.

Punk rock e innovazione

Investireste mai in unazienda con questo consiglio di amministrazione?

Investireste mai in un'azienda con questo consiglio di amministrazione?

Il mio modello di innovazione sociale – ormai si sarà capito – è il movimento punk, che ho fatto in tempo, giovanissimo, a vedere sparire dietro la curva nei primissimi 80. Il succo del punk era “ehi, anch’io posso farlo”! Per me questo è stato un imprinting fortissimo, e ne porto ancora i segni. Per fortuna.

Più tardi ho ricostruito un po’ di storia, scoprendo che, fino a cinque minuti prima, era di moda una cosa molto diversa che si chiamava progressive rock, per gli amici prog. Il prog era una musica, uomo, difficile. Non è che un provincialotto qualunque di Sassuolo si metteva lì e suonava il prog. Dovevi sapere l’armonia, teoria musicale, avere i riferimenti culturali.  A me il prog è riuscito immediatamente antipatico. Tanto che per non sbagliarmi, verso il 1980, con la saggezza dei miei 14 anni ho deciso che (1) gli assoli di qualunque strumento sono masturbazione e puzzano di prog. Vietati. (2) I pezzi sopra i tre minuti e quaranta sono pretenziosi e puzzano di prog. Vietati. (3) Tutti gli italiani sono dei provinciali sfigati. Vietati tutti. In pratica buttavo via tutto, salvando un po’ di soul, la musica classica (che in qualche modo mettevo in un mazzo diverso), la disco elettronica fine anni 70, e i primi Beatles. E il punk, e la new wave venuta subito dopo.

Mi pento e mi dolgo. Ma è un pentimento di testa: il mio cuore è ancora con i ragazzi del 76, che hanno letteralmente costretto all’estinzione i sofisticatissimi alfieri del prog con la loro urgenza espressiva, la loro bassa tecnologia, i loro suoni grezzi e slabbrati. E quindi, adesso, io sto con l'”underground tecnologico”, con il subversive engineering che vedo crescere intorno ad Arduino e alle altre piattaforme low cost di prototipazione. Tutti possono fare innovazione, e le idee più disruptive non verranno dai laboratori R&D delle grandi aziende e dalle università più titolate. Quindi, domani (martedì) me ne vado qui. Chi volesse venire, è il benvenuto: porterò perfino le birre. Punk’s not dead.

Mezzo Hummer

half a hummer

A inizio 2009 ho aperto un account su Dopplr. A differenza di altri social network, in cui sono entrato semplicemente per desiderio di esplorazione, qui avevo un obiettivo molto preciso: tenere un conto approssimativo delle distanze che copro quando mi sposto (prevalentemente per lavoro) e della CO2 che emetto. A luglio mi è arrivato il mio primo rapporto semestrale. Che dice:

  • nei primi sei mesi del 2009 ho fatto 26 viaggi, per un totale di 58 giorni
  • ho percorso 23.407 km (il 6% della distanza tra la Terra e la Luna)
  • la mia velocità media del semestre è stata di 5,42 km/ora, circa quanto un papero (?)
  • e soprattutto, ho emesso, viaggiando, 2,237 tonnellate di CO2 in sei mesi. Un Hummer H3 (il SUV più SUV e antiecologico che ci sia) produce circa 10 tonnellate di CO2 in un anno. Ne consegue che io, a questo ritmo, solo spostandomi per lavoro inquino quanto mezzo Hummer.

Questo non mi fa per niente piacere. Io non ce l’ho neanche, la macchina; sono preoccupato per il cambiamento climatico e mi dispiace trovarmi a inquinare come se l’avessi. Un buon proposito per l’anno nuovo è di cercare di limitare i viaggi di lavoro, sostituendo tutte quelle riunioni – spesso neanche tanto utili – con sistemi di gestione di progetti in asincrono, come Basecamp, o con riunioni in Second Life (per Kublai funziona alla grande). Ovviamente questo proposito funziona meglio se non sono solo io, ma se tutti insieme spingiamo la cultura antiriunione. Viaggiamo, ma per incontrarci davvero, per partecipare a conferenze e condividere conoscenza e socialità. E comunque mezzo Hummer è troppo. Voglio passare a mezza Smart!

[Post realizzato per Blog Action Day]