Camminando sul filo: network science, comunità online e democrazia

Sabato ho partecipato a TEDx Bologna. Invece di andare sul sicuro, dedicandola ai temi sviluppati in Wikicrazia, ho dedicato la mia presentazione a una connessione che sto ancora esplorando, e che trovo assolutamente affascinante. Mi sto chiedendo se possiamo:

  1. usare la scienza delle reti per dare un indirizzo alle dinamiche sociali delle comunità online (come?). Spingerle a discutere dei problemi che ci stanno a cuore, usare certi linguaggi, applicare certe regole. Possiamo usare le comunità online aperte come strumenti di analisi e progettazione di soluzioni a problemi collettivi, come se fossero computers fatti di persone?
  2. collocare queste comunità online nel quadro della legittimità democratica, usandole come luoghi aperti in cui i cittadini possono partecipare all’analisi di problemi comuni e alla progettazione di soluzioni. Legittimità, in questo contesto, vuol dire che queste comunità devono essere partecipate, e in qualche modo guidate, da istituzioni democraticamente elette.

Chi partecipa a queste comunità (come Kublai, o Edgeryders) accetta uno scambio: l’interazione non è totalmente libera, ma direzionata (per esempio, questi luoghi non sono il posto giusto per postare foto di gatti), ma in cambio la discussione si svolge vicino ai decisori pubblici e con la loro partecipazione. Quindi, esse possono fare promesse credibili – attentamente circoscritte e realistiche – del tipo: “in cambio del vostro impegno, ottenete di influire sulle decisioni che prendiamo, in nome del popolo e dell’interesse comune.”

Mi rendo conto che è un salto mortale: dalla network science alla democrazia partecipativa, passando per le comunità online. Spero di atterrare in piedi. Il video del talk arriverà tra un mese. L’immagine qui sotto è un’anticipazione.

12 pensieri su “Camminando sul filo: network science, comunità online e democrazia

  1. Massimo

    Due considerazioni, una positiva e una negativa.
    Sono molto positivo sul fatto che tu (in senso ampio, il tuo progetto) possiate arrivare ad un modello matematico che crei una correlazione fra metodi e metriche.
    Non ho gli strumenti per capire come, ma penso che non sia più complesso che creare un algoritmo di ranking o fare un miliardo di utenti orientandoli a raccontare tutto di se stessi.
    Perché io sono convinto che qualcuno questo algoritmo ce l’abbia già in tasca e si tratti semplicemente di (ri)scoprilo pubblicamente.
    Sono molto negativo sulla discesa in campo, in questa arena, dei decisori pubblici. Esperienza personale ? Cinismo di base ? Non lo so.
    Nel 2009 quando presentai alla giunta uscente una slide dove si parlava di OpenData ci furono sorrisetti ammiccanti. Ora sono passati tre anni e finalmente abbiamo online l’altezza del ciglio dei marciapiedi e l’elenco delle Biblioteche comunali.
    E allora mi viene da dire che il problema non sarà trovare metriche e metodi ma convincere qualcuno ad utilizzarli (in ambito di politiche pubbliche intendo).
    Siamo tornati all’inizio, da Wikicrazia come “libro di fantascienza”, che poi tanto fantascienza non era (e in questo avevi ragione tu) a Dragon Trainer che dovrà trovare il modo di fare il salto dalla teoria alla realtà.
    Però se c’è qualcuno che può farcela (come appunto hai già dimostrato) quello sei tu.

    Massimo

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  2. Pedro Prieto Martín

    One of the most elegant proposals to integrate public participation with the democratic institutional procedures comes from the sowit.eu project:

    http://www.sowit.eu/node/11

    Its combination of self-directed “public sphere” and of issue-activated “dialogue spheres” resonates a little with what you propose.
    I guess their measurement and visualization of the progress of deliberations toward the achievement of meta-consensus could be somehow combined with your “network analysis” to make a better sense of the interactions and deliberation happening.

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  3. Stefano Stortons

    Ciao Alberto,
    interessante come sempre, ma molto timoroso su alcuni punti che vorrei condividere più che altro per capire meglio la riflessione.

    Premesso che ogni azione esterna ad una rete se compiuta da altri individui è pur sempre un’azione interna con i suoi effetti modellanti che saranno però differenti da quelli prodotti da agenti naturali (risorse, spezio, tempo, o eventi atmosferici) o comunque da regole condivise e codificate.

    Detto questo mi spaventa il mix letale di “comunità aperte” e “istituzioni guidanti”, per quanto esse possano essere democraticamente elette. Sia per le ragioni che generalmente guidano il potere politico come noi lo conosciamo, specie quando esso è concepito come unidirezionale (riferendomi al potere costituito, non quello di pressione), sia perchè le comunità aperte dovrebbero comunque essere guidate solo da regole più o meno condivise e non da poteri discrezionali, seppur essi siano democraticamente eletti.

    Se guardiamo a queste comunità aperte come fossero le stesse società democratiche da cui deriverebbero i poteri che dovrebbero guidarle, si capisce come neanche esse, come le seconde, possano essere eterodirette se non da un sistema di regole in qualche modo autoprodotte. Questa è la democrazia che deve valere in tutte le forme di comunità.

    Piuttosto si parli di cooperazione, ma mai di guida dove un hub è in posizione dominante su tutti gli altri per scelta ed elezione.

    Consapevole che tutto vada argomentato maggiormente, e che forse siano più utili domande di chiarimento sul tuo intervento, io dico che la sfida è nel trovare la migliore forma di autogoverno perchè tali comunità aperte possano giungere a decisioni democratiche – al loro interno e nei confronti di quelle esterne (semmai in una rete aperta possa esistere la distinzione tra interno ed esterno) senza il supporto di – o che siano esse di supporto a – attori esterni.

    Beh, chiedo che il giudizio sui contenuti tenga conto anche dell’ora in cui ho scritto… 😉

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    1. Alberto Autore articolo

      Ciao Stefano, grazie per le tue osservazioni. Può essere che tu abbia ragione sul fatto che le comunità aperte “non dovrebbero” essere guidate dall’esterno. Dal mio punto di osservazione non ho accesso a scelte così profonde. Vivo in un mondo in cui le istituzioni democraticamente elette ci sono; il mio lavoro è renderle più intelligenti e veloci. L’unica fonte libera di intelligenza che conosco sono i cittadini stessi, e cerco di imparare a organizzare comunità che elaborino e filtrino l’informazione.

      Su una cosa posso rassicurarti: mi pare che sia impossibile che queste comunità vengano controllate dall’hub centrale. Se fai questa roba per un po’ si sente in modo quasi fisico che le comunità online hanno una loro legge di moto: puoi distruggerle, ma non telecomandarle. Il centro può proporre un problema sul quale vorrebbe indagare (questo in genere funziona: quasi ogni problema attira qualche centinaio di persone interessate), promuovere contenuti interessanti e così via, ma alla fine le comunità vanno dove vogliono.

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  4. Alessandro

    Tre premesse: non so nulla di “scienza delle reti”; non sono sicuro di aver capito qual’è l’obiettivo; ho molti anni di esperienza nella cooperazione (nel senso di Cooperative) e il mio commento è probabilmente viziato nel bene e nel male da questo fatto.

    Tutto ciò premesso, penso che la partecipazione sia molto dispendiosa. Partecipare a Facebook è una sciocchezza, ma partecipare a processi decisionali democratici che hanno impatti diretti sulle nostre vite è molto faticoso. La partecipazione vera, ricca, va motivata e sostenuta, oppure si deforma in consenso vuoto, protesta vuota o delega vuota.

    Quindi, le condizioni, necessarie ma non sufficienti, per ottenere quello che indichi nell’articolo sono:
    – una serie di regole, uno Statuto, che abbia valore legale e che tuteli la partecipazione, indicandone i diritti, i doveri e le modalità di realizzazione
    – l’impegno, formale e non derogabile, del decisore di delegare parte delle sue deleghe (scusate il bisticcio)
    – a questo punto, la presenza o meno di rappresentanti e/o moderatori non credo sia un ostacolo

    In sintesi, con il tempo, il pathos e le speranze delle persone non si scherza e la partecipazione vera si trova dove essa ha un valore reale, tutelato, tutelabile, percepito e valorizzato dagli interessati. In assenza di queste condizioni in genere si ha al massimo un sistema di consultazione dei cittadini e al minimo una strumentalizzazione degli stessi, passando per la creazione del consenso. Già visto e non funziona per quello che vuoi fare tu.

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    1. Alberto Autore articolo

      Sono molto d’accordo con la tua impostazione, Alessandro. Tranne per un punto: che delegare la responsabilità decisionale a una comunità online non è sempre necessario, e può essere controproducente. Ragione: gli incentivi strategici. Se si gioca una partita che a me sta a cuore, sono incentivato a “cammellare” più gente possibile nella comunità con il solo scopo di darmi ragione; e questo polarizza immediatamente il dibattito e ne abbassa la qualità. Non dovendo per forza decidere, la discussione può esplorare le diverse alternative: progettare soluzioni invece di scegliere tra soluzioni più o meno preconfezionate.

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      1. Alessandro

        Vero, giusto, le “truppe cammellate” vanno evitate. Il mio punto era di evitare il fenomeno contrario, l'(ab)uso della partecipazione senza che vi sia reale peso, l’illusione di contare, la presa in giro. Vedo questo rischio nelle organizzazioni che scoprono adesso di dover conversare senza essere abituati a farlo, la tentazione di aprire canali “social” per controllare, non per coinvolgere.
        Ma, in realtà, probabilmente è un non-problema, gli spazi aperti allo scopo di manipolare una comunità restano vuoti o si svuotano velocemente una volta che si scopre il giochino.

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  5. GIUSEPPE

    Ciao Alberto,
    mi chiamo Giuseppe e faccio parte dell’associazione Libera a Novara.
    Ho avuto l’occasione di ascoltarti due anni fa a Marsala, durante la presentazione del libro Wikicrazia, libro che ho letto con molto interesse ed entusiasmo.
    Il presidio “Ilaria Alpi e Miran Hrovatin” di Novara è attivo su diversi fronti. Uno dei più importanti riguarda proprio la “trasparenza amministrativa” e la “formazione del pubblico impiego”.
    Come ben affermi, crediamo che le comunità (reali o virtuali) siano luoghi aperti in cui i cittadini possono partecipare all’analisi di problemi comuni e alla progettazione di soluzioni. Su questo le risorse informatiche potrebbe offrirci numerose potenzialità.
    Ci piacerebbe molto stimolare questo dibattito a Novara. Sarebbe bello averti con noi per presentare il tuo libro, conoscere i tuoi virtuosi progetti (l’esperienza kublai e edgeraiders). Una buona occasione per intraprendere un precorso di riflessione e rinnovamento all’interno delle istituzioni e della cittadinanza.

    Fammi sapere se ci stai.

    Ciao

    Giuseppe

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