Wikicrazia: the source code (week 4)

In a few days I will end the collaborative phase of Wikicrazia. Today I was going through the latest comments to come in (there are many, and I am lagging behind in replying a bit), and I was thinking that this blog has come to host a sort of source code for the book that I will finish writing in July. On top of the draft that got the process started, you’ll find here a great wealth of contributions to the discussion offered by more than twenty wikicrats, who have very diverse takes: civil servants, scholars, active citizens, journalists, technology experts, Italians and non-Italians. Congratulations, wikicrats: togeter we gave rise to a conversation of stellar level. If there is a richer, more diverse one anywhere in the world on this topic, I have been unable to find it. I am particularly proud of the fact that there has been no hint of flaming, we have dissented at times but everybody has been superpolite.

Starting from this material, anyone can reconstruct their own Wikicrazia, even using comments to attack the central case I am trying to make! As for me, I will try compile the source code in my own synthesis as best as I can, to be released as the Wikicrazia book in September. It will take on board the many suggestions made by wikicrats, and not a few ideas of my own that the discussion has prompted, so it will be more nuanced than the draft I uploaded a month ago. But the process helped to confirm that wiki-style public policies, discounted for the naivete and the problems as yet unsolved, are a really good idea.

I’ll wait for the very last comments, then post a final report, over and out. Wikicrats, ad maiora!

4 thoughts on “Wikicrazia: the source code (week 4)

  1. Michele

    Ciao Alberto, volevo farti i complimenti: avevo bisogno di leggere qualcosa che mettesse ordine dando anche una direzione. Gli esempi che citi poi sono la ricaduta reale che spesso manca. Complimenti davvero a te che hai scatenato una bella community che spero si riattivi presto su altre iniziative.
    Unica osservazione: non hai trovato nel privato qualche esempio degno di nota?

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  2. Alberto Post author

    Beh, Michele, se leggi attentamente di privato-con-finalità-pubbliche è pieno il libro, a partire dal primissimo esempio, quello di Katrinalist. 🙂

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  3. paolo

    Albert, per prima cosa grazie per l’occasione e lo stimolo. Abbiamo letto con piacere e interesse le cose che hai scritto, e ne abbiamo parlato a lungo, davanti a diverse birre. E questo è già un eccellente risultato. Ti mandiamo un commento tardi, tardissimo, e temiamo, non molto costruttivo. Tutto ciò che tu scrivi ci sembra ottimo e praticamente perfetto, ma di tanto in tanto c’è qualcosa che non ci torna del tutto. E’un lieve disagio dovuto forse alla nostra età ed esperienza, che fa sì che abbiamo meno entusiasmi di te sullo strumento “nuovo” in grado di cambiare le nostre vite, le modalità di interazione, il modo di prendere decisioni pubbliche.

    Cominciamo dall’esempio Simpson. Tu dici che un sistema guidato da Lisa è molto meglio di uno guisato da mr Burns, e non possiamo che darti ragione; tuttavia resta qualche dubbio: temiamo che non solo non si senta la voce di Bart, ma neanche quella di Homer, che, nonostante tutti i suoi difetti, è portatore di interessi che dovrebbero esere rappresentati. Penso che il sistema dovrebbe essere guidato, o almeno coordinato da un sistema di rappresentanza funzionante, da un sindaco, migliore dell’ inetto e indegno e corrotto Quimby.

    Entrando un po’ più nel merito: le politiche pubbliche non funzionano (o possono non funzionare) per diverse ragione, alcune delle quali, forse, sono poco influenzate dai nuovi strumenti che la rete consente di utilizzare..

    Cominciamo prendendo spunto dal primo esempio: il progetto di portale “Italia.it” sembra tecnicamente inadeguato, sbagliato e la decisione di stanziare una cifra molto elevata, nell’ordine dei 50 milioni di Euro, ingiustificata. Non crediamo tuttavia che una discussione, forzatamene tecnica, sviluppata in rete, escludendo i cittadini comuni non in grado di intervenire, avrebbe potuto cambiare le cose. Temiamo che tra le ragioni che hanno portato alla decisione di stanziare una cifra ingiustificatamente alta per uno strumento inadeguato ci fosse il finanziamento, attraverso la spartizione di una torta bella ciccia, di soggetti che partecipano alla decisione a alla progettazione, ma che non partecipano ad alcun dibattito visibile. Non ho alcuna informazione diretta su questa vicenda, ma sono abbastanza bene informato su quella dei rifiuti a Napoli: Il “disastro” è stato causato da una politica dei rifiuti che aveva come obiettivo non secondario la spartizione e la distribuzione di ingenti risorse, e perdeva di vista l’obiettivo principale di liberare dai rifiuti la città. Questi stakeholders invisibili, o impresentabili hanno un peso molto forte, in non pochi casi, nel far sì che le politiche pubbliche non funzionino. Non crediamo, in ultima analisi, che un’ampia partecipazione alla costruzione dei progetti sia di per sé un antidoto alla corruzione. Oltretutto restano intatte le possibilità di coloro che perseguono obiettivi diversi da quelli enunciati di influenzare l’opinione pubblica, sia attraverso i media tradizionali sia attraverso la rete.

    Un secondo problema riguarda i conflitti. In molti casi le politiche pubbliche prevedono un conflitto tra gli interessi di gruppi diversi. Ci sembra che in questo caso la politica wiki abbia una funzionalità relativamente bassa Vediamo due esempi differenti.

    Il primo l’hai portato tu. Il road pricing è stato bocciato a furor di popolo grazie ad un’aggregazione che si è creata sulla rete. Bene. ma siamo proprio sicuri che non fosse una buona cosa, anche se piuttosto impopolare? Le politiche che toccano immediatamente (in maniera vera o presunta) gli interessi di molti cittadini non possono non causare un dissenso diffuso e aggregante. Che magari impedisce l’attuazione delle politiche. Che non per questo sono meno ragionevoli.

    Il secondo riguarda, ad esempio un progetto che danneggia, o può danneggiare, o è percepito come dannoso per una comunità locale, che facilmente trova aggrega e fa sentire una sua voce, mentre avvantaggia una comunità più ampia che ha difficoltà a riconoscersi. Probabilmente gli argomenti del primo gruppo “vinceranno”, ma in ogni caso ci sarà da rispolvere un conflitto. Non mi sembra che questa soluzione, che richiede mediazioni, decisioni drastiche, ecc possa uscire da una discussione in rete. Esempio classico: scelta di localizzazione di una centrale nucleare. Supponiamo che la tecnologia sia del tutto sicura, il progetto dia ampie garanzie che sia indiscutibile il vantaggio economico. Se la popolazione locale comunque non la vuole, diremo che la mancata realizzazione è un esito “non ottimale”?

    Un terzo problema riguarda situazioni in cui la politica concerne problemi tecnici complessi, o in cui è forte la pressione di idee comuni fuorvianti. Lisa sicuramente pensa che il risparmio di acqua sia l’obiettivo principale, e migliore dal punto di vista dell’ambiente per una politica idrica. In realtà questo non è vero in molte situazioni, il punto è restituire al sistema acqua perfettamente depurata. Purtroppo i depuratori funzionano in maniera ignota ai più, ingombrano, non sono belli e puzzano. Trovano a volte l’opposizione degli ambientalisti. Grazie a dio nelle amministrazioni ci sono tecnici preparati e polici avveduti e le cose spesso funzionano…

    Un quarto problema, più ampio e più complesso è quello delle organizzazioni collettive di rappresentanza, che tu sembri liquidare senza problemi. Come non darti ragione, l’associazione dei commercianti in nove casi su dieci dà risposte politichesi, irrilevanti, stupide su una pedonalizzazione, ma chi mi rappresenta Homer (o gli operai di Pomigliano)? Homer non sa accedere alla rete, se ce la fa si limita a cercare siti porno, se tenta di partecipare al dibattito non ha il linguaggio necessario. Più in generale l politica wiki ha potenzialmente un effetto disgregante (delegittimante) sulla rappresentanza: I soggetti che rappresentano interessi collettivi come si rapportano a un processo decisionale wiki-style? In che senso questa specie di “eutanasia del middleman” è un risultato da perseguire? In particolare: quando l’organizzazione è in grado di dare voce a soggetti deboli, con difficoltà a trovare posto nella “conversazione”.

    Ci dà qualche problema, infine, l’entusiasmo per la neolingua wiki. Un linguaggio asciutto, non politichese, diretto, schematico. che tutti capiscono (dovrebbero capire) ma che pochi sanno parlare… La lingua della nuova èlite, come il politichese lo è stato della veccha?

    Insomma, almeno a me (paolo) l’espressione “convergenze parallele” termine creato per il governo Fanfani del ’59, monocolore democristiano con l’appoggio esterno dei socialisti che ha preceduto il primo governo di centro sinista presieduto da Aldo Moro, è sempre sembrata una sintesi fulminante, che ha retto bene il peso degli anni e rappresenta benissimo un processo lungo cinquant’anni e per molti versi ancora in atto. Più convergenza parallela di così…

    paolo bertossi & stefano durì

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    1. Alberto Post author

      Cari Paolo&Stefano, bene, vediamo:

      1. equivoco di fondo. Mr Burns ha sempre comandato. La democrazia rappresentativa ha dato una voce a Homer. Non è un sistema perfetto, ma è meglio di quello che c’era prima. La wikicrazia è un sistema che filtra dalla cittadinanza Lisa e le dà una marcia in più. Naturalmente non sostituisce la democrazia, ma la integra, per cui Homer mantiene la possibilità di votare (magari anche male); ma aggiunge intelligenza alla decisione pubblica. Davvero do l’impressione di volere abolire le elezioni?

      2. Secondo me vi sbagliate sull’apertura della discussione che non incide sulla corruzione e gli stakeholder impresentabili. In Canada è successo che un consulente intento a scrivere un rapporto di ricerca, usando i dati aperti dell’agenzia delle entrate, abbia scoperto una frode fiscale di oltre tre miliardi di dollari. E’ la legge di Linus: se siamo in abbastanza a guardare, tutto si può scoprire.

      3. Sul tema delle decisioni “legittime, condivise ma sbagliate”, tipo il road pricing o la centrale nucleare supersicura. Capisco la vostra posizione, ma questo non è un problema della wikicrazia, bensì della democrazia. La maggioranza può sbagliare, ma in molti sistemi democratici l’idea è che tendenzialmente glie lo lasci fare. Poi, naturalmente, in ogni sistema ci sono controlli e contrappesi volti a ridurre il rischio di decisioni emotive o manipolate: uno di questi controlli riguarda il livello territoriale acui le decisioni vengono prese. Alcuni pensano che sarebbe meglio avere un dittatore illuminato, che dice: “il road pricing si fa”, “la centrale non si fa” e buonanotte. Su questo la mia opinione è irrilevante: vivo in un sistema in cui il dittatore illuminato non c’è, e il problema è quello di aiutare la democrazia esistente a decidere in modo informato e poi mettere in atto le sue decisioni, non quello di criticare ciò che viene deciso.

      4. Di nuovo, non intendo abolire la rappresentanza. Se Homer vuole farsi rappresentare dal sindacato o da chi gli pare, va benissimo. Accanto alla rappresentanza, la Wikicrazia apre un altro canale di partecipazione, tutto qui. Serve anche a tenere la rappresentanza in tensione: se vuole contare deve rappresentare davvero, perché la sua posizione è facile da scavalcare.

      5. La neolingua wiki non è più difficile da parlare del politichese, ed è molto più semplice da capire. In quasi tutte le vostre osservazioni, in realtà, mi sembra che voi stiate implicitamente paragonando la mie proposte con una baseline in cui tutti hanno gli strumenti per capire e partecipare: l’uso eccessivo del web 2.0 andrebbe così a distorcere questa baseline. Ma non è così: in Italia pochi sanno condurre un’argomentazione razionale per iscritto, e ciò li depriva delle cittadinanza piena e li relega a fare gli elettori. Questo non è colpa del web. Io sostengo invece che, sul criterio dell’allargamento della partecipazione, la wikicrazia sia enormemente superiore alla sola democrazia rappresentativa, perché la “nuova élite” può arrivare ad essere forse l’uno per cento della popolazione (diciamo 100-500mila persone in Italia?) mentre quella vecchia credo sia intorno all’uno per mille.

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