Distratto da tutt’altro, non ho ancora commentato il caso Nine Inch Nails – Ghosts I-IV. Per chi come me si fosse distratto, la storia è più o meno questa: Trent Reznor completa il suo contratto discografico con Interscope Records, decide di non rinnovarlo, e pubblica queste 36 tracce strumentali di “dark ambient” (!) con una propria etichetta. Decide di licenziarle in Creative Commons (attribuzione, non-commerciale, condividi allo stesso modo). Questo significa che:
- è legale scaricare “Ghosts” da Bit-Torrent o e-Mule
- è legale copiare il cd e distribuirlo in giro
L’album può essere ottenuto anche in molti altri modi, dal download a pagamento all’edizione limitata “Ultra-Deluxe” a 300 dollari al pezzo (2500 copie, esaurite in tre giorni secondo Arstechnica). I risultati sono stati notevolissimi: 1,6 milioni di dollari di ricavi generati nella prima settimana (fonte: Wired); album più scaricato (a pagamento) da Amazon; primo posto nella classifica Billboard nella musica elettronica e piazzamenti molto lusinghieri in altre categorie (compreso un 14° posto assoluto); 4° album più ascoltato nel 2008 su Last.fm, con oltre cinque milioni di ascolti.
Chris Anderson, che sta scrivendo un libro su “The economics of free”, commenta che “Un album gratuito è stato il più venduto come MP3!”. Ha ragione.
Joi Ito, impegnato su Creative Commons, fa notare che “Un album licenziato in CC è stato il più venduto come MP3!”. Anche lui ha ragione.
Ma perché la gente comprerebbe musica che può facilmente ottenere gratis? Il blog di CC: “I fans hanno capito che comprare gli MP3 avrebbe direttamente sostenuto la vita e la carriera di un artista che amano (traduzione mia)”. E, secondo me, lui ha più ragione di tutti. Nel mio piccolissimo, sostengo da un pezzo (per esempio in un articolo del 2001 su “Diario”) che i musicisti “vivono di mance”, cioè di un rapporto forte con la propria fan base, e che è su questo rapporto che occore costruire un modello di business per l’era digitale. Il diritto d’autore inteso nel senso classico è diventato un ostacolo all’innovazione sui modelli di business, e va superato (ne ho parlato nel 2007 a eChallenges e in altre sedi). Su queste cose mi scontro da allora (abbastanza affettuosamente) con ciò che resta della discografia tradizionale.
E anch’io avevo ragione, pare. 😉
Secondo me esistono ampie zone d’ombra: quello che è successo con Radiohead e NIN è molto bello e suggestivo, ma secondo me siamo ancora lontani dall’aver trovato una “formula magica” per un nuova “industria artigianale” della musica.
Lasciamo perdere mostri sacri come Radiohead e NIN. Pensiamo alle migliaia di gruppi musicali che si formano ogni giorni in Italia e nel mondo. Devono farsi conoscere: distribuire la propria musica sul web è un’ottima strategia, ma non credo basti.
E quando sento banalizzazioni come la storia della base di 1000 fan che garantirebbe il sostentamento a vita di una band mi faccio quattro risate: è ovvio che una teoria del genere non può che venire da qualcuno che non ha la minima idea di cosa voglia dire suonare in un gruppo.
Bisogna ancora macinare chilometri, suonare in locali e scantinati. Impegno, fatica e ore sottratte al lavoro, quello vero. La dimensione “live” della musica è fondamentale e non sono sicuro che per un gruppo agli inizi sfruttare il web e le licenze Creative Commons apra le porte ad un meccanismo in grado di finanziare le trasferte e la produzione di un album.