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Subversive engineering: progettare senza fine di profitto

 Extreme Cratfs

A Stoccolma ho conosciuto una persona interessantissima, Choco Canel, giovane tecnologa-coreografa, e siccome io sono un ex giovane economista-musicista abbiamo subito simpatizzato. Lei e i suoi amici insegnano e praticano quello che loro chiamano subversive engineering. E’ una roba che piacerebbe a Bruce Sterling: si tratta, essenzialmente, di fare progetti cool a costo quasi zero, fatti essenzialmente di tempo e divertimento (nell’Emilia metalmeccanica degli anni 70 si diceva “con lo sputo e il fil di ferro”). Ma perché farlo? “Prestigio”, “mi interessa”, “perché posso”, con un robusto contributo dello stato sociale svedese che garantisce una sicurezza economica minima. Qualcuno citava il divertente sismografo per iPhone, scritto proprio in Svezia in due settimane tanto per farsi due risate, aspettandosi 500 download, che invece sono stati 15000 nella prima settimana. Adesso stanno ragionando se fare pagare un dollaro per ogni download di sismografo 2, ma è chiaro che non si possono fare soldi veri con questa roba. E non è quello il punto.

Dopo una breve esperienza professionale nel marketing, Choco ha deciso di cambiare completamente strada. “Avevo bisogno di spazio per respirare”, dice. Il suo non è, evidentemente un ritiro dal mondo: al contrario, lei e i suoi amici stanno producendo idee – anzi, realtà – credibili e promettenti, o semplicemente sfiziose, come Kikazette (qui trovate qualche link commentato su Delicious). In questa vicenda vorrei imparare due lezioni:

La prima: le risorse utilizzate dagli ingegneri sovversivi non hanno una vera dimensione economica (vecchi pc comprati a 50$ su eBay) o hanno dimensione di bene pubblico (la stessa internet, la rete di protezione sociale svedese). Si può fare innovazione tecnologica senza le imprese, e senza neppure una prospettiva di impresa. Questo è ovvio (basta pensare alla storia della tecnologia: Archimede o Babbage non lavoravano in laboratori R&D di qualche corporation), ma nel clima culturale di oggi tutti si comportano come se quella di impresa fosse l’unica innovazione possibile.

La seconda: progettare cose che non costano (quasi) nulla dà una libertà progettuale incredibile, perché queste cose hanno un unico obiettivo (risolvere un certo problema) e non due (risolvere il problema e generare reddito). Linux o Wikipedia non sono nati con un business plan, ma con un’idea tecnologica “pura”, e questo ha permesso loro di volare molto alto. Inoltre – e decisivo- gli ingegneri sovversivi sono nella condizione di chiedersi “a cosa serve davvero l’innovazione?” e scartare gli aggiornamenti che servono soltanto a costringere le persone a sborsare altri soldi per una versione aggiornata del sistema operativo (chiedete a zio Bill)

Purtroppo la politica per la tecnologia, almeno in Europa, non sembra tenere conto di queste lezioni. La voce delle imprese è quasi l’unica che venga ascoltata (e spesso non suona convincente, almeno al mio orecchio), e non mi pare che nessuno stia ragionando in termini di valore sociale dell’innovazione.

Neve a Matera e Sterling

Sono le 9. Lascio Matera sotto una furiosa nevicata, che sta trasformando la zona in un paesaggio degno del Dottor Zivago. Mi sembra un buon momento per riflettere: sono reduce da tre giorni di lavoro full immersion su Visioni Urbane, e ancora non ho avuto il tempo di tentarne una valutazione.

Il workshop su tecnologie per la creatività di ieri l’altro con Bruce Sterling è andato certamente molto bene. Grande partecipazione, clima eccellente, e warmup mattutino con il potentino Giuseppe Granieri (qui le sue slide), che mi piace davvero molto e il cui pensiero sto cercando di capire meglio. Ha provato a preparare per le profezie di Bruce una platea il cui grado di confidenza tecnologica è molto vario, riuscendo ad essere chiaro e efficace. La sua relazione era fatta con molto, moltissimo Chris Anderson, un po’ di comuni radici lucane, un richiamo ad alcuni concetti chiave del suo libro e qualche accenno al pensiero di Sterling stesso.

Quanto a Bruce, ha fatto la sua parte molto bene, “spiazzando” più volte il nostro pensiero (anche se, diciamocelo pure, non aveva studiato gran che, e si è limitato a riciclare le cose che si era preparato per un convegno di cui è relatore oggi, a Matera. Infatti io, nella mia relazione, gli ho parlato sempre di Basilicata, e lui ha continuato a parlare soltanto di Matera. Nota a margine: se vuoi un esperto che entri davvero nel tuo problema, non scegliertelo così grande e famoso da essere portato a snobbarti. In questo caso noi non volevamo un consulente ma un visionario, e quindi va bene così). I commenti che stanno affluendo al blog di VU sono una testimonianza di quanto l’impostazione aperta e orientata ai valori della conoscenza del progetto sia stata compresa e condivisa dalla nascente community di creativi lucani.

Tutto bene, quindi? Naturalmente no. Il problema, come sempre, sono i tempi. La community creativa di VU sta strutturandosi, e credo che riuscirei a portarla a fare una vera progettazione di spazi per la creatività, ciascuno con un modello di gestione, un business plan, un’estetica e tutto. Il problema è che ci vorrebbe almeno un anno, mentre la Regione è vincolata ad avviare i cantieri per la ristrutturazione degli spazi entro la fine del 2008, il che significa decidere al massimo a marzo.

Sono in viaggio e non posso accedere alla mia biblioteca (altra nota a margine: col cavolo che è tutto online, e comunque sono sullo shuttle che mi porta all’aeroporto di Bari), ma mi viene in mente un bellissimo libro di Luigi Bobbio sulla decisione pubblica, La democrazia non abita a Gordio. L’autore, pur consigliando ai decisori pubblici di adottare un approccio molto aperto a tutti gli stakeholders, osserva che questo modello decisionale ha tempi molto lunghi, perché in genere non si tratta solo di negoziare una soluzione tra interessi diversi, ma proprio di esplorare lo spazio delle alternative, ricostruendone una mappa. Più sono i soggetti coinvolti, più alternative emergeranno, complicando il processo. D’altra parte è proprio in questo spazio che possono emergere le soluzioni brillanti e innovative che poi proteggono i progetti da veti e blocchi nella fase di realizzazione.

Il caso di VU è un po’ strano, perché ci stiamo costruendo uno spazio di interazione molto adatto alla progettazione partecipata: interessi potenzialmente convergenti, punti di riferimento culturali comuni (come le parole di Bruce ieri), alcuni valori fondanti e condivisi con chi partecipa, una conoscenza molto puntuale dello stato della creatività in questo territorio. La cosa che ci manca per fare un lavoro strepitoso è il tempo! Certo, una decisione presa a marzo potendo accedere alla community di VU sarà sempre più informata di quella che avremmo presa in sua assenza, ma il potenziale partecipativo di questo processo è ancora una frazione di ciò che potrebbe essere. Staremo a vedere…

(il video è di Clarita)

Booster a Malta

A Jesse Marsh (è un consulente che lavora in Sicilia, ci siamo conosciuti a eChallenges) deve essere proprio piaciuto l’approccio del progetto Booster. La settimana scorsa, alla riunione di un INTERREG a cui partecipa (si chiama Medins – The Mediterranean Intangible Space), ha proposto di puntare su un circolo virtuoso tra portatori di tradizione (come gli artigiani tradizionali e i cantastorie), i ricercatori (antropologi, etnologi ecc.) e quelli che chiama “media creatives”. E’ molto simile al nostro modello “rockers-hackers”, e infatti nella slide successiva c’è la mappa di Pescara vecchia tratta dal nostro Atlante della creatività.

Riporto qui sotto le slides di Jesse. Il suo modello (con dentro gli hackers) si trova nella slide 10, la mappa di Pescara nella slide 11.

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