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Hacking social business: reverse engineering Bienestar’s business plan

CC da Flickr.comMy students at the Design for Social Business Master made me very proud last week with a clever reverse engineering of a (social) business plan based on nothing more than a set of slides intended as a brief for the graphic design of a website – and a whole lot of online investigation. The business plan in question is that of Bienestar, a health care initiative in the region of Caldas (Colombia) just being rolled out by the provincial authority and Grameen Creative Lab. This is supposed to be the focus of a forthcoming field visit of the students to Colombia; apparently Bienestar has no business plan (we asked), and the brief was all we had to work with.

With no business planning background at all — save for my own lecture — Alessandra, Barbara, Chiara, Mandy, Oscar, Simona and Tiago showed a remarkable ability to stake the territory. They combed the web for data like minimum salary in rural Colombia; the structure of health care, including recent changes in legislation; and the state of the road networks in the Caldas region, to get a feel for the logistics of traveling to Villa Maria to get treated. All of these data were used to generate a critical appraisal of the business plan as they reconstructed it from the brief. This appraisal was put in a document that visualizes cleverly GCL’s approach and the students’ own questions and critique. Besides being clever in itself, this document was written by a very advanced process of online collaboration; the students made the most of my lecture about it, and have become power users of the new Google Docs (it now embeds very cool features from Google Wave — and man, do they use them all).

Armed with that, we figured out what the economic engine that makes Bienestar sustainable is: treatment of new patients, that now are completely outside the system; moreover, these patients have to be fundamentally healthy, like pregnant women and children — it can’t work with patients with chronic diseaes. Now the students are putting figures to that, and have thus found a new mission: when they go to Colombia, they can be the business planning experts of Bienestar. They are already way ahead of GCL on this project!

If you are interested in social business and social innovation, I would really encourage to check out the course’s blog, and maybe drop a comment to say hello: they are really cool people, well worth knowing, and very friendly. The blog is in English, but they are a pretty international crowd and welcome comments in Spanish, Portuguese, Romanian, Arabic and Italian as well.

Hacking social business: un’indagine sul business plan di Bienestar

CC da Flickr.comI miei studenti al Master di Design for Social Business mi dato una grande soddisfazione la scorsa settimana, con un esercizio intelligente di ricostruzione di un business plan (sociale) basato solo su una serie di slides intese come un briefing per realizzare un sito web. Il business plan in questione è quello di Bienestar, un’iniziativa di sanità pubblica che muove ora i primi passi nella regione di Caldas, in Colombia, grazie alla collaborazione tra la provincia di Caldas e Grameen Creative Lab. Vedere in azione Bienestar dovrebbe essere il centro del viaggio che gli studenti faranno presto in Colombia; ma non ne esiste un business plan (così ci dicono), e quel briefing era tutto ciò che avevano su cui lavorare.

Pur non avendo nessuna esperienza di business planning — tranne la mia lezione — Alessandra, Barbara, Chiara, Mandy, Oscar, Simona e Tiago hanno dimostrato una grande abilità investigativa. Hanno setacciato il web per ricostruire dati come il salario minimo nella Colombia rurale; la struttura della sanità e come viene finanziata, comprese le recenti riforme; e lo stato della rete stradale nella regione di Caldas, per avere un’idea di tempi e costi di viaggio dai villaggi alla città per essere curati. Tutti questi dati sono stati usati per generare una valutazione critica del business plan implicito nel briefing, che hanno ricostruito esplicitamente. Questa valutazione è stata poi esposta in un documento che visualizza in modo intelligente l’approccio (ricostruito) di GCL e le domande e le critiche degli studenti. Oltre ad essere ben fatto di per sé, questo documento è stato generato da un processo molto avanzato di collaborazione online; gli studenti hanno sfruttato al massimo le mie lezioni sul come collaborare, e sono diventati power users del nuovo Google Docs (adesso incorpora features originariamente sviluppate per Google Wave, e loro le usano tutte).

Armati di questo risultato, siamo riusciti a ingegnerizzare il “cuore economico” che rende Bienestar sostenibile: la cura di pazienti nuovi, che oggi sono completamente esterni al sistema; inoltre, questi pazienti devono essere fondamentalmente sani, come donne incinte o bambini — il sistema non funzionerebbe con pazienti che soffrono di malattie croniche. Ora gli studenti stanno lavorando sui numeri, perché si sono dati una nuova missione: quando andranno in Colombia, saranno gli esperti di business planning di Bienestar. Sono già molto più avanti di GCL in questo senso!

Se vi interessano l’impresa e l’innovazione sociale, vi consiglio di cuore di passare dal blog del corso, e magari lasciargli un commento per fare conoscenza: sono persone interessanti, che vale certamente la pena conoscere, e molto amichevoli. Il blog è in inglese, ma loro sono un gruppo molto internazionale, e gradiscono commenti anche in italiano, spagnolo, portoghese, rumeno o arabo.

Dell’innovazione sociale (e la fine del mondo come lo conosciamo)

Nell’ultimo anno, in cui ho partecipato ad un gruppo di lavoro del Consiglio d’Europa che riflette su alcune tendenze emergenti dell’economia, mi sono fatto l’idea che l’innovazione sociale sia un fenomeno potenzialmente molto, molto importante. Certamente lo è abbastanza da curvare lo spazio mentale in cui mi muovo: qualunque percorso io segua, mi ci ritrovo sempre più coinvolto. L’ultima notizia – ma ho la sensazione che non sarà affatto l’ultima – è che la Young Foundation (un think tank inglese vicino al presidente della Commissione Europea Barroso, in assoluto l’organizzazione europea più attiva nel promuovere il concetto di social innovation) mi ha chiesto di partecipare all’advisory board della Social Innovation Initiative for Europe. Obiettivo di questo progetto è mettere in piedi l’hub della Commissione Europea per la comunità degli innovatori sociali, che, tra le altre cose, fornirà input per la progettazione del nuovo fondo europeo per l’innovazione sociale.

I fondi europei sono strumenti finanziari di grandi dimensioni per le politiche pubbliche, misurati in centinaia di milioni, se non miliardi, di euro. I criteri di allocazione di questi fondi tra gli stati membri e all’interno di ciascuno stato, sono oggetto di negoziati molto minuziosi e condotti ai massimi livelli delle pubbliche amministrazioni europee. Non accade tutti i giorni che la Commissione si metta a progettare un nuovo fondo: è evidente che qualcuno, al vertice, pensa che questo sia un tema decisivo.

Dal mio punto di osservazione come advisor del Consiglio d’Europa non è difficile capire quello che sta succedendo. I rappresentanti dei governi nel nostro gruppo sono molto preoccupati: il welfare state, cardine del modello europeo e ingrediente fondamentale della del capitalismo umanizzato proposto dal vecchio continente, è in preda ad una crisi fiscale irreversibile. Nessuno crede più che sarà possibile difendere il livello di prestazioni previdenziali e dei pubblici servizi. E non stiamo parlando di Grecia o Italia, per i quali si potrebbe forse parlare di cattiva gestione: i più preoccupati sono i governi dei paesi di welfare avanzato come l’Austria e la Norvegia, in cui l’opinione pubblica non accetterebbe mai una ritirata neppure parziale dall’attuale livello di pubblici servizi — ritirata che, tuttavia, è inevitabile.

Nessuno, però, parla più di privatizzazione. L’esperienza degli anni 80 parla chiaro: i servizi privatizzati non costano meno di quelli forniti dal settore pubblico, anzi. Ci sono molte ragioni per questa conclusione, ma una importante è questa: il settore privato entra solo dove può fare margini alti, altrimenti non è interessato. Qui entra in gioco l’innovazione sociale: la miscela di economia sociale (con un basso orientamento al profitto) e attitudine all’innovazione disruptive mutuata dalla Silicon Valley è, in questa fase, l’unico candidato a darci soluzioni che possano consentire di difendere il livello di servizi pubblici. “Difendere il livello di servizio” nel quadro finanziario attuale significa ridurne il costo unitario. E non del 3-5%: del 50%.

Non serve un genio per capire dove conduce questa cosa. Conduce a servizi pubblici smontati e rimontati in modo completamente diverso. La scuola? Video su Youtube stile Khan Academy invece di maestri in aula. La sanità? Forum online invece di file dal medico di base. L’università? Badges (alla Foursquare) concesse in modalità peer-to-peer che attestano competenze apprese informalmente sul web invece di lauree (ci sta lavorando la Mozilla Foundation). La progettazione delle policies? Wikicrazie invece di burocrazie weberiane professionali. Inutile dire che la transizione sarà molto complicata, e comporterà che moltissime persone che oggi lavorano nel settore pubblico risulteranno, per usare un termine non molto diplomatico, completamente inutili, perché sanno fare cose che non serviranno più e avranno ben poche possibilità di imparare a fare quelle che, invece, serviranno.

Il fondo che la Commissione Europea sta disegnando può risolvere al massimo metà del problema, quella di abilitare gli innovatori sociali a ripensare in modo radicale i servizi pubblici. L’altra metà è fare in modo che il patto sociale tenga, e che gli europei impauriti e arrabbiati non escano di casa a dare fuoco alle auto e ai bancomat (o ai loro vicini diversi da loro in qualunque modo). Per questo abbiamo bisogno di leadership politica di alto livello: il sistema attuale è stato messo in piedi da giganti del calibro di Bismarck (previdenza) e Lord Beveridge (welfare moderno). Speriamo di trovare una dirigenza alla loro altezza per questa fase.