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La fatica della diversità: arricchire la governance senza che perda di coerenza

Photo: whatleydude @ flickr.com
Non tutti concordano sull’idea che i processi partecipativi conducano a migliori decisioni pubbliche. Certamente essi consentono al decisore l’accesso alla straordinaria ricchezza di informazioni ed esperienza viva accumulata dai cittadini: questo è il vantaggio, e non è poco. Ma ci sono anche due svantaggi.

  • questa informazione non è organizzata. Non è solo questione di linguaggi: persone diverse hanno esperienze diverse, e vedono le cose in modo diverso. Se chiedete a qualcuno un parere sulla pedonalizzazione di una strada del centro città, per esempio, riceverete una risposta completamente diversa a seconda non solo del suo ruolo rispetto al provvedimento (abita in quella strada? O ci lavora?), ma anche del suo sistema di valori, del suo stile di vita e della sua personalità. Un ciclista appassionato, o semplicemente una persona fisicamente in forma, tenderà a vedere i vantaggi della pedonalizzazione, mentre una persona più pigra ne vedrà più gli svantaggi. Dipende da chi si incontra! La partecipazione dei cittadini (quando i partecipanti non sono molti, cioè quasi sempre) introduce un elemento di casualità nella procedura decisionale – e questo è un problema per i decisori pubblici, che devono potere giustificare le loro scelte.
  • la discussione può diventare faticosa. Discutere è una tecnica, e non tutti la padroneggiano allo stesso modo. I decisori pubblici sì, perché è parte del loro lavoro; i cittadini non sempre. Alcuni sono aggressivi o logorroici; altri fanno riferimento a valori o informazioni non accettati da tutti (“inutile pedonalizzare, tanto il mondo finirà fra otto mesi, l’ha detto Nostradamus!”). Alcuni possono tentare la mossa retorica di delegittimare il processo se non ottengono quello che vogliono (“Inutile chiamare i cittadini se poi non li stai a sentire!”). Stili diversi di discussione possono impedirne la convergenza tanto quanto posizioni diverse.

Io sono convinto che questi problemi siano superabili a costi molto bassi – e l’ho scritto in Wikicrazia. A una condizione: che i cittadini partecipanti siano reclutati da una comunità di persone orientata alla governance collaborativa. Preferibilmente da una comunità online. Infatti:

  • i membri di queste comunità si validano a vicenda in modo ricorsivo (come fa Pagerank con le pagine web). Una persona che esprime posizioni sagge e condivise conquisterà reputazione e autorevolezza. Se la comunità è online queste persone si vedono molto bene dall’accumulo di commenti, condivisioni, likes, retweets, +1, qualunque sia la moneta reputazionale di quella comunità. “Pescare” dalle comunità aperte le persone più apprezzate riduce la casualità della partecipazione.
  • la comunità socializza alla discussione costruttiva. Se la comunità è gestita bene, i trolls vengono isolati. Le persone sensate e rispettose discutono tra loro, ricompensando ogni contributo saggio con la moneta reputazionale citata prima. Anche questo è più semplice online, dove le tecnologie di interazione non consentono a nessuno di impossessarsi della parola e tenerla, o gridare, o interrompere. I membri più stimati di queste comunità sono di solito persone con cui discutere è utile, e perfino piacevole anche se non si è d’accordo con le loro posizioni.

E siccome ne sono convinto, sto per tentare un esperimento senza rete: convocare, con status di esperti, alcuni membri della comunità di Edgeryders per farli discutere con gli accademici e i funzionari delle istituzioni europee (se ti interessa partecipare, informazioni qui). Arricchiranno la discussione senza aumentarne l’entropia?

La governance salvata da Davide (e da tutti noi)

Qualche giorno fa ho ricevuto da un messaggio che mi ha colpito. Me lo manda Davide, un artigiano edile che si è inventato fisarmonicista errante per cercare nuovi modi di interagire con gli sconosciuti (il suo profilo su Kublai).

Ciao, come stai? Ho finito di leggere Wikicrazia (e l’ho consigliato ad un amico che lavora in rete) e nonostante sia di cultura media (forse bassa) mi ha arricchito di tante nozioni che ora devo lasciare girare nella mia mente. Per me è stato una nuova carica all’entusiasmo che spesso metto nelle cose che faccio e vorrei farne buon uso. Forse ho quel digital divide cognitivo che ora mi rendo conto è importante affrontare e dopo questo libro ho un sacco di domande, ma una in particolare: nel mio piccolo comune in cui abito si può ed è importante cercare questo cambiamento, questo mettere insieme “intelligenza collettiva” a servizio dei singoli cittadini e della pubblica amministrazione? Ci sto pensando a questa cosa, anche nel mio mondo di scarsa conoscenza. Sai, in questa piccola realtà è brutto non vedere miglioramenti ed io stesso per anni non ho dato la giusta attenzione,però vedo che uno spiraglio c’è anche in questo momento di crisi e mi piacerebbe ci fosse anche nella mia piccola realtà lavorativa (non voglio diventare milionario,non mi interessa, desidero costruire un buon futuro anche per me personalmente), ma bisogna cambiare qualcosa che non ho ancora capito cos’è.

Ho letto che hai fatto il musicista perché volevi cambiare il mondo e non ci sei riuscito, ma il mondo si può cambiare?

Scusa se ti ho disturbato, e se ti rompono le scatole i miei messaggi dimmelo tranquillamente.

Disturbarmi? È per le persone come te che ho scritto quel libro, e sono onorato che il mio libro vi stimoli. Voglio conservare la tua mail per mostrarla agli amministratori pubblici con cui, nel mio lavoro, mi capita di parlare, e che sono invariabilmente preoccupate che l’eccessiva apertura dei processi amministrativi ai cittadini apra la porta a persone rancorose e distruttive. Queste persone ci sono, ma nella mia esperienza in genere non hanno nessun interesse ad avere a che fare con le politiche pubbliche, e si limitano a mugugnare. E intanto, la gente come te sta fuori dalle porte chiuse del Palazzo, chiedendosi come può dare una mano!

Mi chiedi se le cose possono cambiare. Me lo chiedono in tanti. Una risposta facile è che alcune cose si possono modificare senza dovere superare ostacoli eccessivi, altre no. Ma la risposta vera è che è irrilevante: perché tu comunque ci proverai, qualunque cosa io ti possa dire. E la sai una cosa? Anch’io, ci ho già provato e continuerò a farlo. Wikicrazia non serve ad aiutarci a decidere se le cose possono cambiare, ma a darci qualche strumento nel provarci.