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A feature, not a bug: il ruolo di WikiLeaks nell’ecologia della governance

AGGIORNAMENTO 6 dicembre: anche Clay Shirky ha preso posizione. Come molti cittadini americani, la sua preoccupazione principale è quella di cercare di inquadrare il comportamento del governo degli Stati Uniti, senz’altro il più accanito nel tentare di mettere a tacere WikiLeaks. Ne dà un giudizio molto negativo, perché persegue i propri obiettivi con mezzi extralegali (pressioni sui gestori dei server, su Paypal etc.); inoltre distingue con attenzione tra breve e lungo termine. Il post merita di essere letto con attenzione, ma mi pare di potere dire che Shirky ed io concordiamo sul fatto che, nell’attesa che emerga un nuovo equilibrio giuridico e sociale per la società connessa, WikiLeaks è funzionale ad una democrazia in salute.

Ho conosciuto Julian Assange nel 2009 a Barcellona. Eravamo entrambi ospiti di Personal Democracy Forum Europe (da cui è tratto il video qui sopra), e che raccoglie persone interessate a usare Internet per fare funzionare meglio la democrazia (come lui) o la pubblica amministrazione (come me).

WikiLeaks non è emanazione di un’amministrazione pubblica. Se non fosse per questo, però, starebbe benissimo tra i tanti esempi di politiche pubbliche in rete di Wikicrazia, perché, come gli altri esempi in positivo che cito nel libro, è orientata a una nozione di bene comune (trasparenza e responsabilità dei governi di fronte ai cittadini); e mobilita l’intelligenza collettiva per analizzare grandi masse di dati di fonte pubblica e trarne storie comprensibili su ciò che le amministrazioni davvero stanno facendo, e perché.

Dico che WikiLeaks è orientata al bene comune perché la sua attività non è rivolta contro gli stati i cui documenti riservati va diffondendo. Al contrario, Julian è convinto di essere loro utile: informando i cittadini su ciò che davvero succede si irrobustisce la democrazia. Mettendo più teste a pensare alle scelte fatte in passato, si rende più probabile fare scelte più sagge in futuro. E dico che mobilita l’intelligenza collettiva. perché non pretende di spacciare “la verità”: cerca piuttosto di fornire materiale grezzo ai giornalisti, ai magistrati, ai cittadini interessati, e in prospettiva agli storici. La verità storica non sta nel singolo documento, ma nell’interpretazione condivisa del totale di questi documenti che emergerà dal dibattito. WikiLeaks si limita a trasferire documenti riservati nel pubblico dominio, e lascia poi all’intelligenza collettiva di cui parlo nel mio libro di ricostruire un quadro della situazione. E se giudica che un documento riservato possa mettere in pericolo vite umane si autocensura e non lo diffonde: è successo in passato per documenti sulla dislocazione delle truppe americane in Afghanistan.

Su tutte queste cose, Julian parla assolutamente la stessa lingua delle amministrazioni impegnate sul tema della trasparenza. Se lo metteste in una stanza con il Presidente Obama e il Primo Ministro Cameron, i tre sarebbero d’accordo su quasi tutto. Ma non su un punto fondamentale: WikiLeaks ritiene che i governi facciano un uso di gran lunga eccessivo della riservatezza, e ritiene che sia suo diritto e suo dovere intervenire per rendere pubblici documenti che non hanno ragione di non esserlo. Per il poco che vale la mia opinione, sono d’accordo sul primo dei due punti: le amministrazioni pubbliche, spaventate dai propri cittadini, hanno una tendenza istintiva a lavorare nell’ombra che mi sembra inutile e dannosa. Pensate che, quando due associazioni di consumatori hanno chiesto di vedere le carte relative agli appalti per realizzare il portale turistico Italia.it, costato 45 milioni di euro e naufragato in poche settimane, il governo italiano glie le ha negate. Qui non ci sono sicuramente vite in gioco e questioni di sicurezza nazionale, e quindi credo che quelle carte dovrebbero essere rese pubbliche: in fondo, in una democrazia, il dibattito pubblico è la guida dell’operare delle amministrazioni, e più lo alimentiamo e meglio è.

Sono sicuro che su questa linea si attestino anche molti onesti e devoti servitori dello stato: del resto, immagino che siano proprio loro a passare le informazioni a WikiLeaks! Un po’ provocatoriamente, si potrebbe affermare che Julian e i suoi sono in una relazione di mutuo vantaggio con le amministrazioni che dicono di volerli combattere: i servitori dello stato “pro trasparenza radicale” passano di nascosto dei documenti a WikiLeaks. Essa se ne nutre, e contemporaneamente aiuta la fazione “pro trasparenza” a superare i colli di bottiglia costruiti dai pezzi di amministrazione più favorevoli all’opacità. Un ecologo parlerebbe di simbiosi. WikiLeaks non è come un virus che attacca l’organismo ospitante, ma come un utile batterio che ne aiuta il metabolismo.

Faccio una predizione: il Cablegate non avrà conseguenze diplomatiche rilevanti, proprio come finora non ci sono stati contraccolpi importanti dal rilascio di dati pubblici in formato aperto, anche su roba piuttosto sensibile come i conti pubblici. È l’equivalente diplomatico di postare una propria foto da ubriachi su Facebook, senza pensare che il tuo capo possa vederla: imbarazzante, ma senza conseguenze gravi e durature. Secondo l’Huffington Post, del resto, dai due ai tre milioni di impiegati federali erano autorizzati a vedere questi documenti: non esattamente top secret. E finora non ci sono certo state grandi rivelazioni. In questo caso – non accade spesso – mi ritrovo allineato con il presidente del consiglio che, a quanto pare, alla notizia si è fatto una risata: la diplomazia è per definizione una relazione fredda e machiavellica, la stima personale che uno o più diplomatici possono avere per il capo di uno stato conta davvero poco nei rapporti tra gli stati.

Con il tempo, i diplomatici e gli stessi governi si abitueranno a gestire la propria privacy in un mondo connesso, così come, del resto, facciamo tutti noi. La maggior parte della loro attività, come della nostra, a quel punto sarà felicemente alla luce del sole (concordo con Micah Sifry che un ritorno alla riservatezza generalizzata è impossibile). A quel punto, di Wikileaks non ci sarà più bisogno, e Julian sarà libero di dedicarsi ad altro.

Ah, e accusarlo di stupro è una cattiva idea anche dal punto di vista dei suoi detrattori. Mi aspetto che sarà un autogoal, togliendo ulteriore spazio al dialogo tra amministrazioni e la parte più intelligente e idealista della società civile.