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Etnografia accresciuta: elaborare dati qualitativi da conversazioni massive


Sto lavorando su un progetto chiamato Edgeryders, un esercizio di collaborazione su larga scala per ridisegnare le politiche pubbliche sui giovani. L’idea è di fare in modo che i partecipanti condividano le loro esperienze su temi rilevanti: per esempio, come guadagnarsi da vivere in un mercato del lavoro precario, o come influenzare le decisioni politiche. Man mano che il progetto issa le vele, fa quello che fanno i progetti di crowdsourcing: aggrega un torrente di dati esperienziali. Nel mio libro e altrove ho sostenuto che le conversazioni rispettose convergono: si raggiunge un consenso e si passa oltre. Il problema è come trasmettere questa convergenza in modo verificable a osservatori esterni – nel caso di Edgeryders, ai governi europei e alla Commissione. Pretendere che essi si leggano i dati grezzi, anche in piccola parte, non è realistico. Cosa possiamo fare?

Io punto sull’etnografia. I metodi etnografici sono paticolarmente adatti a questo tipo di indagine, perché sono progettati per incorporare il punto di vista delle persone che studiano. I aggiungerei che sono anche adatti all’etica della rete: non siamo le cavie, siamo il laboratorio – così come non siamo i consumatori ma i protagonisti dei nostri luoghi di ritrovo online. L’etnografia moderna usa software come Atlas.ti la sua controparte open source Weft QDA per annotare le trascrizioni delle interviste.

I vantaggi di raccogliere i dati via social network online come Edgeryders sono due.

  • I dati sono già in forma scritta. Un costo molto significativo dell’analisi etnografica, la trascrizione delle interviste, viene quindi evitato (nel 2006 costava 100 euro per ogni ora di registrazione).
  • Decisivo: i dati sono connessi in una conversazione. I participanti commentano, contraddicono, lodano gli uni gli altri. Ciò che appare come “interviste” diverse (guardate questo esempio grandioso) sono in realtà collegate tra loro da una ragnatela di legami sociali, che sono codificati in un database e si prestano all’analisi quantitativa.

Per sfruttare queste caratteristiche, stiamo provando a sviluppare una metodologia che chiamo etnografia accresciuta. Dovrebbe funzionare più o meno così:

  1. per prima cosa, organizza il materiale per partecipante. In Edgeryders, questo significa raccogliere tutti i mission reports (una specie di blog post), i commenti e le informazioni del profilo utente associati a ciascun utente. Questo produce una specie di super-intervista per ciascun partecipante attivo. Annota il materiale, da bravo etnografo.
  2. poi, specifica una rete per rappresentare la conversazione. In prima approssimazione, io comincerei considerando l’intero social network online come un’unica grande conversazione, di cui i partecipanti sono i nodi. Un link viene creato tra due partecipanti, Alice e Bob, a seconda di una qualche interazione scritta nel database. La più intuitiva è che Alice e Bob sono connessi tra loro se almeno uno di loro ha commentato un mission report dell’altro, o se entrambi hanno commentato un mission report di una terza persona. Edgeryders è progettato con una ridondanza nel tipo di relazioni che i partecipanti possono intrattenere, per dare modo alla comunità di evolvere (per exaptation) diversi significati per diversi tipi di relazioni.
  3. computa le metriche della rete e cerca di interpretarle, cercando informazioni di struttura utili. Una delle prima cose che proverei è calcolare le misure di centralità per ciascun partecipante. Questo potrebbe aiutare a risolvere un classico problema dell’etnografia: il ricercatore arriva in un’isola remota per studiare una comunità che non conosce. Intervista una persona, e raccoglie molta informazione. Come interpretarla? Molto dipende da se questa persona è un membro rispettato della comunità o lo scemo del villaggio – e il ricercatore può non avere un modo semplice di capirlo, perché non conosce (ancora) la cultura che sta studiando. Ma in una conversazione rispettosa e orientata ai fatti, lo scemo del villaggio difficilmente è centrale.
    Certo, questo è solo un abbozzo. Non ho dubbi che si possano fare molti trucchi intelligenti con l'”etnografia su database”. Il problema è trovare ricercatori che possano avvantaggiarsi di questo tipo di analisi: etnografi competenti che possano assorbire anche i risultati dell’analisi di rete. Lettori: ne conoscete? C’è qualcuno interessato a continuare questa conversazione, e magari dare una mano a me e alla mia squadra?