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Bandi per la creatività e culture amministrative: due esperienze a confronto

Collaboro ad un progetto, Visioni Urbane, nel quale ci stiamo ponendo il problema di lanciare alcuni bandi per attività creative. Mi è venuta la curiosità di leggere alcuni bandi che, in questo campo, hanno una buona reputazione. Ne ho scelti due: uno è Principi Attivi, il bando di un’esperienza pugliese che mi interessa molto, Bollenti Spiriti. E’ stato aperto da maggio a luglio 2008, e ha messo a bando 7.6 milioni di euro. Ha ricevuto oltre 1.500 progetti da quasi tutti i comuni pugliesi. L’altro è Grants for the Arts, lo strumento principale di finanziamento di progetti artistici dell’Arts Council England. Questo è un bando sempre aperto, rifinanziato di anno in anno con i denari della National Lottery.

Gli obiettivi dei due bandi sono gli stessi: spingere giovani artisti e creativi in genere a concorrere all’assegnazione di risorse pubbliche, nella speranza che alcuni di loro facciano il salto e diventino imprese creative e culturali vere e proprie. Per fare questo è necessario creare bandi semplici da usare (per abbassare le barriere alla partecipazione di soggetti che hanno competenze creative e non burocratiche) e trasparenti (per creare fiducia). Ho provato a riassumere le mie letture in una tabella, questa:

Principi Attivi Grants for the arts
Periodo di apertura 5 maggio – 31 luglio 2008 sempre aperto, non c’è scadenza
Chi può partecipare Gruppi informali (minimo due persone) di giovani sopra i 18 anni e nati non prima del 1/1/1977, residenti in Puglia Individui o organizzazioni. La definizione di “organizzazione” è : un gruppo di persone con un obiettivo comune e un conto corrente con almeno due firme.
Forma giuridica I gruppi finanziati devono costituirsi in associazioni o altra forma giuridica Non richiesta
Criteri di valutazione Griglia pubblicata sul bando Pubblicati sul bando, senza griglia
Taglio Al massimo 25.000 € Da 1.000 a 100.000 £ per le attività locali: da 1.000 a 200.000 £ per quelle nazionali. In circostanze eccezionali è possibile chiedere finanziamenti anche superiori
Cofinanziamento Non richiesto Il proponente deve fare ogni ragionevole sforzo per assicurare il massimo cofinanziamento; in casi speciali, è possibile chiedere un finanziamento per il 100% dell’attività proposta.
Erogazione Anticipo del 70%, saldo del 30% In unica soluzione anticipata o in tranches, come specificato dalla lettera di approvazione della domanda. Vi è sempre un anticipo.
Garanzia finanziaria Fideiussione sull’anticipo (il 70% del finanziamento erogato) Non richiesta
Assistenza Telefonica, forum online, appuntamenti Documentazione online molto dettagliata, ben scritta e friendly. Enquiries office risponde a telefonate, email, sms.
Formulario 10 pagine, con budget preformattato (solo macrovoci: spese di costituzione e fideiussione, risorse umane, risorse strumentali, spese di gestione) No. Domanda “alla Kublai”, senza formattazione ma insistendo sull’evidenziare ciò che serve per capire la qualità della proposta.

La differenza si vede a occhio. Grants for the Arts è congegnato in modo da lasciare ai partecipanti la massima libertà di produrre ciò che essi considerano buone proposte. Le regole e i limiti sono ridotti al massimo, e comunque non tassativi; le definizioni molto elastiche (guardate quella di organizzazione!); non ci sono scadenze; non sono richieste fideiussioni o altre garanzie; la proposta ha formato completamente libero, con una forte enfasi sull’assistenza, come avviene in Kublai. Sei cieco? La documentazione è disponibile in Braille. Sei dislessico? Vieni nei nostri uffici, facciamo una riunione e ti mettiamo a disposizione una persona che prende appunti. Le idee guida sono quelle di incoraggiare più persone possibile a partecipare, per essere sicuri di non perdersi neppure una buona idea per ragioni di procedura, e poi fare una selezione spietata in termini di qualità (e questo significa che l’Arts Council England ha piena fiducia nelle proprie capacità di selezionare). Grants for the arts è orientato alla performance brillante, non al processo.

Anche Principi attivi è orientato alla performance (e all’assistenza: il suo team ha condotto quasi cento incontri di promozione), e in effetti i suoi numeri sono rilevanti. Ma questo orientamento deve fare i conti con la cultura amministrativa italiana, quindi la procedura è molto più strutturata. Puoi partecipare come gruppo informale, ma se vinci devi costituire una società o un’associazione; la modalità di erogazione è fissa; è richiesta una fideiussione; e soprattutto, il taglio dei progetti è limitato a 25mila euro (quindi a progetti piccoli) e la proposta si scrive riempiendo un formulario. Sia il taglio che formulario, ovviamente, riflettono le priorità e i valori dell’amministrazione che lo propone, e non quelli dei proponenti: per esempio, tiene abbastanza sottotraccia la parte di business planning.

Ho mandato la tabella ad Annibale D’Elia, il responsabile di Bollenti Spiriti, per un commento. Lui mi ha spiegato che

  1. Principi attivi è un bando molto agile e de-burocratizzato nel panorama italiano (ed è vero)
  2. La forma finale del bando “è il risultato di faticose mediazioni” con la macchina amministrativa della Regione, la cui cultura è totalmente orientata alla procedura.
  3. Il bando costringe i creativi a strutturarsi, costituendo associazioni e andando in banca a cercare fideiussioni, perché vuole promuoverne la partecipazione alla vita attiva del territorio. E il territorio (l’Italia, non la Puglia) funziona così: bandi pubblici, gare d’appalto etc. richiedono forme giuridiche e garanzie finanziarie. I creativi pugliesi questo l’hanno capito, e l’hanno apprezzato.

Annibale e il suo gruppo sono bravi e motivati, e la spiegazione mi convince. Però mi colpisce quanto noi italiani siamo talmente immersi nella proceduralizzazione che non la vediamo nemmeno più. Così, per esempio, se Principi attivi l’avesse progettato un inglese dell’Arts Council non avrebbe obbligato i vincitori a costituirsi in associazione, ma li avrebbe incoraggiati a farlo, fornendo loro l’assistenza. Il ragionamento è: certo, strutturarsi è un vantaggio ed è sensato, e io abilito chi desidera farlo. Ma perché devo rischiare di dovere bocciare un progetto fortissimo di uno che l’associazione, per motivi suoi, non vuole farla? Magari è un creativo geniale ma individualista, se da solo riesce a competere con gruppi strutturati meglio per lui.

Questa impostazione percorre tutto il bando: il formulario per la proposta? Standardizzato. Il taglio dei progetti? 25mila euro, comunque. Le voci del budget? Le stesse per tutti. Il gruppo di Bollenti spiriti (come tutti gli estensori di bandi italiani) non se la sente di dire “i progetti sono tutti diversi, quindi non ha senso standardizzare troppo. Scrivi come ti pare, l’importante è che tu mi faccia capire”. Non parliamo neanche della faccenda della fideiussione. Annibale mi ha raccontato che questo ha creato anche qualche problema, perché le banche pugliesi inizialmente si sono rifiutate di stipulare fideiussioni ai creativi (poi c’è stata un po’ di polemica sul forum e alla fine qualcuno ha rotto il fronte). Quanto agli inglesi, ho chiesto a Andrew Missingham perché non chiedono garanzie, e lui mi ha detto: perché nessun artista o creativo è così stupido da provare a truffare il principale canale di finanziamento per le arti. E questo crea problemi di controllo del denaro pubblico? No: il tasso di insoluti è praticamente zero, e inoltre si risparmiano costi amministrativi su tutti i fronti (una delle conseguenze di Principi attivi, come di quasi tutti i bandi di questo tipo, è che si trasferiscono risorse dal settore pubblico alle banche: le fideiussioni costano). L’impressione è che le garanzie finanziarie servano molto là dove la capacità di valutare nel merito non è molto sviluppata.

Insomma, noi italiani siamo un po’ come i pesci della barzelletta, a cui chiedono “com’è vivere sempre nell’acqua?”. E loro, stupiti: “Che cosa sarebbe quest’acqua di cui parlate?”. Siamo così immersi nella nostra particolare cultura amministrativa che la viviamo come “la” cultura amministrativa tout court. E invece l’azione amministrativa non deve necessariamente essere fatta di diritto romano, burocrazia weberiana (e furbizia levantina per ricuperare un minimo di spazio di azione quando le regole “stringono” troppo). Il nostro modo di amministrare è frutto di una cultura specifica e storicamente determinata. Altri amministrano in altro modo. Temo che la nostra cultura amministrativa sia troppo rigida per un mondo che si fa sempre più complesso, e sarà sempre di più un fattore di riduzione della competitività delle imprese del settore creativo – e anche delle altre, mi sa.

Però si potrebbe sempre cambiarla, no? Io, per dirne una, non ci sono particolarmente affezionato :mrgreen:

Finire la maratona: una ragione per partecipare alla conversazione globale sull’innovazione


Il mio amico Andrew Missingham sta lavorando alla strategia digitale dell’Arts Council England – che naturalmente, essendo una venerabile macchina governativa (inventata nientemeno che da John Maynard Keynes durante gli ultimi mesi della Seconda Guerra Mondiale), non ne ha mai avuta una e si sta chiedendo esattamente che obiettivi darsi. Secondo Andrew, l’ACE potrebbe pensarsi come una persona qualunque che decide di correre per la prima volta una maratona. Non importa quanto duramente si alleni, non ha nessuna possibilità di vincere: a vincere sarà Stefano Baldini o un altro atleta professionista. Ma, con concentrazione e dedizione – pur continuando ad andare in ufficio tutte le mattine – sarà in grado di partecipare in pienezza, riportandone l’esperienza di allenarsi per una maratona e tutta l’eccitazione del giorno di gara. Se dovesse incontrare Baldini, l’ACE sarà in grado di intavolare con lui una conversazione che – nel rispetto della sua superiorità atletica – ne ricomprenda la passione, le motivazioni, e la pressione a cui un grande maratoneta è soggetto.

Questo concetto di partecipazione a pieno titolo (“full participation”) mi sembra importante per capire le motivazioni di chi – senza essere MIT o Google o uno dei suoi grandi protagonisti – partecipa alla conversazione globale sull’innovazione. Io, per esempio, mi interesso di politiche pubbliche collaborative e user generated. Ho fatto diversi progetti piccoli e medi – come Kublai – alcuni più di successo, altri meno. Il mio contributo alla crescita della disciplina è modesto ma non inutile, o così mi piace pensare. Non sono uno dei grandi guru alla Shirky o alla John Holland, il cui lavoro tutti, io per primo, seguiamo appassionatamente. Ma partecipo allo sforzo collettivo per una più compiuta conoscenza: mi sono allenato duramente, mi impegno, e finirò la maratona con dignità. Come per tanti atleti, sento che questo sforzo mi completa e rende la mia vita più interessante e, in qualche modo, più morale. De Coubertin sarebbe da rivalutare.

Finishing the marathon: a reason for taking part in the global innovation discourse


My friend Andrew Missingham is working on the digital strategy of Arts Council England – which, being a venerable governmental machine invented by none other than John Maynard Keynes as World War II drew to an end, has never had one and is wondering what goals it should set for itself exactly. Andrew’s idea is that ACE might think of itself as an individual who decides to run the London marathon for the first time. No matter how hard it trains, ACE is not going to win it. Paula Radcliffe is. “However, with focus and dedication (alongside the day job) ACE will be able to participate fully, taking in all of the sights, sounds and excitement of the day and get the most of the journey that marathon training involves. And if ACE met Paula Radcliffe, it would be able to hold a conversation that respects her pre-eminence, whilst being able to understand the issues, passions and pressures that drive her.”

This concept of full participation seems to me to capture an important part of the motivations of those who take part in the global conversation on innovation without being MIT or Google or one of its protagonists. I, for one, am interested in collaborative and user generated public policy. I have thought up and deployed several small and medium projects – like Kublai – some more successful, some less. My contribution to the discipline is modest, but not useless, or so I like to think. I am not one of the great gurus like Shirky or John Holland, whose work I follow passionately. But I take part in the collective effort for more and better knowledge: I train hard, am committed and I will finish the marathon with dignity. Like so many athletes, I feel this effort completes me and makes my life more interesting and, yes, moral. De Coubertin did have something going on after all.